martedì 27 luglio 2010

L'organizzazione statale di Sparta



La costituzione spartana era peculiare e differiva da quella di tutte le altre città greche. Essa era fatta risalire a Licurgo, che si sarebbe basato su una rhetra (ῥήτρα), ossia un oracolo, ricevuto a Delfi. La sacralità dell'immutabile ordinamento spartano veniva così fondata direttamente sulla volontà del dio Apollo.

Ecco come Plutarco riferisce la rhetra ricevuta da Licurgo: «Eretto un tempio a Zeus Sillanio e ad Atena Sillania, formate le tribù (Φυλή) e ordinati i villaggi (Ὠβά), istituito un Consiglio di trenta anziani (γερουσία), compresi i re (ἀρχηγέτας), raduna l'assemblea di tanto in tanto tra Babica e Cnacione ove presentare e respingere proposte di legge; al popolo spetti il potere di approvarle».

Lo stato era quindi organizzato in tribù e villaggi ed il potere risiedeva in tre istituzioni: i re, la gerusia e l'assemblea popolare di tutti gli spartiati. I dati demografici relativi ai villaggi (inizialmente quattro, poi cinque per l'aggiunta di Amicle, e poi forse anche di più.) e il loro rapporto con l'organizzazione militare sono piuttosto oscuri: una delle interpretazioni ipotizza, a fronte di una popolazione maschile spartana di 9.000 unità, un esercito composto di 6.500 elementi, 9 villaggi di 1.000 uomini ciascuno che fornissero ognuno circa 720 uomini ad ogni mora (reggimento), essendo ogni mora composta da tre lochoi (schiere) ciascuna di 240 uomini, forniti a ogni schiera da una singola fratria.

La monarchia era stata la forma di governo usuale nella Grecia arcaica, ma solo a Sparta essa si conservò fino all'epoca classica, nella forma particolare della diarchia. I due re appartenevano l'uno alla famiglia degli Agiadi e l'altro a quella degli Euripontidi e si credeva che entrambe le dinastie discendessero direttamente da Eracle. Le competenze dei re, limitate dalle attribuzioni degli altri organi dello stato, erano in epoca classica esclusivamente militari e religiose. Si trattava comunque di due settori entrambi essenziali nella vita dello stato: ai re spettava il comando dell'esercito e la mediazione tra umano e divino, rappresentando la comunità presso gli dei e interpretando la loro volontà a beneficio della città. Non a caso quasi tutti gli spartani di cui si è conservato il ricordo, da Leonida ad Agesilao, furono re.

La gerusia, ossia il consiglio degli anziani composto da trenta membri compresi i due re, aveva importanti poteri giudiziari (in particolare nei processi capitali) e soprattutto politici. Spettava alla gerusia la formulazione e l'esame preliminare delle proposte da sottoporre all'assemblea, che poteva solo approvarle o respingerle, senza avere né potere di iniziativa né possibilità di discutere. La volontà dell'assemblea (costituita da tutti gli spartiati che avevano compiuto trenta anni) non veniva appurata contando i voti, ma per acclamazione, ossia con la forza delle grida: un sistema arcaico che le altre poleis avevano abbandonato. Inoltre Plutarco afferma che «qualora il popolo alteri la proposta prima di adottarla, gli anziani e i re possono togliere la seduta,cioè non ratificano la decisione ma si allontano e sciolgono l'adunanza, perché perverte e cambia in peggio la proposta che è chiamata a votare».


Antica edizione delle Vite parallele di PlutarcoIl senso di questo passo sembra essere questo: la gerusia si riuniva una prima volta e presentava i suoi progetti all'assemblea che poteva approvarli immediatamente o avanzare delle proposte correttive, se non respingerli del tutto. In questo secondo caso, la gerusia si sarebbe nuovamente riunita a parte per valutare le obiezioni dell'assemblea: ripresentate una seconda volta le sue proposte, sia che fossero immutate sia che contenessero delle modifiche, l'assemblea poteva solo approvarle senza ulteriori discussioni. L'assemblea avrebbe avuto di fatto solo un potere consultivo e il regime spartano si qualificherebbe come oligarchico.

Va però osservato che l'appartenenza alla gerusia, a differenza di quanto accadeva per istituzioni apparentemente analoghe tipiche dei regimi oligarchici, non era un diritto ereditario: i suoi membri, detti geronti, erano eletti dall'assemblea tra tutti gli spartiati di almeno sessanta anni di età e restavano in carica a vita. Anche in questo caso si procedeva con le grida: un comitato di giudici determinava gli eletti in base al volume delle acclamazioni ricevute dall'assemblea. Anche se probabilmente la famiglia di appartenenza giocava un ruolo importante in queste elezioni, è un fatto che a Sparta all'interno degli spartiati, tranne l'eccezione delle due dinastie reali, non esisteva un'aristocrazia in senso proprio, con organi istituzionali riservati ai propri membri.

Il potere della gerusia e dei re era inoltre fortemente limitato da un altro organo istituzionale, che la tradizione attribuiva anche a Licurgo ma in realtà non era previsto dalla rhetra: il consiglio dei cinque efori (éphoroi, ossia ispettori, da ephoráô, sorvegliare). Erano eletti anch'essi dall'assemblea, ma tra tutti gli spartiati, senza limiti di età, restavano in carica un solo anno e non erano rieleggibili. I poteri degli efori, che dovevano decidere all'unanimità, erano molto estesi: avevano ampie competenze giudiziarie, ricevevano gli ambasciatori, firmavano i trattati, presiedevano l'assemblea (un incarico che in epoca arcaica era spettato ai re), potevano ordinare la mobilitazione dell'esercito, rimuovere i magistrati dai loro incarichi, e in generale controllavano che gli altri organi, re inclusi, esercitassero i loro poteri nei limiti stabiliti dalla tradizione. Uno degli efori, chiamato eforo eponimo, dava il nome all'anno in corso e ai documenti ufficiali. Poiché eletti dall'assemblea di tutti i cittadini, almeno teoricamente rappresentavano un importante elemento di garanzia di eguaglianza nella società degli spartiati. Cicerone, nel De re publica, li paragona in effetti ai tribuni della plebe, ma Aristotele, nella Politica, ai tiranni greci. Una volta scaduto il loro mandato, il loro operato poteva essere valutato dai loro successori e, se il caso, subire punizioni fino alla morte. Significativamente si sono tramandati moltissimi episodi e aneddoti che li riguardano, ma sempre come organo collegiale, mentre quasi mai si è conservato il ricordo di un particolare eforo.

In sostanza, il sistema politico che si costituì a Sparta nel VII secolo, era del tutto originale rispetto alle altre città greche. Esso riservò tutti i diritti a una casta minoritaria, riducendo gli iloti in condizioni di oppressione non confrontabili con quelli degli schiavi del resto del mondo greco, ma all'interno del gruppo degli spartiati riuscì a realizzare uno stabile equilibrio dei poteri fra i monarchi, le famiglie più potenti e la comunità di tutti i cittadini, che esprimeva un esercito professionale dotato di una straordinaria compattezza e capacità combattiva, specie se paragonata a quella delle milizie delle altre città greche, di scarsa istruzione militare, o alle bande mercenarie di altri paesi.

La struttura istituzionale spartana si conserverà a lungo immutata. Molto lodata da alcuni pensatori antichi - basti pensare a Platone - ed esecrata da altri, sarà modificata solo dopo cinque secoli, all'alba della crisi decisiva della città, ma rimarrà, nel bene e nel male, un modello di riferimento nel corso della storia successiva.

Sparta, come tutte le poleis greche, in principio fu una monarchia. Poi, secondo la leggenda, il legislatore Licurgo introdusse notevoli riforme e diede alla città un governo democratico, per Aristotele, Sparta era la più democratica delle città greche, quella che spesso viene definita l'oligarchia che governava la città, erano in realtà tutti gli Spartiati, cioè i discendenti dei Dori che occuparono la Laconia e sottomisero i Messeni.

L'Apella era l'assemblea di tutti gli spartiati che avevano compiuto trent'anni. Si riunivano una volta al mese, eleggeva gli efori e i membri della gherusia, approvandone o respingendone le proposte. La Gherusia era composta da 28 anziani, curava i rapporti con gli altri Stati, stipulava i trattati e faceva le leggi. Gli Efori erano 5 e controllavano l'applicazione delle leggi, il comportamento dei cittadini, l'amministrazione della giustizia, l'operato dei Re-sacerdoti.

Gli Spartiati


Plutarco scrive:
« Bisogna sapere che a Sparta regnava un'abominevole disparità di condizioni sociali tra i cittadini e vi si aggirava un gran numero di diseredati, che non possedevano un palmo di terra, perché tutta la ricchezza era concentrata nelle mani di poche persone »... « [Licurgo] ripartì il territorio della Laconia in 30.000 lotti, dati in assegnazione agli abitanti del contado, i Perieci, e quello dipendente dalla città in 9.000, quanti erano gli Spartani veri e propri. »
(Plutarco, Vita di Licurgo, 8)

Le terre furono divise in parti eguali (kléroi), e ogni lotto assegnato alla nascita a ogni spartiate e coltivate dagli iloti, gli stessi ex coltivatori laconi e poi messeni resi schiavi di proprietà dello Stato. Tali primitivi appezzamenti erano inalienabili, perché rimanevano di proprietà dello Stato, e ogni cittadino spartano aveva così la garanzia di indipendenza economica, equivalente al godimento dei diritti politici e al riconoscimento di «uguaglianza» con gli altri concittadini: gli Spartani liberi - gli Spartiati - si definivano infatti gli homòioi, gli eguali. Tuttavia le nuove terre conquistate potevano essere oggetto di commercio. e negli Spartiati sussistevano differenze anche notevoli di condizione economica.

Sollevati dal lavoro produttivo, erano tenuti a dedicare il proprio tempo e il proprio denaro solo alle armi e ai sissizi, i banchetti comunitari: chi non fosse stato in grado di sostenere quest'onere avrebbe perduto i diritti di cittadinanza.

Per essere spartiati occorreva soddisfare un insieme di condizioni. In primo luogo occorreva che entrambi i genitori appartenessero a famiglie spartiati. Coloro che erano nati da un padre spartiate e una madre di condizione ilotica erano detti motaci: essi godevano di alcuni privilegi, come la possibilità di ricevere la stessa educazione dei cittadini di pieno diritto e il poter essere ammessi occasionalmente ai sissizi, ma erano privi dei diritti politici. Chi nasceva da genitori entrambi spartiati veniva esaminato alla nascita da alcuni anziani che giudicavano la sua idoneità fisica: solo chi superava l'esame era considerato possibile cittadino. I neonati giudicati non idonei venivano lasciati morire esponendoli in una località sul monte Taigeto. Per divenirlo effettivamente avrebbe però dovuto percorrere con successo l'iter educativo previsto. Infine, come abbiamo visto, per rimanere nella condizione di cittadino di pieno diritto occorreva avere un livello di reddito che consentisse di adempiere i propri obblighi: chi non riusciva a soddisfare questa condizione veniva retrocesso tra gli hypomeiones (inferiori), cittadini di seconda classe che, come i motaci, avevano alcuni diritti ma non quelli politici.

