lunedì 31 marzo 2014

Eurocrazia e indipendenza (fumetto)


Dopo ieri, continuiamo con l'esperimento pseudofumettistico.
Il post di oggi riguarda il risveglio identitario ed indipendentista in Europa: a partire dai Catalani, passando per gli Scozzesi, e arrivando ai Siciliani, che ieri hanno realizzato una grandiosa marcia per l'indipendenza. E il Sistema? L'Eurocrazia? Se ne sbatte, minimizzando la rabbia dei popoli.





domenica 30 marzo 2014

La statua di Garibaldi (fumetto)

Vi propongo oggi un fumetto. O meglio, una specie di fumetto... dato che in questo ambito sono un esordiente totale. Diciamo che questa è una prova, un tentativo di utilizzare un altro canale di espressione e di comunicazione.
Vi piace?


sabato 29 marzo 2014

Regno delle Due Sicilie, ovvero "la Germania d'Italia"



Pochi anni fa Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles, spulciò tra gli archivi delle Borse di Anversa e Parigi per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia. Il motivo è semplice: nella storia dello stato moderno, di ispirazione giacobina, quella iniziata nel 1861 è l'esperienza più vicina al faticoso tentativo di dare maggiore consistenza e unità politica alla UE, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali (compresi i debiti sovrani) degli stati europei. "Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati" ricordava la studiosa. 
Dopo l'invasione del Regno delle Due Sicilie, i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean"). La Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro faticoso di raccolta dati dai database e dagli archivi originali per capire come si sono mosse le quotazioni. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.

La prima cosa che balza agli occhi è lo spread tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo la sedicente Unità: quelli del Regno delle Due Sicilie (pari a un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). 
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno delle Due Sicilie economicamente stava all'Italia come la Germania oggi sta all'Eurozona. "Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto", scriveva la Collet, la quale ricordava che Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia e che le regioni del Sud avevano un'agricoltura fiorente (anche se basata sul latifondismo), una discreta struttura industriale e aree portuali commercialmente importanti.

Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi: esattamente lo stesso timore che oggi la Germania vive con gli eurobond. Nel 1862, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che la sedicente Unità era ormai irreversibile. "L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa" affermava Collet, prima di concludere il proprio lavoro e dimostrare, ancora una volta, quanto il Regno delle Due Sicilie fosse, nel confronto con l'Europa di oggi, "la Germania d'Italia".
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venerdì 28 marzo 2014

'Na tazzulella 'e cafè napulitano pe' Report



Mauro Illiano, napoletano, classe 1981, di caffè se ne intende. La sua formazione gastronomica è il risultato dell’assemblaggio di una serie di nozioni apprese in Italia e non. Nomade convinto, ha visitato tutti e 5 i continenti, partecipando a molteplici corsi afferenti i diversi mondi del vino, della birra del whisky e del caffè.


Proprio in merito al caffè nel 2012 intraprende una ricerca per l’AIS (Associazione Italiana Sommeliers) Delegazione di Napoli sui Caffè unitamente a Fosca Tortorelli.

Insieme fondano la rubrica Espressamente Napoletano, che racchiude numerosissime degustazioni di Caffè sul territorio partenopeo in forma di schede trasposte in una mappa virtuale perennemente “in progress” pubblicata on-line sul sito http://www.aisnapoli.it/.
Dopo l’ “attacco” alla bontà del nostro caffè da parte del programma Report abbiamo deciso di fare due chiacchiere con lui sull’eccellenza del nostro “oro nero”.

Illiano ha visto il video di Godina? Che ne pensa?
Indipendentemente dal video, non c’è niente di nuovo per me. Il dibattito sul modo di “fare” il caffè non è una novità. Da due anni degusto Caffè in tutta Napoli, ed ho imparato che nella sola nostra città, pur essendovi uno stile ben definito, esistono tanti modi di interpretare la stessa bevanda. Ne è conseguenza che non mi sorprende affatto che degustatori abituati ad altri stili interpretativi possano trovare più o meno gradevole la nostra impronta. Si aggiunga a questo che personalmente ritengo condizione minima, prima di esprimere un giudizio definitivo, quella di degustare almeno tre volte in tre distinti momenti lo stesso caffè, e ciò per rendere più attendibile il proprio giudizio.

