giovedì 30 gennaio 2014

Dopo oltre un secolo di sfruttamento, Fiat se ne va

Il mio articolo pubblicato su Insorgenza.it



Adesso è ufficiale: nel 2014 nascerà Fiat Chrysler Automobiles (Fca), la nuova società sorta dalla fusione di Fiat e Chrysler. Avrà sede legale in Olanda e la residenza, a fini fiscali, nel Regno Unito. Sarà quotata alla borsa di New York, oltre che a Piazza Affari. Il CdA ha ratificato la decisione presa tempo fa da Marchionne: dopo aver sfruttato i denari, i territori e i cittadini della penisola italica, è giunto il momento propizio per andare a fare profitti altrove.

La Fabbrica Italiana Automobili Torino è stata una delle aziende private più aiutate dal Sistema Italia fin dalla nascita: si suole dire, senza esagerare, che l’Italia abbia “comprato la Fiat quattro volte”. In barba ad uno dei dogmi del capitalismo, cioè la non interferenza del Pubblico nell’economia e nella finanza, l’Italia ha riempito di miliardi le casse sempre agonizzanti del Lingotto. Come se non bastasse, ha creato e sostenuto un mercato interno che ha garantito alla Fiat introiti certi e una forte difesa dalla concorrenza.

Infine, ma potremmo dire “Innanzitutto”, la Fiat ha potuto sfruttare enormi fette di territorio (si pensi a Termini Imerese, splendida località prima dell’arrivo degli Agnelli, ed oggi ridotta a loco spettrale colmo di disperazione e disoccupazione) e un’ampia manodopera a basso costo, garantita da una emigrazione interna che possiamo considerare un vero e proprio esodo di popolo.

Eh si, perché se ci sono un territorio e un popolo che sono stati sfruttati maggiormente dal colosso automobilistico piemontese, quelli sono il Sud e i meridionali: calabresi, pugliesi, napoletani, siciliani, sono stati costretti ad abbandonare la Terra natìa e raggiungere il nord della penisola, per portare uno stipendio a casa dopo almeno otto ore di catena di montaggio a ciclo continuo.

Quelli più fortunati hanno potuto essere sfruttati vicino casa: Termini Imerese, Pomigliano, Cassino, Melfi, Val di Sangro sono stati luoghi di sfruttamento e di alienazione a chilometri zero. Ogni volta che una congiuntura sfavorevole non ha garantito introiti ritenuti soddisfacenti dagli Agnelli e dai vari ras che hanno guidato la Fiat, ecco partire le minacce in stile mafioso: “o ci date i soldi o buttiamo la gente in mezzo alla strada”.

E lo Stato Italiano si è sempre piegato, regalando vagonate di soldi e spingendo sul fronte degli incentivi, aumentando le tasse agli italiani o tagliando i servizi primari. I territori maggiormente in difficoltà della penisola, quindi, hanno sempre subito maggiormente questo “capitalismo di stato”, che può sembrare un ossimoro solo a chi non conosce bene la natura liberticida e antisociale dell’economia di mercato.

La storia è andata avanti così fino alla Marcia dei Quarantamila, quando il Sistema ha definitivamente sconfitto la lotta sindacale italiana (e da allora i sindacati italiani sono irriconoscibili…) servendosi dei colletti bianchi. Dopo il decennio degli Yuppies, di cui la Fiat e gli Agnelli sono stati un modello verso cui tendere per una intera generazione di giovani rampanti in doppiopetto, è ritornata la crisi, aggravata anche da alcune scelte aziendali e da alcuni modelli immessi sul mercato automobilistico che possiamo definire, senza timor di smentita, indecenti.

Serviva una sferzata “stile Valletta”: la Fiat ha trovato in Marchionne il novello sceriffo di Nottingham, che se ne fregava delle condizioni di vita dei cittadini pur di riempire le casse del sovrano. Mentre Termini Imerese veniva abbandonata, dicendo che non c’erano soldi, Marchionne comprava le azioni Chrysler, fino a che Fiat non è divenuta la controllante del colosso americano. La storia è poi divenuta cronaca: recenti, infatti, sono le battaglie di Melfi e Pomigliano. Lotte sociali e, ad un tempo, lotte di popolo che hanno consentito ai lavoratori Fiat di mantenere ancora un briciolo di dignità. Alla fine, ciò che anni fa era stato profetizzato si è avverato: Fiat abbandona l’Italia, dove lascerà qualche presidio di sfruttamento, e se ne va. Pagherà le tasse in Gran Bretagna. Penserà al mercato americano (sia del Nord che del Sud) e continuerà a sfruttare i territori e i popoli dell’Est Europa.

Tranquillamente, con l’orologio costoso sul polsino.
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