Gli Spartiati si dedicavano esclusivamente, fin dai sette anni, agli esercizi militari, compiuti in un regime di vita comunitario; a diciannove anni erano ammessi nell'esercito, divenendo opliti e a trenta potevano costituirsi una famiglia, continuando l'addestramento militare fino a sessant'anni. In questo modo riuscirono a costituire un esercito professionale, il più forte e disciplinato di tutta la Grecia, fino alla perdita della Messenia, il lavoro dei cui schiavi aveva reso possibile a ogni Spartano un regime di addestramento a tempo pieno.

Un ruolo importante nella classe degli spartiati era esercitato dalle donne; spettava infatti a loro la conduzione dell'economia familiare, per la quale agli uomini mancava il tempo e probabilmente la competenza: spettava in particolare alle donne sorvegliare e dirigere il lavoro degli iloti, dal quale dipendeva lo stato economico della famiglia.

L'educazione degli Spartiati

Busto di oplitaIl caratteristico sistema educativo a cui obbligatoriamente veniva sottoposto ogni giovane spartiate era detto agoghé (ἀγωγή). A sette anni lasciava la famiglia e veniva inserito in un gruppo di coetanei guidati da un ragazzo più grande, imparando danza e musica e, «solo perché non se ne poteva fare a meno» a leggere e a scrivere; ma lo scopo preminente era quello di indurire il carattere e addestrarlo all'arte della guerra.

Verso i vent'anni entrava a far parte degli ireni (εἴρηνες eirenes), soldati che continuavano il proprio addestramento istruendo a loro volta un gruppo di più giovani spartiati. Poteva allora anche essere impiegato nella annuale caccia agli iloti (κρυπτεία krypteía): confinato in località periferiche, con mezzi limitati, armato di un pugnale e nascosto di giorno poteva derubare e uccidere legalmente gli iloti in cui si fosse imbattuto, in modo da sperimentare l'efficienza della propria formazione militare. Questa usanza è considerata da alcuni studiosi complementare alla formazione del cittadino spartano, orientata verso il sistema oplitico, e retaggio di una possibile tradizione precedente il nuovo ordinamento militare.

A trent'anni lo spartiate acquisiva il diritto di voto nell'assemblea (apella) e poteva sposarsi; non è chiaro se fosse ammesso ai sissizi (συσσίτια) della propria fratria a venti o a trent'anni. Il regime di vita, fondato su addestramento militare e banchetti comunitari - la specialità dei quali era il brodo nero - rimaneva semplice e rustico per tutta la sua vita, spartano, appunto.

I Perieci

Rappresentazione di un soldato spartano.I Perieci (περι-οίκοι "quelli che abitano intorno") erano gli abitanti delle comunità presenti nei territori che circondavano la città, come le parti costiere del territorio, viventi, sebbene sotto il dominio politico di Sparta, in stato di libertà e di autonomia, soprattutto dediti a lavori commerciali e artigianali, attività che gli Spartiati non potevano praticare. Sull' origine dei Perieci ci sono pareri discordanti: c'è chi ritiene che derivassero da popolazioni micenee o pre-micenee assoggettate dagli Spartani al momento della loro invasione del territorio (che, a differenza di quelle divenute Iloti, non avrebbero opposto resistenza militare); un'altra ipotesi è che la loro origine risalisse a insediamenti militari situati in prossimità della frontiera; o ancora che si trattasse di Messeni privilegiati per spezzare la solidarietà fra i vinti. I Periecii erano obbligati a combattere, in posizione subalterna, a fianco di Sparta in caso di guerra. Essi rimanevano autonomi nelle loro città, ma erano obbligati al pagamento di tasse a Sparta, senza godervi di alcun diritto politico.

Gli Iloti

Gli Iloti non hanno diritti: sono schiavi pubblici in quanto lavorano terre dello Stato, assegnate in usufrutto ai cittadini i quali, come non possono vendere i propri appezzamenti di terreno, così non possono né affrancare né vendere questi schiavi-agricoltori, che sono perciò anch'essi in usufrutto degli Spartiati i quali possono al più prestarseli in caso di necessità «come fossero beni propri».

Essi svolgono anche i lavori domestici e si accompagnano ai loro «padroni», se possiamo dar credito a Plutarco quando scrive di Timaïa, moglie del re Agide II, che conversa con le sue serve ilote, confidando loro che padre del bambino che ella porta in grembo non è il marito ma l'amante. Oltre a essere anche artigiani, gli Iloti possono servire i giovani spartani durante la loro educazione: sono chiamati allora μόθωνες, móthones.

Essi devono consegnare una parte fissa - l'ἀποφορά, apophorà - della produzione agricola del fondo agricolo (kléros) al padrone, conservando il resto per il proprio sostentamento. La quantità da fornire sarebbe pari, secondo Plutarco, a 70 medimmi ( un medimno è l'equivalente di circa 52 litri) d'orzo per ogni uomo e a 12 per ogni donna, oltre a quantità d'olio e di vino.

Ogni anno i magistrati spartani dichiaravano formalmente guerra agli Iloti, così da rendere lecite aggressioni nei loro confronti. Le dure condizioni in cui si trovavano gli Iloti e il loro numero, essendo stati sempre più numerosi degli Spartiati (non si sa con sicurezza in che proporzione, forse è eccessivo il rapporto suggerito da Erodoto di 7 a 1 nel V secolo a.C.), facevano temere continuamente la possibilità di rivolte. Particolarmente significativa fu quella del 464 a.C., seguita a un terremoto che colpì la città, durante la quale gli Iloti si arroccarono sul monte Itome, nel cuore della Messenia.


Agoghè
La agoghé era un rigoroso regime di educazione e allenamento cui era sottoposto ogni cittadino spartano (eccetto gli appartenenti alle dinastie reali). Comprendeva la separazione dalla famiglia, la coltivazione della lealtà di gruppo, allenamento militare, caccia, danza e preparazione per la società.


Il termine "agoghé" (ἀγωγή) , tradotto alla lettera come 'condotta/conduzione', è una parola applicata più tradizionalmente all'allevamento del bestiame. Il supervisore durante tutto il periodo di allenamento era un paidonomos: letteralmente, un "mandriano di ragazzi". Secondo la tradizione questo tipo di educazione sarebbe stato introdotto dal semi-mitico legislatore spartano Licurgo, ma si pensa che in realtà abbia avuto i suoi inizi tra il VII e il VI secolo a.C., e veniva impartita ai ragazzi dall'età di sette anni fino ai venti.

L'obiettivo del sistema era di produrre maschi fisicamente e moralmente robusti perché potessero servire nell'esercito spartano. Questi uomini sarebbero stati le "mura di Sparta", poiché Sparta era l'unica città greca senza mura difensive – sarebbero state abbattute per ordine di Licurgo. La disciplina era rigorosa e i ragazzi venivano incoraggiati a combattere tra di loro per determinare chi fosse il più forte nel gruppo.

Struttura

L'educazione degli spartiati di Edgar Degas. Londra, National Gallery.Quando un ragazzo terminava il suo settimo anno (il giorno del suo settimo compleanno) veniva posto sotto l'autorità del paidonómos00 (παιδονόμος), un magistrato incaricato di supervisionare la sua educazione.

Ciclo dell'agoghé, secondo H. I. Marrou


dagli 8 agli 11 anni, piccolo ragazzo


Ρωβίδας / rōbídas (significato sconosciuto)
προμικκιζόμενος / promikkizómenos (ragazzo pre-giovane)
μικκι(χι)ζόμενος / mikki(chi)zómenos (ragazzo giovane)
πρόπαις / própais (pre-ragazzo)


dai 12 ai 15 anni, ragazzo


πρατοπάμπαις / pratopámpaïs (ragazzo di I anno)
άτροπάμπαις / atropámpaïs (ragazzo di II anno)
μελλείρην / melleírēn (futuro irén)
μελλείρην}} / melleírēn (idem, II anno)


dai 16 ai 20 anni,


irén εíρήν / eirēn I anno, o σιδεύνας sideúnas (sconosciuto)
II anno εíρήν
III anno εíρήν
IV anno εíρήν
πρωτείρας / prōteĩras primo-irén

Da quando i ragazzi venivano allontananti dalla famiglia vivevano in gruppi (ἀγέλαι, mandrie) sotto un ragazzo capo più grande. Erano incoraggiati a donare la loro lealtà al gruppo più che alle famiglie; anche quando erano sposati non potevano pranzare con le mogli almeno fino a 25 anni. Tuttavia i ragazzi non erano ben nutriti e ci si aspettava che rubassero del cibo. Se colti nell'atto, venivano severamente puniti (non per il furto, ma piuttosto per essersi lasciati sorprendere). A tutti gli spartiati maschi, con l'eccezione delle due dinastie reali (Agiadi ed Euripontidi), era richiesto di sottoporsi all'agoghé.

Veniva praticata una forma di pederastia spartana istituzionalizzata, da alcuni antichi storici ritenuta di natura casta; guerrieri più anziani mantenevano infatti relazioni a lungo termine con giovani con propositi pedagogici. Al ragazzo spettava richiedere la relazione, che era considerata importante nel trasmettere conoscenze e nell'assicurare la lealtà sul campo di battaglia. Quando facevano un sacrificio agli déi prima di una battaglia, gli spartani sacrificavano al dio dell'amore, Eros.

All'età di 18 anni, dopo l'agoghé, i giovani spartiati (o forse solo i più promettenti di loro) partecipavano alla κρυπτεία, un'organizzazione che metteva ulteriormente alla prova le loro abilità e rinforzava l'obbedienza della popolazione schiava (gli Iloti) incoraggiando i giovani a cercare e uccidere schiavi in un giorno particolare dell'anno.

Ai maschi che non superavano con successo l'agoghé veniva negata la cittadinanza spartana. Alla fine la severità del processo di selezione si rivelò controproducente, poiché il numero dei cittadini declinò fino a divenire di solo qualche centinaio nel III secolo a.C..

Educazione delle ragazze
Anche le ragazze avevano una forma di educazione statale che comprendeva danza, ginnastica e altri sport, insieme ad altri temi. Lo scopo era simile a quello dell'agoghé in quanto mirava a rendere le donne spartane le più attraenti fisicamente dell'intera Grecia, e a consentire loro di dare alla luce bambini sani e vigorosi. Tratti come grazia e cultura erano malvisti, a favore della temperanza fisica e della rettitudine morale. Come per i ragazzi, l'educazione delle ragazze includeva una relazione omosessuale con una donna più anziana.