A Napoli si fa 'o cchiu’ bellu’ cafè o no secondo te?
A Napoli si fa dell’ottimo caffè. Tutto sta nel saper selezionare la miscela, il luogo e le persone più in grado di soddisfare il proprio palato. Se poi, come personalmente ritengo, degustare – non necessariamente in modo tecnico – significa assaporare anche il substrato di storia, cultura, tradizione e folklore, che da sempre caratterizza l’esperienza di bere un caffè a Napoli, allora si che possiamo dire, come lei suggeriva “A Napoli si fa o cchiu’ bell cafè”. Aggiungerei che a Napoli ci sono moltissimi luoghi in cui è possibile bere un caffè da applausi. Ci vuole un po’ di buona volontà e di pazienza, altra caratteristica tipica di questa terra.

Elementi indispensabili per un buon caffè?
Un buon caffè parte da lontano. Dalla selezione della materia prima certamente. Ma anche dalla scelta del personale, dalla capacità di usare gli strumenti in modo professionale, dall’attenzione alle regolazioni.. e poi c’è qualcosa di magico. Molti napoletani dicono che paradossalmente è proprio l’acqua di Napoli a rendere il caffè così buono qui a casa nostra. La verità è che nessuno conosce il vero segreto, o almeno nessuno è pronto a svelarlo..

Le torrefazioni napoletane possono competere col mercato nazionale (vedi Illy)?
Le torrefazioni tutte sono in costante competizione. Tra queste c’è Illy. Il mercato ha già risposto a questa domanda, quindi ritengo superflua la mia risposta. Non ci dimentichiamo che Napoli rappresenta un’ampia fetta di mercato dei caffè consumati nel territorio nazionale, quindi, a buon intenditor..

Lucilla Parlato
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giovedì 27 marzo 2014

Anche Bilbao sul punto di insorgere

Il mio articolo per Insorgenza.it 



La Spagna guidata da Mariano Rajoy continua ad essere una delle polveriere d’Europa.
A pochi mesi dal referendum indipendentista della Catalunya, anche i Paesi Baschi (più correttamente Euskadi, come i baschi chiamano la loro terra in lingua madre) hanno ricominciato a serrare le fila e ad alzare la voce contro il governo di Madrid. A meno di tre anni dal cessate il fuoco unilaterale deciso dall’ETA, la Spagna si ritrova di fronte ad un nuovo “problema basco”. Stavolta, però, non potrà far valere per tutti la generica accusa di “terroristi”, in quanto il fronte politico che chiede l’indipendenza dell’Euskadi dalla Spagna è molto variegato e va dalla sinistra radicale, figlia della diaspora seguita allo scioglimento di Batasuna, ai cristiano-sociali del Partito Nazionalista Basco (Euzko Alderdi Jeltzalea, EAJ). Difficile definire terroristi i democristiani baschi!

La prima prova di forza e di unità del nuovamente coeso movimento indipendentista basco, sempre più sostenuto dalla popolazione, si è avuta tre mesi fa, in occasione dell’annuale marcia tra le strade di Bilbao. Quest’anno si è registrata una partecipazione storica, “oceanica” secondo quanto riportato dai mass media spagnoli e europei, e l’alleanza tra le varie anime del nazionalismo basco ha ricalcato un po’ il sentiero tracciato dagli omologhi catalani, che sono riusciti a superare i vecchi steccati e ad anteporre l’interesse della Comunità alle piccole logiche di partito.

Il movimento basco ha trovato rinnovato vigore anche nella politica repressiva che il governo Rajoy ha realizzato contro i militanti indipendentisti: gli slogan a favore dei tanti baschi in carcere, sia in Spagna che all’estero, uniti agli slogan contro Rajoy e contro il governo madrileno, sono stati il punto di incontro tra le varie anime del separatismo basco. Anche i più moderati e conservatori hanno compreso che il Sistema Spagna, inserito nella gabbia Unione Europea, non può che peggiorare le condizioni di vita dei baschi.
Come ha reagito Rajoy? Con la solita chiusura mentale di chi, dopo aver già dichiarato “illegale e incostituzionale” il referendum indipendentista che si terrà in Catalunya in autunno, non lascia intravedere spiragli per una soluzione pacifica dell’antico problema basco.