Le donne spartane indossavano l'antico peplo (πέπλος) aperto su un lato, che a volte suscitava la derisione degli altri greci, che le chiamavano phainomerides, (φαινομηρίδες), "mostra-coscia." Nelle cerimonie religiose, nelle vacanze e durante gli esercizi fisici, ragazze e donne erano nude come i ragazzi e gli uomini.

sabato 24 luglio 2010

Il governo dei migliori

E' uscito il primo libro dell'Oligarca, al secolo Antonio Lucignano.
IL GOVERNO DEI MIGLIORI analizza tematiche quali elite, oligarchia, popolo, massa, avanguardia, minoranza attiva, Stato organico e popolare e le contestualizza all'oggi, dimostrando che alla vecchia democrazia liberale, di stampo anglo-americano, è possibile e necessario sostituire una Nuova Democrazia, la democrazia della qualità, il Governo dei Migliori.
E' possibile acquistare il libro (26 pagine, 5€ + spese di spedizione) su http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=477036 , e per chi abita a Roma o Napoli è possibile contattare direttamente l'autore all'indirizzo ant.lucignano@libero.it
Quello che segue è un video autoprodotto di presentazione del pamphlet politico IL GOVERNO DEI MIGLIORI:

martedì 20 luglio 2010

La ferrea legge dell'oligarchia

La legge ferrea dell'oligarchia, formulata nel 1911 dal politologo tedesco Robert Michels nel suo libro Sociologia del partito politico, teorizza che tutti i partiti politici si evolvano da una struttura democratica aperta alla base, in una struttura dominata da una oligarchia, ovvero da un numero ristretto di dirigenti. Questo deriva dalla necessità di specializzazione, che fa sì che un partito si strutturi in modo burocratico, creando dei capi sempre più svincolati dal controllo dei militanti di base. Con il tempo, chi occupa cariche dirigenti si "imborghesisce", allontanandosi dalla base e diventando un'élite compatta dotata di spirito di corpo. Nello stesso tempo, il partito tende a moderare i propri obiettivi: l'obiettivo fondamentale diventa la sopravvivenza dell'organizzazione, e non la realizzazione del suo programma. [1]

Michels, che elabora le sue tesi principalmente grazie all'osservazione del Partito Socialdemocratico Tedesco, fornisce quattro prove a sostegno della sua tesi:

1) La democrazia non è concepibile senza una qualche organizzazione.

2) L'organizzazione genera una solida struttura di potere che finisce per dividere qualsiasi partito o sindacato in una minoranza che ha il compito di dirigere e una maggioranza diretta dalla prima.

3) Lo sviluppo di un'organizzazione produce burocratizzazione e centralizzazione, che creano una leadership stabile, che col tempo si trasforma in una casta chiusa e inamovibile.

4) L'insorgenza dell'oligarchia deriva anche da fattori psicologici, in particolare la "naturale sete di potere" di chi fa politica e il "bisogno" delle persone di essere comandate. [2]

Questo approccio è stato criticato, in tempi più recenti, da Angelo Panebianco, che ha osservato che l'evoluzione dei partiti è più complessa e contraddittoria di quanto ipotizzato da Michels. Panebianco evidenzia come la base di un partito non abbia un ruolo del tutto passivo, in quanto anch'essa (e non solo i leaders) possiede risorse. Inoltre, le ideologie non sono del tutto manipolabili: quindi, gli obiettivi di un partito possono essere articolati e adattati alle mutate esigenze, ma non abbandonati del tutto

Week end in barca a vela

Ci sono molte persone per le quali andare in barca significa salire su uno yacht o su un motoscafo (che d'ora in poi chiamerò "motoschifo") e sfrecciare ad alta velocità sulle onde.
Invece, l'essenza più pura dell'andare in barca consiste nel salire su una barca a vela, studiare il venti, armare le vele e partire.
Dalla notte dei tempi, dall'origine dell'uomo, andare per mare significava farsi portare dal vento sulle onde, rispettare il Mare come si conviene ad una divinità.
Oggi, orde di arricchiti senza gusto si lanciano sui flutti come se fossero in una gara di off shore, scaricando in mare la potenza dei motori e sostanze inquinanti, strafregandosene dell'ecosistema marino e dei bagnanti.

Il 16 luglio, alle 17.30, Rachele ed io abbiamo parcheggiato a Marina di Nettuno. Lo skipper, Maurizio Carta dell'associazione Barcadicarta, ci stava aspettando al bar: eravamo i primi. Abbiamo raggiunto la nostra barca, la Libra, e siamo saliti a bordo, togliendoci subito le scarpe ed indossando i tipici mocassini da barca (Decathlon, 30 euro, perfetti).
Dopo una mezzora è giunta una coppia di amiche, infine alle 18.30 sono arrivati gli altri tre membri del più improvvisato equipaggio che la storia della marina modniale abbia mai conosciuto.
Si salpa verso le 19, destinazione Palmarola. La più selvaggia delle isole pontine ci avrebbe visto arrivare dopo 5 ore di navigazione: l'andatura è un traverso, il vento è un caldo libeccio. Io mi metto al timone praticamente subito, desideroso come sono di timonare, per la prima volta, una barca di 12 metri: ero abituato ai laser da villaggio turistico!
Verso le 21.30 rallentiamo e lo skipper comincia a cucinare: ottimi straccetti e pomodori all'insalata. Mentre le ragazze scendono sotto coperta per lavare ed asciugare i piatti, io mi rimetto al timone. Dopo un paio d'ore, giungiamo a Palmarola. Buttiamo l'ancora e andiamo sottocoperta a dormire.
La nostra stanza è la suite di prua: letto matrimoniale e bagno in camera, oblò sopra al letto. Il caldo è asfissiante, di tanto in tanto mi sveglio e mi alzo sul letto, mettendo la testa fuori dall'oblò per respirare. Un cielo stellato illumina tutto intorno: la cala dove dormiamo è stupenda!
Sveglia alle 8, colazione alle 8.30, bagno alle 9. E' il 17 luglio: io e Rachele festeggiamo l'undicesimo anniversario di fidanzamento. Il nostro ultimo anniversario prima del matrimonio. L'acqua è splendida, anche se spaventosamente calda. Circa 26 gradi! A metà mattinata, decidiamo di spostarci a Cala Francese, uno spledido luogo accessibile solo via mare. In lontantanza, la villa di Fendi.
Altra serie di bagni intervallati da un girno in canoa ed una nuotata fino a riva, dove il catrame ha macchiato alcuni di noi.
Si riparte verso le 14 e, con me al timone, ci si ferma in una gola fantastica, dove si decide di mangiare: il menù è rappresentato da un grandioso piatto di pasta al pomodoro fresco e frutta. Qualcuno propone una pennichella, ma in realtà dopo un'ora si è già tutti in acqua!
Rachele ed io prendiamo la canoa e seguiamo il Tender di Maurizio. Passiamo in mezzo a due piccoli faraglioni e ci troviamo in una corrente fortissima. Pagaiamo con forza e riusciamo a superare l'ostacolo, viriamo a sinistra e... spettacolo puro! Di fronte a noi una grotta scavata dal mare e dal vento sembra congiungere le due montagne della cala. La corrente ed il vento ci sono contrari, ma la bellezza del luogo ripaga abbondantemente il piccolo sforzo per raggiungerlo. Quanto è bella la natura, quanto è bello il Mare! I riflessi blu sono ben visibili: la purezza dell'acqua è degna della tanto decantata Sardegna. Sono questi i momenti in cui capisci che ti basta stare in canoa con la donna che ami in mezzo al mare per essere felice ed in pace con tutti, e con te stesso.
Ritorniamo alla barca, facendo qualche altra peripezia degna del miglior Kayak olimpico. Prendiamo maschera e snorkel e ci rituffiamo in mare: il fondale è purtroppo sabbioso, quindi a parte qualche pesce (che poi scopriamo chiamarsi Occhiata) non c'è molto da vedere.
Risaliamo a bordo e partiamo: destinazione Ponza, dove scenderemo a terra ed ivi ceneremo.
Andiamo a farci la doccia. Sotto coperta il moto ondoso può dar notevolmente fastidio. A ciò si aggiunga la stanchezza per una giornata al massimo e il caldo incredibile, amplificato dallo spazio angusto del bagno di una barca.
Risalgo in coperta stravolto ma vestito, pronto a scendere a Ponza. Saliamo sul tender dopo aver attraccato nei pressi del porto e raggiungiamo l'isola pontina per primi. Mentre attendiamo il resto dell'equipaggio, andiamo a farci un breve giro per l'isola, compriamo qualche souvenir e chiacchieriamo di politica.
Quando l'equipaggio è di nuovo al completo, si cerca un posto dove mangiare: alla fine andiamo al ristorante La Kambusa. Vino bianco ed acqua gelida per tutti, poi il menù. Io scelgo un pesce spada alla griglia con insalata mista; Rachele opta per una tagliata di tonno che definire deliziosa è riduttivo. Aggiungiamo a tutto ciò qualche contorno e dolci per tutti: sia Rachele che io prendiamo una torta al cocco e nutella.
Paghiamo il conto (un pò salato, 45 euro a persona) e raggiungiamo il tender. Ripartiamo alla volta della Libra, dove ci spogliamo in un amen e crolliamo a letto.
Il 18 ci svegliamo ancora più presto, in quanto una nave cisterna doveva passare e la nostra barca dava fastidio. Alle 7.30 stiamo facendo colazione, alle 8 siamo di nuovo in mare. Questa volta, oltre alle maschere e agli snorkel, indossiamo anche le pinne. Io scendo tranquillo fino a 4 metri, poi il timpano destro comincia a farmi male. Scrogiamo qualche pesce, qualche conchiglia, qualche ancora. Risaliamo a bordo verso le 10.30 e partiamo subito alla volta di Nettuno, dove arriviamo alle 17 dopo quasi sei ore di traversata. Il mare era alto, infatti praticamente tutti hanno avuto qualche problema col mal di mare. Il vento era di circa 8 nodi, e noi ci muoviamo di bolina a quasi 6 nodi di velocità. Nei pressi di Nettuno scorgiamo una regata velica: è il famoso Giro Vela, che fa tappa nel basso Lazio.
Attracchiamo nel cantiere portuale di Nettuno, facciamo i bagagli, salutiamo l'equipaggio e lo skipper e scendiamo a terra.
E' stata una esperienza fantastica, unica, che consiglio a tutti coloro che amano il mare nella sua essenza più pura e spartana. Certo, la barca a vela è più stancante dello yacht, ma vuoi mettere la gioia di andare a vela col correre sopra una specie di missile che non ha rispetto del mare?
Nessun paragone, signori.
E soprattutto: se cercate una vacanza romantica, il chiarore incredibile delle stelle, l'odore del mare, il famigerato "staccare la spina"... non c'è nulla di meglio di un week end in barca a vela.

lunedì 19 luglio 2010

Torna la munnezza a Napoli: ma non era sparita?



http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/07/18/foto/via_tribunali_dilaga_il_degrado-5665962/1/

Meno male che Berlusconi aveva tolto la munnezza dalle strade di Napoli!
Il governo delle Chiacchiere aveva inventato un'altra menzogna: a Napoli non c'è più l'emergenza rifiuti e l'inceneritore di Acerra funziona alla grande.
Queste foto, datate 18 luglio 2010, per non parlare di ciò che ci dice un punto di osservazione non bolscevico, L'Eco dalle Città:
"Continua a diffondersi il pessimismo sulla situazione rifiuti a Napoli e in provincia, soprattutto con l’avvicinarsi dell’estate. Il primo punto critico è Acerra.

Il termovalorizzatore di Acerra, infatti, funziona a scartamento ridotto da oltre un mese e sarà così fino a giugno. Da metà aprile, una delle tre caldaie dell’impianto è ferma ed i tecnici specializzati stanno provvedendo a riparare il danno.
L’inconveniente ha provocato una sensibile diminuzione della capacità di incenerire il combustibile da rifiuto: da circa 2.000 tonnellate di rifiuti bruciati al giorno, con due sole caldaie operative su tre si scende a circa 1.300 tonnellate, i due terzi.

Per i tecnici non ci sarebbe nulle di cui preoccuparsi. Ad allarmare piuttosto sono i debiti. Il governo lascia debiti per oltre 20 milioni.

E non vanno meglio nelle discariche. Chiaiano è già al 45%, e può resistere solo per i prossimi 15 mesi. Tufino ha una linea guasta e non riceve l’immondizia dei paesi che lì conferiscono. Una situazione già al collasso, che non accenna a migliorare.".

Questo articolo è del 25 maggio 2010, meno di due mesi fa.
In pratica, durante la stagione estiva (e Napoli è notoriamente una meta turistica), la munnezza torna per strada (ma non l'avevano fatta sparire?) ed il governo Berlusconi + lega nord (che di Napoli se ne strafotte altamente) dimostra, per l'ennesima volta, di produrre solo chiacchiere e menzogne.
Ovviamente, i media di regime hanno puntualmente evitato di parlare di ciò.

giovedì 15 luglio 2010

Robert Michels e la ferrea legge dell'Oligarchia



Michels studia il partito socialdemocratico tedesco e perviene alla conclusione che nel partito politico si attuano le stesse dinamiche che interessano lo Stato. Un esempio è l’SPD, che per la sua natura dovrebbe coinvolgere maggiormente le masse, ma invece è interessato da processi fortemente oligarchici. Nel suo pensiero il parlamento diventa il luogo in cui le burocrazie dei partiti si accordano, Michels dirà: “io di rivoluzioni ne ho viste tante, di democrazie mai”. Anche in un regime democratico sono i vertici del partito che si fanno eleggere: legge ferrea dell’oligarchia. In realtà nel parlamento non esiste una vera competizione tra partiti, poiché i vari dirigenti hanno interesse a perpetuare la situazione in essere.

Michels discute di questi argomenti con Max Weber, c’è bisogno di una novità in politica e la può portare solo l’”eroe carismatico”, dal momento che al parlamento viene attribuita una valenza negativa. C’è bisogno di un’idea nuova e carismatica: il fascismo; verrà, così, meno la mediazione dei partiti tra leader e popolo e si instaurerà tra di essi un rapporto diretto. A differenza di Weber, il quale ritiene che il carisma del leader si possa formare in parlamento, Michels ritiene che per esserci carisma non si possa prescindere da un rapporto diretto e non mediato con il popolo. Maggioranza e opposizione fanno finta di lottare: il loro scopo è di farsi rieleggere e di perpetuarsi al potere. Con l’adesione al fascismo trova un'alternativa alla ‘’legge ferrea dell’oligarchia’’, che ha per lui una valenza fortemente negativa. Il fascismo esprime un leader carismatico, e questo è l’unico modo per superare la pseudemocrazia che era affermata.

Approfondendo alcuni brani tratti da “L’oligarchia organica costituzionale” si possono enucleare alcuni tratti del sistema teorico di Michels:

Il parlamentarismo è una falsa leggenda: non siamo noi che votiamo i rappresentanti ma i rappresentanti che si fanno scegliere da noi,
Lo Stato non importa alla maggior parte delle persone, soprattutto per ciò che attiene le vicende prettamente istituzionali: non si può sperare che la partecipazione parta dal basso,
Le classi politiche non si sostituiscono come ci aveva spiegato Pareto; puntano, invece, all’amalgama, si servono della captazione per non perdere mai il loro potere,
L’opposizione parlamentare mira all’unico scopo, in teoria, di sostituire la classe dirigente avversaria; in pratica, invece, finisce per amalgamarsi con la classe politica al governo,
A nulla valgono i movimenti popolari, perché chi li guida abbandona la massa e viene assorbito dalla classe politica: “parte incendiario e arriva pompiere”.
Anche dalla lettura di passi tratti da “La democrazia e la legge ferrea dell’oligarchia” si possono trarre alcuni spunti interessanti:

È una funzione scientifica dimostrare l’inganno del parlamentarismo,
Non è vero che ad una rivoluzione seguirà un regime democratico,
I socialisti democratici vengono definiti “fanatici partigiani dell’organizzazione”.
“Chi dice organizzazione dice tendenza all’oligarchia”; l’organizzazione e la seguente degenerazione oligarchica causano veri e propri mutamenti genetici nei partiti socialdemocratici: le masse non possono più interferire con le decisioni, i capi non sono più gli organi esecutivi della volontà della massa ma si emancipano completamente dalla massa stessa. Tanto più grande diventerà il partito, tanto di più si riempiranno le sue casse e la tendenza oligarchica si farà strada con maggior vigore; la base non potrà più controllare in alcun modo i vertici del partito. Il regime democratico non è molto confacente ai bisogni tattici dei partiti politici: il partito politico, così come si deve organizzare per competere con gli altri partiti, è qualcosa di distante dalla comune idea di democrazia. Il principio della democrazia è ideale e legale (perché comunque si va a votare) ma non è reale in quanto, in realtà, la base non può scegliere nulla. Votando non diventiamo compartecipi del potere: “la scienza ha il dovere di strappare questa benda dagli occhi delle masse”. Anche Michels, perciò, ha un approccio scientifico e non ideologico. “La formazione di regimi oligarchici nel seno dei sistemi democratici moderni è organica”. “L’organizzazione è la madre della signoria degli eletti sugli elettori”, un esempio attuale e concreto è quello del “porcellum”.

Una frase sintetizza con efficacia il pensiero di Michels: “sulla base democratica si innalza, nascondendola, la struttura oligarchica dell’edificio”.
da Wikipedia
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Un saggio breve su Michels
http://polis.unipmn.it/pubbl/RePEc/uca/ucapdv/malandrino165.pdf
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In Michels, l’influenza del marxismo è evidente soprattutto perché, nato e cresciuto nell’ambiente culturale tedesco, da giovane, aveva militato da marxista nell’ala sinistra del partito socialdemocratico, contro i revisionisti. Forte è anche l’influenza del sindacalismo di Sorel e, poi, della sociologia di Weber. Stabilitosi poi in Italia, subì l’influenza degli studi di Mosca e Pareto ed aderì al fascismo.
Nella sua opera più famosa, La sociologia del partito politico (1911), centrale è l’idea elitistica della necessità di una minoranza organizzata mentre marxismo, socialismo, democrazia e partecipazione diretta delle masse al potere, sono i suoi costanti bersagli.
Michels afferma che le masse sono deboli e in quanto tali non possono conservare il potere; per farlo, è necessario che si organizzino ma ciò comporta uno stravolgimento nella loro struttura. Ogni organizzazione politica, sia essa un partito o un sindacato, ha bisogno di una struttura, di personale specializzato e ciò comporta, inevitabilmente, una selezione per la formazione di tale personale e l’impossibilità da parte della massa in quanto tale di esercitare un potere diretto. Si crea dunque un’organizzazione gerarchica nell’ambito della quale è possibile che, all’inizio, il capo governi come “servitore delle masse” ma presto saranno le masse a essere sottomesse al gruppo minoritario organizzato. E’ questa la legge di ferro dell’oligarchia.
Tale principio ha trovato, in effetti più conferme che smentite, ed è anche vero quanto affermato da Michels e cioè che questo fenomeno si riscontra anche nelle democrazie e all’interno dei regimi che si rifanno al marxismo.
A Michels va il merito di non aver accettato la distinzione tra maggioranza disorganizzata e minoranza organizzata come un dato di fatto ma di aver spiegato sociologicamente il processo di formazione delle élites.
Le sue affermazioni, però, vanno criticate per alcuni aspetti:
1) Michels spiega il formarsi di una oligarchia all’interno di un partito politico però egli non considera che è un conto trovarsi dinanzi a un unico partito, la cui oligarchia domina incontrastata, e altro conto è trovarsi in una società in cui vi sia una pluralità di partiti, anche se all’interno di ognuno tende a verificarsi quanto egli ha indicato;
2) Michels considera priva di importanza che la minoranza organizzata governi in una società in cui una classe ha la proprietà privata dei mezzi di produzione oppure in una società senza tale proprietà privata in quanto egli afferma che il formarsi di un’oligarchia comunque comporta una serie di privilegi. Però, un conto è parlare di privilegi che derivano dalla diversa organizzazione politico-economica della società e un conto è considerare i privilegi che derivano dall’organizzazione burocratica.
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Pino Aprile intervistato sul blog di Beppe Grillo

martedì 13 luglio 2010

Gaetano Mosca, teorico dell'Oligarchia



Insieme a Vilfredo Pareto e a Robert Michels, Gaetano Mosca è uno dei più importanti esponenti della corrente di pensiero elitistica.

Mosca, nella sua analisi sul potere politico, critica la tripartizione aristotelica delle forme di governo ( Monarchia, Oligarchia, Democrazia). Egli sostiene che esiste una sola forma di governo e di classe politica, cioè, l'oligarchia. Mosca fa tale affermazione perché sostiene che in ogni società vi sono due classi di persone: i governanti (che sono le élite che hanno il potere politico) ed i governati (il resto della società). Secondo Mosca la élite al potere è organizzata in modo tale da mantenere a lungo la propria posizione e tutelare i propri interessi, anche utilizzando i mezzi pubblici a sua disposizione.

Per questi motivi egli ritiene che la democrazia, il parlamentarismo, il socialismo siano solo delle utopie, delle teorie politiche per legittimare e mantenere un potere che è sempre in mano a pochi uomini. Infine, egli sostiene che vi è una riproduzione del potere per via democratica quando l'oligarchia permette, ai membri di qualsiasi classe sociale, l'ingresso al suo interno; vi è una riproduzione del potere per via aristocratica quando il ricambio avviene sempre all'interno della élite. Questo ricambio dipende anche dalla situazione dello stato in quel preciso momento, infatti in una condizione di guerra, l'accesso alla classe politica sarà facilitato a generali, comandanti etc.

Mosca fu senatore durante il periodo liberale e, essendo la carica vitalizia, anche durante il fascismo, ideologia con cui non si trovò assolutamente d'accordo e che lo fece riflettere sul valore di quel parlamentarismo tanto criticato nelle sue prime opere.