Dopo Barcellona ed Edimburgo, anche Bilbao ha visto incarnarsi le aspirazioni di libertà e autonomia dei popoli europei. Tra qualche giorno tocca a Palermo mettersi in marcia, per l’indipendenza della Sicilia.
L’Europa, e i vetusti stati nazionali che la compongono, non può più dormire sonni tranquilli.
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mercoledì 26 marzo 2014

Meglio un Regno di Napoli che una Repubblica itagliana



Monarchici o repubblicani? Una distinzione importante, quando si parla della formula istituzionale di uno Stato sovrano e indipendente. Una disputa alla quale, mi scuserete, non voglio partecipare. Perché io ed il mio Popolo non abbiamo uno Stato sovrano e indipendente a cui dare una forma istituzionale degna di questo nome.
Secondo le nostre carte d'identità, noi siamo cittadini della Repubblica italiana. Se fossimo nati prima del 1946, saremmo stati cittadini - pardòn, sudditi - del Regno d'Italia, guidato da una delle dinastie più indegne e ignobili della storia, il cui nome volutamente storpio in Saboia. Come è nato il Regno d'Italia lo sanno ormai tutti: solo i sordi per convenienza o malafede fingono di non sentire le urla degli stupri e delle violenze, il rumore dei paesi rasi al suolo "affinchè non rimanga pietra su pietra", il tintinnio dei denari derubati al più ricco tra gli stati della penisola italica (il Regno delle Due Sicilie) e portati in dote al più indebitato (Regno di Sardegna).
Persino la storiografia "ufficiale" e accademica sta ormai dimostrando come l'italia, intesa come comunità di popoli e di destini, sia stata e sia tuttora una clamorosa invenzione: l'italia è solo uno Stato, e nemmeno uno tra i migliori. Non c'è pathos, non c'è orgoglio, non c'è comunanza tra i popoli che abitano la penisola italica, nonostante le nostre carte d'identità tentino di dimostrarci il contrario. I decenni di occupazione e di violenza, fisica ma ancor più psicologica, cui il mio Popolo è stato costretto dall'invasione delle Due Sicilie a oggi non hanno prodotto altro che odio e divisione, scavato solchi e innalzato muri, mentali prima ancora che reali.

Per questo dico a tutti i meridionalisti, di ogni orientamento: non dividiamoci adesso. I tempi sono maturi per una frantumazione dello Stato italiano. Il sedicente referendum indipendentista veneto, sul quale sono stato e rimango molto critico, rappresenta solo il primo passo. Anche aldilà delle Alpi i movimenti autonomisti e/o indipendentisti crescono, alzano la voce e mostrano i muscoli. Anche al Sud, anche nei territori del fu Regno delle Due Sicilie, e prima ancora Regno di Napoli e Regno di Sicilia, cresce l'orgoglio identitario, la conoscenza della propria Storia, la volontà di riscatto del Presente e il desiderio di un autonomo e libero Avvenire. Il sogno, anzi il progetto, di disintegrazione del Sistema Italia e di ritrovata indipendenza della nostra Terra e del nostro Popolo si avvicina a passi più rapidi di quanto si potesse immaginare. Non cadiamo, però, nell'errore di pensare che la strada sia spianata: il Sistema reagirà, e non sarà facile. Oggi è solo più probabile di ieri.

Tocca rompere i tabù e superare gli steccati. Io l'ho fatto da tempo, e lo ufficializzo oggi: nonostante per formazione politica non sono certamente un monarchico, dichiaro che firmerei OGGI STESSO per un Regno di Napoli, sovrano e indipendente da questa italia. Se l'alternativa allo sfruttamento sistematico da parte del nord - sfruttamento a cui si è dato il nome di "Italia" - è il ritorno della dinastia dei Borbone sul trono, mi dichiaro BORBONICO, oltre che Insorgente.
Ecco, io il passo verso di voi l'ho fatto. Ora tocca a voi.
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Senato, stop a trivellazioni nello Jonio. Grande vittoria dei No Triv