Mosca si occupò esclusivamente delle élites politiche, anche se non ricorse al termine élite ma al termine classe politica: il ruolo di conduzione della società è, infatti, eminentemente politico.

Nel suo pensiero, ci sono due casi ricorrenti della vita politica i quali sono solo fenomeni apparenti:

vi è un uomo solo al comando,
l’élite si fa scalzare dalla massa mossa dal malcontento.
Nel primo caso l’autocrazia si basa su una classe politica, chi è a capo del governo non può muovere contro la classe politica: principio dell’organizzazione. Nel secondo caso, la massa, nonostante creda di poter scalzare definitivamente un’élite, emanerà di nuovo una ristretta classe politica, perché senza classe politica non si governa.

Cos’è l’organizzazione? È ciò che permette alla minoranza di erigersi sulla maggioranza disorganizzata; la minoranza è organizzata in quanto è possibile darsi un'organizzazione solo tra pochi, non tra molti. È necessaria una formula politica per giustificare l’esistenza di una determinata classe politica, in caso contrario nessuno accetterebbe di farsi governare. Il venir meno dell’accettazione della formula politica è causa di mobilità: si instaurerà una nuova classe politica giustificata da una più attuale ed accettabile formula politica. È vero, come ci ha insegnato Karl Marx, dice Mosca, che la storia dell’umanità è una storia di lotta, ma non si tratta di lotta economica, bensì di lotta politica. È lotta tra una minoranza che vuole continuare ad essere classe politica e un’altra minoranza che aspira a diventarlo. La formula politica può essere ricondotta al concetto di principio di sovranità; viene escogitata artificialmente, ad arte, per esercitare il potere.

Le formule politiche non sono, comunque, semplici ciarlatanerie: sono sottese da un bisogno antropologico, l’uomo per obbedire a un comando ricerca una giustificazione. Nel 1883 scrive “Teorica dei governi e del governo parlamentare” e si interroga sul fatto che chi ha diritto di voto possa in realtà incidere sulla scelta delle élites. Egli giunge a una visione pessimistica: anche in un sistema rappresentativo, in realtà, non siamo noi a scegliere i nostri rappresentanti ma sono i nostri rappresentanti che si fanno scegliere da noi (ad esempio con il ricorso alle liste bloccate). L’elettorato incide, perciò, poco sulle scelte: l’allargamento potrebbe stare in un allargamento della base elettorale che porti verso un sistema maggiormente democratico.

Secondo Mosca ci sono due principi alla base delle classi politiche: quello autocratico (dall’alto al basso, proprio delle classi politiche aristocratiche) e quello liberale (dal basso all’alto, proprio delle classi politiche democratiche). Tali correlazioni non sono però automatiche (ad esempio vi può essere un sistema democratico ma autocratico, come la Cina dei Mandarini o, viceversa, uno stato aristocratico e liberale). La preferenza di Mosca va a un principio liberale con una classe politica democratica. Nella revisione del ’23 di “Elementi di scienza della politica” afferma che il progresso umano può avvenire solo in democrazia.

da Wikipedia

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Per quanto concerne l’organizzazione del potere nel pensiero di Gaetano Mosca: http://archiviodigitale.unimc.it/bitstream/10123/699/5/martinelli.pdf

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Nelle opere di Mosca ritroviamo due definizioni-tipo di classe politica, dirigente e politica, spesso confuse e identificate nelle seguenti elaborazioni "classe speciale di persone che forma il governo", o "forze direttrici della società e quindi vere forze politiche".

Il principio che accomuna entrambi i concetti, è quello che riconosce come unica realtà sociale, quella in cui una minoranza dominante governa la maggioranza; ma la soluzione per superare questa confusione, tra le due nozioni, è basata sulla distinzione di due livelli di generalizzazione: il primo più generale, in cui la classe politica e dirigente, sono tutt'uno, rappresentando le posizioni di potere e le forze sociali; quindi, una connotazione allargata della classe politica, in cui questa, è definita come l'insieme delle persone che esercitano la direzione politica, comprendendo la classe economicamente dominante, come i ceti abbienti, gli intellettuali, il clero, cioè tutte le capacità direttive del paese, a qualunque titolo costituite (religioso, sociale, politico).
Il secondo, più specifico, si basa sulla distinzione dei rapporti tra potere nella società e nello stato.

La teoria della classe politica, partendo dal presupposto che in qualunque sistema sociale è presente una minoranza dominante e una maggioranza dominata, giunge ad una "teoria del potere" utile per ricostruire i caratteri della formazione ed organizzazione dei gruppi politici dirigenti.
L'importanza della classe politica, sta nel fatto che la sua costituzione, determina la politica e la civiltà dei diversi popoli.
Uno dei tratti fondamentali di una società, va ritrovato nella struttura della classe politica, cioè nella relazione tra i gruppi che detengono ed esercitano il potere, partendo dal postulato che la politica è sinonimo di lotta per la supremazia.

In Mosca rintracciamo il rifiuto per l'utilizzo del termine élite, poiché il suo significato può condurre all'idea che coloro che sono al potere siano gli elementi migliori della popolazione.
Le minoranze governanti sono formate in maniera che gli individui che le compongono: "si distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale od anche morale…essi, in altre parole, devono avere qualche requisito, vero o apparente, che è fortemente apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale vivono" oppure sono gli eredi di coloro che possedevano queste caratteristiche.

Smentendo la teoria del principio ereditario nella classe politica, poiché se veramente essa appartenesse ad una razza superiore, non dovrebbe decadere o perdere il potere, come effettivamente accade, queste qualità sono costituite dal: coraggio personale, la lealtà, la capacità di lavoro, la volontà di innalzarsi, il senso di concretezza, l'energia nel comandare, ed altre ancora, che nell'insieme creano l'arte di governo.

"L'uomo di governo è colui che ha le qualità richieste per arrivare ai posti più elevati della gerarchia politica e per sapervi restare".

All'uomo di governo, che Mosca definisce arrivista e trasformista, contrappone: "Uomo di stato è colui che per la vastità delle sue cognizioni e per la profondità delle sue vedute acquista una coscienza chiara e precisa dei bisogni della società in cui vive e che sa trovare la via migliore per condurla, con le minori scosse e le minori sofferenze possibili, alla meta alla quale dovrebbe o almeno potrebbe arrivare".
Il male del governo parlamentare, è che in esso predomina la figura del politicante professionista, e manca quella dell'uomo di stato.

Articolo tratto dalla tesi di Antonella Cornaro, Teorie classiche sulla formazione delle Elites politiche: Mosca, Pareto, Michels, Weber, Gramsci


http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=62521.0

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domenica 11 luglio 2010

Rammstein - Ohne Dich



Ich werde in die Tannen gehen
Dahin wo ich sie zuletzt gesehen
Doch der Abend wirft ein Tuch aufs Land
und auf die Wege hinterm Waldesrand
Und der Wald er steht so schwarz und leer
Weh mir, oh weh
Und die Vögel singen nicht mehr

Ohne dich kann ich nicht sein
Ohne dich
Mit dir bin ich auch allein
Ohne dich
Ohne dich zähl ich die Stunden ohne dich
Mit dir stehen die Sekunden
Lohnen nicht

Auf den Ästen in den Gräben
ist es nun still und ohne Leben
Und das Atmen fällt mir ach so schwer
Weh mir, oh weh
Und die Vögel singen nicht mehr

Ohne dich kann ich nicht sein
Ohne dich
Mit dir bin ich auch allein
Ohne dich
Ohne dich zähl ich die Stunden ohne dich
Mit dir stehen die Sekunden
Lohnen nicht ohne dich


TRADUZIONE

Andrò tra gli abeti
Là dove l’ho vista per l’ultima volta
Ma la sera getta un velo sulla terra
e sui sentieri dietro il ciglio del bosco
E il bosco è così nero e vuoto
Ahimé, ahimé
E gli uccelli non cantano più

Senza te non posso stare
Senza te
Anche con te sono solo
Senza te
Senza te conto le ore senza te
Con te si fermano i secondi
Non hanno valore

Sui rami nelle fosse
ora è silenzioso e senza vita
E il respiro mi diventa così faticoso
Ahimé, ahimé
E gli uccelli non cantano più

Senza te non posso stare
Senza te
Anche con te sono solo
Senza te
Senza te conto le ore senza te
Con te si fermano i secondi
Non hanno valore

Il pensiero eterotelico

Il concetto di eterogenesi dei fini è stato formulato per la prima volta da Giambattista Vico, secondo il quale la storia umana, pur conservando in potenza la realizzazione di certi fini, non è lineare e lungo il suo percorso evolutivo può accadere che l'uomo nel tentativo di raggiungere una finalità arrivi a conclusioni opposte.

L'idea è stata poi ripresa da Vilfredo Pareto nel suo Trattato di sociologia generale dove, nella prima parte riguardante la definizione dei tipi di azione sociale e l'analisi della loro logicità e non-logicità, definisce l'eterogenesi dei fini l'esito di un particolare tipo di azione non-logica dell'essere umano e della collettività.

Partendo dal criterio di classificazione basato sulla corrispondenza della relazione mezzi-fini nella realtà oggettiva con la relazione mezzi-fine nella coscienza di chi agisce, l'eterogenesi dei fini è il risultato logicamente connesso ai mezzi impiegati da un individuo, il quale soggettivamente concepisce una certa relazione tra quei mezzi e quel fine. Tuttavia, le conseguenze oggettive non corrispondono a quelle soggettive.
In altre parole, secondo l'eterogenesi dei fini, l'attore sociale agisce credendo di ottenere un determinato risultato, mentre l'esito oggettivo delle proprie azioni sarà diverso, se non contrario, ai risultati previsti e sperati soggettivamente dall'attore. Questo perché non sempre la coscienza di chi agisce è in grado di rappresentare la relazione mezzi-fini con la stessa coerenza e con tutte le informazioni necessarie per ricreare la relazione che essi hanno nella realtà oggettiva.

mercoledì 7 luglio 2010

Russia chiave di volta del sistema multipolare



Dal sito di EURASIA - rivista di studi geopolitici
http://www.eurasia-rivista.org/3861/la-russia-chiave-di-volta-del-sistema-multipolare

ho estratto alcuni brani di un articolo molto interessante. Questi brani dipingono in maniera esauriente gli scenari entro cui deve innestarsi la Nuova Democrazia di cui ha bisogno l'Europa (nazione-continente, come la Russia): democrazia qualitativa, organica e popolare.

Sicuramente, dalla lettura di questo articolo è possibile desumere i "punti programmatici" di una Nuova Democrazia:

Il nuovo sistema multipolare è in fase di consolidamento. I principali attori sono gli USA, la Cina, l’India e la Russia. Mentre l’Unione Europea è completamente assente ed appiattita nel quadro delle indicazioni-diktat provenienti da Washington e Londra, alcuni paesi dell’America meridionale, in particolare il Venezuela, il Brasile, la Bolivia, l’Argentina e l’Uruguay manifestano la loro ferma volontà di partecipazione attiva alla costruzione del nuovo ordine mondiale. La Russia, per la sua posizione centrale nella massa eurasiatica, per la sua vasta estensione e per l’attuale orientamento impresso alla politica estera dal tandem Putin-Medvedev, sarà, verosimilmente, la chiave di volta della nuova struttura planetaria. Ma, per adempiere a questa funzione epocale, essa dovrà superare alcuni problemi interni: primi fra tutti, quelli riguardanti la questione demografica e la modernizzazione del Paese, mentre, sul piano internazionale, dovrà consolidare i rapporti con la Cina e l’India, instaurare al più presto una intesa strategica con la Turchia e il Giappone. Soprattutto, dovrà chiarire la propria posizione nel Vicino e Medio Oriente.

[...]

La Cina, l’India e la Russia, in quanto nazioni-continente a vocazione terrestre, ambiscono a svolgere le loro rispettive funzioni macroregionali nell’ambito eurasiatico sulla base di un comune orientamento geopolitico, peraltro in fase avanzata di strutturazione. Tali funzioni, tuttavia, vengono condizionate da alcune variabili, tra le quali evidenziamo:

1.le politiche di modernizzazione;

2.le tensioni dovute alle disomogeneità sociali, culturali ed etniche all’interno dei propri spazi;

3.la questione demografica che impone adeguate e diversificate soluzioni per i tre paesi.

Per quanto riguarda la variabile relativa alle politiche di modernizzazione, osserviamo che essendo queste troppo interrelate per gli aspetti economico-finanziari con il sistema occidentale, in particolare modo con gli USA, tolgono alle nazioni eurasiatiche sovente l’iniziativa nell’agone internazionale, le espongono alle pressioni del sistema internazionale, costituito principalmente dalla triade ONU, FMI e BM (2) e, soprattutto, impongono loro il principio dell’interdipendenza economica, storico fulcro della espansione economica degli USA. In rapporto alla seconda variabile, notiamo che la scarsa attenzione che Mosca, Beijing e Nuova Delhi prestano verso il contenimento o la soluzione delle rispettive tensioni endogene offre al loro antagonista principale, gli USA, occasioni per indebolire il prestigio dei governi ed ostacolare la strutturazione dello spazio eurasiatico. Infine, considerando la terza variabile, riteniamo che politiche demografiche non coordinate tra le tre potenze eurasiatiche, in particolare quelle tra la Russia e la Cina, potrebbero, nel lungo periodo creare contrasti per la realizzazione di un sistema continentale equilibrato.

I rapporti tra i membri di questa classe decidono le regole principali della politica mondiale.

In considerazione della presenza di ben 4 nazioni-continente (tre nazioni eurasiatiche ed una nordamericana) è possibile definire l’ attuale sistema geopolitico come multipolare.


[...]


GLI INSEGUITORI



L’appartenenza dell’Unione Europea a questa classe di attori è dovuta alla sua situazione geopolitica e geostrategica. Nell’ambito delle dottrine geopolitiche statunitensi, l’Europa è sempre stata considerata, fin dallo scoppio del secondo conflitto mondiale, una testa di ponte protesa verso il centro della massa eurasiatica (5). Tale ruolo condiziona i rapporti tra l’Unione Europea e i Paesi esterni al sistema occidentale, in primo luogo la Russia e i Paesi del Vicino e Medio Oriente. Oltre a determinare, inoltre, il sistema di difesa della UE e le sue alleanze militari, questo particolare ruolo influenza, spesso anche profondamente, la politica interna e le strategie economiche dei suoi membri, in particolare quelle concernenti l’approvvigionamento di risorse energetiche e di materiali strategici, nonché le scelte in materia di ricerca e sviluppo tecnologico. La situazione geopolitica dell’Unione Europea pare essersi ulteriormente aggravata con il nuovo corso impresso da Sarkozy e dalla Merkel alle rispettive politiche estere, volte più alla costituzione di un mercato transatlantico che al rafforzamento di quello europeo.

Le variabili che potrebbero permettere, nell’attuale momento, ai paesi membri dell’Unione Europea di passare alla categoria degli emergenti concernono la qualità ed il grado di intensificazione delle loro relazioni con Mosca in rapporto alla questione dell’approvvigionamento energetico (North e South Stream), alla questione sulla sicurezza (NATO) ed alla politica vicino e mediorientale (Iràn, Israele). Che quanto appena scritto sia possibile è fornito dal caso della Turchia. Nonostante l’ipoteca NATO che la vincola al sistema occidentale, Ankara, facendo leva proprio sui rapporti con Mosca per quanto concerne la questione energetica, ed assumendo, rispetto alle direttive di Washington, una posizione eccentrica sulla questione israelo-palestinese, è sulla via dell’emancipazione dalla tutela nordamericana.



[...]



Gli elementi che hanno permesso alla Russia di riaffermare la sua importanza nel contesto eurasiatico, molto schematicamente, sono:

1.riappropriazione da parte dello Stato di alcune industrie strategiche;

2.contenimento delle spinte secessionistiche;

3.uso “geopolitico” delle risorse energetiche;

4.politica volta al recupero dell’ “estero vicino”;

5.costituzione del partenariato Russia-NATO, quale tavolo di discussione volto a contenere il processo di allargamento del dispositivo militare atlantico;


6.tessitura di relazioni su scala continentale, volte ad una integrazione con le repubbliche centroasiatiche, la Cina e l’India;

7.costituzione e qualificazione di apparati di sicurezza collettiva (OTSC e OCS).


(IN GRASSETTO SONO ELENCATI INTERESSANTISSIMI SPUNTI PER LA NUOVA DEMOCRAZIA DA COSTRUIRE IN EUROPA, n.d.A.)

Se la gestione prima di Putin ed ora di Medvedev dell’aggregato di elementi sopra considerati ha mostrato, nelle presenti condizioni storiche, il ruolo della Russia quale spina dorsale dell’Eurasia, e dunque quale area gravitazionale di qualunque processo volto all’integrazione continentale, tuttavia non ne ha messo in evidenza un carattere strutturale, importante per i rapporti russo-europei e russo-giapponesi, quello di essere il ponte eurasiatico tra la penisola europea e l’arco insulare costituito dal Giappone.

La Russia considerata come ponte eurasiatico tra l’Europa e il Giappone obbliga il Cremlino ad una scelta strategica decisiva per gli sviluppi del futuro scenario mondiale, quella della destrutturazione del sistema occidentale. Mosca può conseguire tale obiettivo con successo, nel medio e lungo periodo, intensificando le relazioni che coltiva con Ankara per quanto concerne le grandi infrastrutture (South Stream) e avviandone di nuove in rapporto alla sicurezza collettiva. Accordi di questo tipo provocherebbero di certo un terremoto nell’intera Unione Europea, costringendo i governi europei a prendere una posizione netta tra l’accettazione di una maggiore subordinazione agli interessi statunitensi o la prospettiva di un partenariato euro-russo (in pratica eurasiatico, considerando i rapporti tra Mosca, Pechino e Nuova Delhi), più rispondente agli interessi delle nazioni e dei popoli europei. Una iniziativa analoga Mosca dovrebbe prenderla con il Giappone, inserendosi quale partner strategico nel contesto delle nuove relazioni tra Pechino e Tokyo e, soprattutto, avviando, sempre insieme alla Cina, un appropriato processo di integrazione del Giappone nel sistema di sicurezza eurasiatico nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.


[...]



Tra gli elementi sopra considerati, relativi al ruolo globale che la Russia potrebbe svolgere, la politica vicino e mediorientale del Cremlino sembra essere quella più problematica. Ciò a causa dell’importanza che questo scacchiere rappresenta nel quadro generale del grande gioco mondiale e per il significato particolare che ha assunto, a partire dalla crisi di Suez del 1956, in seno alle dottrine geopolitiche statunitensi. Come si ricorderà, la politica russa o meglio sovietica nel Vicino Oriente, dopo un primo orientamento pro-sionista degli anni 1947 – 48, peraltro trascinatasi fino al febbraio del 1953, quando si consumò la rottura formale tra Mosca e Tel Aviv, si volse decisamente verso il mondo arabo. Nel sistema di alleanze dell’epoca, l’Egitto di Nasser divenne il paese fulcro di questa nuova direzione del Cremlino, mentre il neostato sionista rappresentò lo special partner di Washington. Tra alti e bassi la Russia, dopo la liquefazione dell’URSS, mantenne questo orientamento filoarabo, seppur con qualche difficoltà. Nel mutato quadro regionale, determinato da tre eventi principali:


a) inserimento dell’Egitto nella sfera d’influenza statunitense;

b) eliminazione dell’Iraq;

c) perturbazione dell’area afgana che testimoniano l’arretramento dell’influenza russa nella regione e il contestuale avanzamento, anche militare, degli USA, il paese fulcro della politica vicino e mediorientale russa è rappresentato logicamente dalla Repubblica islamica dell’Iràn.

Mentre ciò è stato ampiamente compreso da Pechino, nel quadro della strategia volta al suo rafforzamento nella massa continentale euroafroasiatica, lo stesso non si può dire di Mosca. Se il Cremlino non si affretta a dichiarare apertamente la sua scelta di campo a favore di Teheran, adoperandosi in tal modo a tagliare quel nodo di Gordio che è costituito dalla relazione tra Washington e Tel Aviv, correrà il rischio di vanificare il suo potenziale ruolo nel nuovo ordine mondiale.

Il volto della democrazia liberale italiana

Manifestazione di quei sovversivi comunisti meglio noti come "terremotati de L'Aquila". Dopo i plastici di Porta a Porta, e le decantate capacità del Governo Berlusconi di risolvere i problemi degli aquilani colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009, oggi c'è stata una manifestazione di cittadini aquilani a Roma.
Così hanno risposto le Forze dell'Ordine.



E voglio dirlo chiaro e tondo: la colpa non è degli agenti di polizia, ma di chi li comanda e ordina loro di caricare persone inermi ed inoffensive.

CasaPound: "Alemanno servo delle lobbies"




‘’Alemanno si dimostra ancora una volta un sindaco a mezzo servizio, pronto a scendere in campo solo quando vengono toccati gli interessi delle lobby che rappresenta’’. Ad affermarlo è il vicepresidente di CasaPound Italia, Simone Di Stefano, che commenta così le dichiarazioni del sindaco di Roma sulla presa di posizione del governatore del Veneto Luca Zaia, che ieri aveva invitato Unicredit a pensare al Nord anziche’ all’As Roma.

‘’Oggi – spiega Di Stefano - il primo cittadino della Capitale si è scagliato contro la Lega perché, ha detto, ‘dimenticare che Unicredit è nata anche dalla Banca di Roma significa tradire i risparmiatori’.
Di fronte a una così solerte reazione viene spontaneo chiedersi se raddoppiare le rette degli asili nido, ignorare del tutto questioni cruciali come l’emergenza abitativa che soffoca Roma e non spendere una parola per la tutela delle fasce deboli non significhi 'tradire' la città’’.

‘’Alemanno – conclude Di Stefano - evidentemente si sente in dovere di tutelare i poteri che ritiene lo abbiano portato in Campidoglio o che spera lo possano portare ancora più in alto, ma sbaglia, perché a farlo sindaco sono stati i romani, ed è a loro che lui deve rispondere: a quei cittadini, che, esasperati dalla gestione ‘spartitoria’ in cui Veltroni fu maestro, ingenuamente speravano in un cambiamento di rotta e invece si sono ritrovati con un primo cittadino ostaggio di banche, costruttori e lobby religiose’’.




Ho postato su L'OLIGARCA questo intervento di Di Stefano, perchè spiega al meglio quanto incancrenita sia la democrazia quantitativa italiana.
Alemanno è stato prontissimo a rispondere a questo tema, mentre è molto lento a rispondere su tanti altri temi.
Mi piace anche sottolineare una cosa, e lo dico da NON iscritto nè militante di CasaPound: Di stefano parla di "chiedersi se raddoppiare le rette degli asili nido, ignorare del tutto questioni cruciali come l’emergenza abitativa che soffoca Roma e non spendere una parola per la tutela delle fasce deboli non significhi 'tradire' la città’’.
Parole che potrebbe sottoscrivere anche un militante di "sinistra": ciò ad ulteriore dimostrazione che la dicotomia destra/sinistra è ormai incapace di comprendere i fenomeni sociali contemporanei. Oggi più che in passato, su certi temi non c'è differenza tra destra e sinistra.
La differenza è sempre e solo tra i difensori di questa vecchia democrazia (in questo caso, veltroniani e alemanniani) e chi lotta per una Nuova Democrazia.

La Russa, il Ministro della Difesa, non conosce l'Esercito.

Il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ex fascista del MSI, ex colonnello di AN, esponente della destra italiana, ignora COMPLETAMENTE la condizione dei militari italiani in ferma breve. Addirittura, ammette di non conoscere nulla della situazione dei militari (è il ministro della DIFESA!), e si permette di chiedere: "Avete fatto questo anno di militare?".
In pratica, il Ministro della Difesa della Repubblica Italiana non sa ASSOLUTAMENTE NULLA della condizione di lavoro e vita dei militari italiani, non conosce le basilari regole di selezione del personale militare volontario, ignora la struttura dell'Esercito Italiano (VFB, VFA, VF+1, ecc...).
La "democrazia" liberale occidentale consente a questi individui di diventare ministri: La Russa, che essendo di destra dovrebbe essere in teoria maggiormente esperto di queste tematiche rispetto ad un esponente di sinistra, guida il dicastero che dirige la nostra difesa nazionale.
Stiamo davvero in pessime mani!

martedì 6 luglio 2010

L'Oligarca - 5/7/2010

Il primo video de L'Oligarca.
Poco più di un messaggio di prova, questo video sarà il primo di una serie che, al momento, non avrà cadenza quotidiana.
Parlerò solo quando avrò qualcosa da dire.
Vi saluto.


domenica 4 luglio 2010

Contro la concezione contemporanea di Democrazia.

Dichiararsi antidemocratici oggi può produrre un duplice effetto negativo: si rischia di essere considerati pericolosi fascisti o comunisti; oppure di essere ritenuti degli stupidi estremisti.
In entrambi i casi, quindi, tutto ciò che noi dicessimo dopo esserci definiti "antidemocratci" perderebbe di valori per i nostri interlocutori, anche se dicessimo cose giuste e perfino sacrosante. La "società dell'immagine", uno dei tanti prodotti di questa democrazia liberale di stampo anglo-americano in cui tutti noi siamo costretti a vivere, ci impone delle etichette, le quali danno o tolgono valore a ciò che siamo, diciamo e facciamo: l'etichetta di antidemocratico è, sicuramente, tra quelle che tolgono valore, al giorno d'oggi.
Pertanto non è utile alla causa definirsi antidemocratici, e se vogliamo non è neanche corretto. Essere contro la democrazia liberale di stampo anglo-americano, contro QUESTA democrazia, non implica necessariamente essere contro la Democrazia in generale.
La storia dell'ultimo secolo ci ha consegnato piccoli e perfettibili esempi di Democrazia Socialista (il cosiddetto Socialismo reale), od anche di Democrazia Organica (il Corporativismo). Piccoli e perfettibili esempi che, però, hanno dimostrato la possibilità, prima ancora della necessità, di un tipo diverso di democrazia, di una NUOVA DEMOCRAZIA.
Ragion per cui, più che antidemocratici, conviene dichiararsi contrari alla corrennte e predominante concezione di Democrazia.
Già Aristotele, quando esaminò tre forme diverse di governo (Monarchia, Aristocrazia e Democrazia), evidenziò il pericolo principale di ogni democrazia: potere gestito dalla massa, dittatura della maggioranza, "quantitativismo" politico e per ciò stesso dispotico e autoritario.
Non è possibile negare, se si è onesti, che nel 2010 i pericoli della Democrazia sono sempre i medesimi, accentuati inoltre dalla predominanza che il fattore economico ha assunto nel governo della cosa pubblica da quando il Capitalismo è divenuto il nuovo sistema economico, la Borghesia è assunta a nuova classe dominante, il Liberalismo è stato considerato l'unico esempio di democrazia reale. La triade rivoluzionaria (Libertà, Uguaglianza e Fratellanza) avrebbe dovuto riassumere in sè i fondamenti di ogni vera democrazia: purtroppo per gli stolti che ci hanno creduto, la Libertà (intesa soprattutto come liberismo economico e come libertarismo dei costumi) ha letteralmente dominato l'Uguaglianza e la Fratellanza, ormai ridotte a mere enunciazioni formali prive di ogni sostanza.
La democrazia antica (da Sparta ad Atene, fino alla Roma repubblicana), organica come organico era lo Stato, poneva a fondamento di tutto l'Uguaglianza, intesa però non come appiattimento, cancellazione delle differenze, uniformità, nè come governo degli strati culturalmente e civilmente più bassi della popolazione; bensì, come parità fra pari, solidarietà tra appartenenti ad un medesimo gruppo sociale (militari, politici, magistrati), in cui tutti "contavano lo stesso" in quanto appartenenti alla stessa organizzazione sociale, ma tutti "erano diversi" perchè diverse erano le organizzazioni sociali di cui si componeva lo Stato. Traducendo questo discorso oggi e declinandolo secondo l'attualita socio-economica, possiamo affermare che la Democrazia deve necessariamente garantire il principio "tutti uguali, tutti diversi", organizzarsi in gruppi sociali omogenei e permettere alle stesse organizzazioni sociali di governare liberamente. Sarà poi il Popolo (Demos) a togliere o confermare il mandato di governo (Cratos) passato un ragionevole lasso di tempo: nelle democrazie contemporanee, in genere la durata degli incarichi è tra i 4 e i 5 anni, ma nella Roma repubblicana, ad esempio, vi erano anche cariche della durata di un solo anno.
Su questo punto è possibile, quindi, prendere le distanze anche da un altro tipo di democrazia: la democrazia partecipata o "dal basso". Aspirazione tipica del liberalismo plebiscitario, la democrazia partecipata si propone di investire la Massa del potere politico ed economico di una comunità, abolendo la figura del Rappresentante del Popolo (sia esso un consigliere, un deputato, un delegato sindacale o altro). L'idea fondante di questa tipologia democratica liberale è che la massa (cui si da' impropriamente il nome di "popolo") sia capace di curare i propri interessi meglio degli eletti. La domanda sorge spontanea: quali interessi? Quelli dello stomaco? Quelli che riducono i problemi di uno Stato al prezzo del pane, al parcheggio sotto casa, al condono edilizio, al piazzare mio figlio in qualche posto? Questi sono gli interessi delle masse, e partiti come il PDL e la Lega Nord lo hanno capito benissimo. Infatti entrambi i partiti propongono cambiamenti alla struttura istituzionale italiana, sempre nella direzione di una maggiore democrazia diretta e di un più spinto liberalismo plebiscitario.
Pensiamo al voto: nella democrazia liberale di stampo anglo-americano governa chi ottiene la metà più uno dei voti. Non c'è nessuna garanzia del fatto che la maggioranza dei voti venga espressa dagli strati culturalmente e socialmente più validi della comunità. Il voto di chi ignora le norme costituzionali e le elementari leggi dello Stato viene equiparato al voto di chi le conosce, le rispetta, le critica. La lobotomia mediatica cui tutti siamo soggetti attecchisce sulla massa informe con preoccupante facilità.
La strada da percorrere è completamente un'altra. Invece di continuare ad abbassare il baricentro decisionale della democrazia, bisogna urgentemente rialzarlo. E' necessario sostituire alla democrazia della quantità, della dittatura della maggioranza, la democrazia della qualità, meritocratica e organica. Il diritto di voto andrebbe concesso solo a coloro che, ad ogni tornata elettorale, dimostrino di conosce le regole del vivere civile e la Costituzione dello Stato in cui vivono. Il Popolo, finalmente consapevole, potrà quindi esprimere davvero liberamente il proprio voto per questo o quel Rappresentante del Popolo candidato in un partito, e dopo un tempo ragionevole decidere se confermarlo o meno. Per evitare che i Rappresentanti si affezionino troppo alla "poltrona", sarà necessario prevedere una rotazione ed una impossibilità di ricandidarsi negli stessi ruoli.
La strada da percorrere è quella che conduce ad una nuova democrazia.

Contro la concezione democratica contemporanea

venerdì 2 luglio 2010

Elitismo

In un suo studio condotto sulla città di Atlanta, capitale della Georgia, e pubblicato nel 1959, Hunter dimostrava che l’intero potere era saldamente e stabilmente nelle mani di pochi uomini d’affari (SOLA 2000: 238). Un elitista non avrebbe perso tempo a fare un simile studio, dal momento che egli dà per scontato che questa è la regola. L’elitista crede che la stragrande maggioranza di cittadini non sia capace di autogovernarsi e abbia bisogno di guide, e approva e sostiene la società duale. Ecco, per esempio, cosa direbbe Mises: “Che gli uomini non siano tutti uguali, che alcuni siano cioè nati per guidare e altri per essere guidati, è una circostanza che nemmeno le istituzioni democratiche possono modificare” (1990: 97). “L’elemento centrale della dottrina elitista – scrive Rush – è che in qualsiasi sistema politico è una minoranza della popolazione a prendere le decisioni fondamentali” (1994: 70). Gli elitisti partono da questa constatazione: tutte le società della storia sono «duali», sono cioè divise cioè in una minoranza che governa e una maggioranza che è governata. E concludono: «è bene che sia così e non può essere che così».

6.1. La teoria elitista
La teoria elitista parte dalla ovvia constatazione che “in tutte le società […] esistono due classi di persone: quella dei governanti e quella dei governati” (MOSCA 1994: 50) e dalla convinzione che la società duale risponda “ad un vero bisogno della natura sociale dell’uomo” (MOSCA 1994: 70). Secondo Mosca è inevitabile che una minoranza organizzata assuma il governo delle masse perché, “non ci può essere una organizzazione umana senza una gerarchia, e qualunque gerarchia necessariamente richiede che alcuni comandino e gli altri ubbidiscano e, poiché è nella natura degli uomini che molti di essi amino il comandare e che quasi tutti si adattino ad ubbidire, riesce assai utile una istituzione, la quale dà a coloro che stanno in alto la maniera di giustificare la loro autorità e nello stesso tempo aiuta potentemente a persuadere coloro che stanno in basso a subirla” (1994: 194). E, se così non fosse, “qualunque organizzazione e qualunque compagine sociale sarebbe distrutta” (MOSCA 1994: 51).
Che lo dichiari espressamente o meno, l’elitista è convinto che ci sono due tipi di uomini: gli uomini con capacità superiori (i più forti, i migliori, l’élite, i dominatori), e quelli con capacità inferiori (i più deboli, il popolo, le masse, i dominati). I primi, e solo loro, governano e devono governare, legiferano e devono legiferare, comandano e devono comandare. Tutti gli altri devono essere esclusi dal potere, perché non ne sono all’altezza. Come eterni bambini essi dovranno essere tenuti sotto tutela da qualcuno che decida per loro e stabilisca cosa sia il loro bene e il loro male e come debbano essere felici.
È la logica che gli ebrei hanno eretto a proprio modello ideale politico e che invece è stata respinta dai greci a favore di una divisione delle responsabilità fra tutti i cittadini. Ebbene, la storia insegna che, sotto questo riguardo, gli ebrei sono stati i veri trionfatori. La loro logica, infatti, ha prevalso in tutti i paesi e in tutte le epoche, consacrando l’idea che il popolo è radicalmente incapace di assumersi responsabilità politiche e deve essere guidato da un capo. Quest’idea è stata interiorizzata dalle masse, che si sentono già onorate ed appagate per il solo fatto di essere chiamate in causa nelle periodiche consultazioni elettorali. Ma gli elitisti sanno bene che la DR è solo un’illusione di democrazia e che le elezioni non costituiscono un segno del potere del popolo: esse sono solo una sorta di battaglia senza spargimento di sangue condotta dalle élites dominanti che competono per la conquista del potere.
L’idea di un autogoverno popolare è ritenuta dall’e. una pura fantasia, dal momento che il potere è sempre stato gestito da pochi individui o da pochi gruppi. “Non è il popolo che aspira ad autogovernarsi. La figura del popolo che si autogoverna è, al contrario, una creazione degli intellettuali: serve a legittimare la loro aspirazione ad unificare nelle proprie mani, in una società dominata dalla ragione e dalla scienza, la stessa egemonia che nella società dominata dalla fede si spartirono tra loro chierici e signori feudali” (SETTEMBRINI 1994: 70). Anche secondo Croce, le masse non sono in grado di autogovernarsi e non sanno essere protagoniste della storia: il potere è detenuto solo dalle classi dominanti. Le stesse elezioni non costituiscono un segno del potere del popolo: sono solo una sorta di sondaggio della pubblica opinione da parte dei dirigenti.
Per gli elitisti, in tutte le società si possono distinguere due classi di persone, pochi governanti e tanti governati e, per conseguenza, tutti i governi non sono altro che oligarchie. È la conseguenza ineluttabile dell’ottusità delle masse, che hanno bisogno delle dande per muoversi sicuri. Moses ne è più che certo: “È vero che le masse non pensano. Ma è propria per questa ragione che esse seguono quelli che lo fanno. La guida intellettuale dell’umanità appartiene ai pochissimi che pensano da soli” (1990: 556). Pareto è esplicito: “Lasciando da parte la finzione della «rappresentanza popolare» e badando alla sostanza, tolte poche eccezioni di breve durata, da per tutto si ha una classe governante poco numerosa, che si mantiene al potere, in parte con la forza, in parte con il consenso della classe governata, molto più numerosa” (1920: 444). La forza dei governanti è legata alla loro organizzazione: cento persone organizzate prevarranno su mille persone disunite.
A differenza del marxismo, gli elitisti negano che la storia sia fatta di lotte di classi e affermano che non c’è alcuna alternanza di classi al potere, che la classe dei poveri non ha mai governato, che il popolo non esiste come forza politica, così come non esiste una volontà popolare, che esistono solo dei leader e che la storia “è lotta di minoranze per la supremazia” (SOLA 2000: 12). I leader sono soggetti rapaci che, appoggiati da un’élite di ricchi signori, manipolano le masse, le utilizzano per i propri fini, le condizionano e le sfruttano concedendo loro, a malapena, il minimo per la sussistenza. Essi impongono la propria legge facendo credere alla gente che si tratta della legge migliore possibile nell’interesse di tutti, a volte consentono alle masse di scegliere l’élite da cui vogliono essere governate, ma non riconoscono alle stesse il diritto di chieder conto del loro operato.
Di fatto, i leader si pongono al di sopra delle leggi e governano in modo «irresponsabile», così che non possono essere chiamati in giudizio in caso di fallimentare amministrazione dello Stato o di cattiva condotta. Ciò non vale solo per le monarchie o per i governi antichi: vale anche per le moderne democrazie dove, come sostiene Schumpeter, partendo da una lista di pochi nomi imposti dall’alto, i cittadini eleggono un capo e a lui affidano il governo del paese. Gli elitisti, dunque, “sottoscrivono l’esistenza di un’unica élite del potere, monolitica, omogenea per provenienza e situazione sociale, tendenzialmente irresponsabile e per giunta espressione, diretta o mediata, del potere economico” (SOLA 2000: 228).

6.2. Elitismo e darwinismo sociale
La teoria elitista presenta una spiccata compatibilità con la teoria della selezione naturale elaborata da Darwin, con la quale si presta ad essere integrata. Entrambe, infatti, sostengono che gli esseri viventi competono fra loro e i più forti dominano (e, a volte, eliminano) i più deboli. Una magistrale sintesi fra le due teorie è stata attuata da Herbert Spencer (1820-1903), il quale estende al collettivo quello che Darwin ha proposto in ambito biologico-individuale, dando così origine al cosiddetto darwinismo sociale, che riscuoterà un grande successo e diventerà la filosofia dominante nella seconda metà dell’Ottocento. Da tale filosofia prende origine la dottrina elitista, che è illustrata nelle opere di Mosca, Pareto e Michels, a cavallo tra XIX e XX secolo, e si sviluppa sui seguenti punti fondamentali:
1. Tutti gli uomini competono fra loro.
2. Da questa competizione emergono i più forti (élites), che si appropriano del potere.
3. In ogni tempo e in ogni luogo il potere è concentrato nelle mani di una piccola minoranza e pertanto ogni governo è oligarchico.
4. Le minoranze dominanti sono organizzate o comunque molto meglio organizzate rispetto alla maggioranza subordinata.
5. Il diritto è imposto dalla classe dominante, apparentemente nel nome di un dio o del popolo, in realtà con la forza.
6. La legge è generata dai potenti e serve ai loro interessi.
7. La legge non può essere uguale per tutti, poiché vi sono cittadini di serie A (i membri delle élites) e cittadini di serie B (il cosiddetto popolo). Perciò, tutte le società sono duali.
8. Le élites possono essere chiuse, come avviene nei regimi aristocratici e autocratici, o aperte, come è il caso delle democrazie, ma sono sempre ristrette.

6.3. Le ragioni di un successo
L’elitismo può essere considerato una delle teorie politiche di maggior successo di tutti i tempi, e i suoi sostenitori sono innumerevoli: Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels costituiscono solo la punta dell’iceberg. La posizione degli elitisti appare in grande spolvero anche ai nostri giorni e, infatti, perfino i più illustri pensatori di fede democratica, come N. Bobbio (1991: 47-9), G. Sartori (1993: 295) e D. Settembrini (1994: 70), continuano a ritenere che il popolo sia incapace di autogovernarsi e che non si possa andare più in là della democrazia rappresentativa. Lo stesso fa Salvador Giner, uno dei massimi sociologi spagnoli, secondo il quale la democrazia diretta è un “sistema auspicabile ma difficile da mettere in pratica” (1998: 71). Ora, questa sfiducia generale non fa che favorire e rafforzare le posizioni elitiste.
La maggior parte dei cittadini non s’intende di politica e molti non si preoccupano nemmeno di esercitare il proprio diritto di voto? Va bene così, ripetono gli elitista con Platone. È bene che il popolo non prenda alcuna iniziativa: se lo facesse sarebbe un disastro. La politica, diceva Platone, è roba da filosofi. Da parte loro, gli elitisti affermano: «la politica è roba da professionisti». Cambiano le parole, ma la sostanza è la stessa. In entrambi i casi, infatti, più che di democrazia dovremmo parlare di oligarchia: “la teoria elitista sostiene che la democrazia può funzionare e sopravvivere solo nelle forme di una oligarchia de facto di politici professionisti e burocrati; che la partecipazione popolare deve esserci solo in occasione delle elezioni, in altri termini che un’apatia politica è un segno di salute” (Finley 1972: VII).

6.4. Questioni aperte
Rimangono aperte alcune questione. È proprio vero che i governanti siano i migliori? È proprio vero che il popolo sia incapace di autogovernarsi? Gli elitisti non appaiono interessati a siffatte questioni e danno per scontato che chi governa ha già dimostrato di avere sbaragliato la concorrenza e di essere il più forte. Essi non si pongono la domanda se il governante sia veramente il più meritevole o se tutti i cittadini comuni siano veramente incapaci di assumersi responsabilità politiche. L’elitista non si chiede «chi deve comandare?», dando per scontato che comandano i migliori, né s’interroga su un possibile governo del popolo, dal momento che, secondo lui, in tutti i tipi di governo, comanda sempre il più forte. In definitiva, gli elitisti “tendono a dare una definizione molto ristretta della democrazia che, nel migliore dei casi, è considerata come un mezzo per scegliere coloro che prendono le decisioni e per frenare i loro eccessi” (HELD 1997: 221).

6.5. Limiti
Gli elitisti sono pragmatici e descrivono in modo fedele ciò che si vede, allo stesso modo di una macchina fotografica che immortala la scena per come appare da un certo punto di osservazione. Quello che in loro difetta è lo spirito critico, la voglia di chiedersi se ciò che essi vedono potrebbe cambiare se cambiano le condizioni o il punto di osservazione. L’elitista si affretta a giustificare l’apparenza, senza indugiare a chiedersi il perché delle cose che vede, senza argomentare adeguatamente il suo giudizio, ovvero senza preoccuparsi di dimostrare né che i dominanti sono anche i migliori, né che le masse sono veramente incapaci.

http://studisudemocrazia-formedigoverno.blogspot.com/2009/08/6-elitismo.html