Il mio articolo per Insorgenza.it 



Da decenni, ormai, le lotte di popolo e di territorio sono condotte da organizzazioni che antepongono il NO al tema in questione. Ispirati dai NO Global, cioè da quel variegato ed esteso mondo che lottava contro la globalizzazione capitalista, sono nati i NO Tav (che contrastano da decenni l’infausto progetto dell’Alta Velocità in ValSusa, e che solo recentemente si sono dati questo nome), seguiti da No Muos (attivi in Sicilia e davvero irriducibili) e dai No Mose, e da altri gruppi. Potrebbero sembrare battaglie di retroguardia, in realtà sono lotte di resistenza, civica e popolare, contro le cosiddette “grandi opere” che gli esponenti politici di entrambi i poli principali hanno appoggiato e sostenuto, grazie anche agli ingenti finanziamenti delle varie lobbies interessate a queste opere.
Ultimi arrivati i No Triv, che sta per No Trivellazioni, assurti solo recentemente alle cronache italiote: i No Triv contrastano le trivellazioni che le multinazionali del petrolio vogliono realizzare nel Mar Jonio e sulla terraferma. Uno dei leader di questo movimento è Antonello Ciminelli, sindaco di Amendolara (CS) e No Triv “della prima ora”. La notizia dell’approvazione, da parte della commissione ambiente del Senato, della risoluzione sulla moratoria delle nuove trivellazioni nel Mar Jonio ha fatto esultare il sindaco Ciminelli e tutti i militanti No Triv: “Si tratta di un risultato straordinario, per il quale non abbiamo lesinato sforzi e che deve inorgoglire tutte le comunità dell’ionio impegnate sin dall’inizio in questa difficile battaglia. Dovremo continuare però a stare vigili”. Si, perché se è vero che questo fondamentale stop fermerà, al momento, le trivellazioni in mare, non si può dire lo stesso per quanto riguarda le trivellazioni sulla terraferma, per le quali vige ancora il decreto Passera, che di fatto penalizza le fonti energetiche rinnovabili potenziando il settore petrolifero.
I No Triv non nascondono ovviamente la soddisfazione per questa che viene considerata una vittoria di tutto l’arco jonico. La dimostrazione tangibile che i movimenti civici e popolari possono rompere il gioco partitocratico ed essere qualcosa di più che semplici granelli di sabbia negli ingranaggi del Sistema.
La decisione del Senato, inoltre, impegna il Governo ad una serie di atti importanti: l’introduzione di  una royalty per lo smantellamento futuro delle istallazioni petrolifere, legata alla quantità di greggio estratto (mentre oggi è regolata con una fideiussione legata alla complessità dell’istallazione); aumento del 50% delle royalty ordinarie, che sono state rialzate di recente e portate al 10% per il gas e al 7% per il greggio se giacimenti in mare, e il 10% per ambedue se i giacimenti sono sulla terraferma.

martedì 25 marzo 2014

Uno sguardo alle architetture esoteriche di Napoli

Tratto da Insorgenza.it




Il primo a parlare di architettura esoterica, cercando di penetrare la testimonianza misteriosa lasciataci da quelle maestranze attive a Napoli, tra tardo medioevo e primo rinascimento, fu il mio compianto amico Mario Buonoconto nel suo prezioso volumetto sulla “Napoli esoterica”.
Già sotto i Normanni e poi durante i regni di Svevi, Angioini ed Aragonesi, giunsero in città, dal nord Europa prima e poi dalla Francia e dalla Spagna, artigiani organizzati in confraternite sul modello franco templare.
Essi erano particolarmente abili nel sagomare il piperno, pietra molto dura, adoperata in genere per la pavimentazione stradale e per ricavare portali e soglie di balconi.
Già in epoca tardo romana si erano costituite delle corporazioni di maestri pipernieri che tramandavano i “segreti dell’arte” solo a pochi fidati apprendisti.
Nel Rinascimento erano chiamati “maste ‘e prete” e si immaginava che sapessero caricare la pietra di energia positiva.
Quando si apprestavano alla costruzione di un edificio importante, oltre a porre nelle fondamenta alcune monete, come obolo per i morti, in ossequio a riti propiziatori in uso presso i Caldei ed i Greci, cercavano, sfruttando una sorta di rabdomanzia, d’identificare i punti di forza del luogo, scegliendo il più adatto per costruire.
Questa breve introduzione è necessaria per affrontare il discorso sui segni presenti sul bugnato della facciata della chiesa del Gesù Nuovo, precedentemente palazzo della nobile famiglia dei Sanseverino, edificato nel Quattrocento e, dopo sfortunate vicende della casata, ceduto all’ordine del Gesuiti, che lo trasformarono nella splendida chiesa barocca, tra le più note della città.
L’architetto Novello da San Lucano si servì di maestranze locali che crearono quella serie di piccole piramidi aggettanti verso l’esterno con il vertice puntato sull’osservatore.
Queste facciate a bugnato, relativamente diffuse al nord, sono insolite nel meridione ed a Napoli ve ne son ben pochi esempi.
Su quelle in esame sono presenti numerosi strani segni incisi sulla superficie, un misterioso alfabeto con una sorta d’ideogrammi che si ripetono secondo un ritmo particolare, che fa supporre ad una chiave criptata di lettura, di recente oggetto di una suggestiva interpretazione da parte di uno studioso locale, Vincenzo De Pasquale, che ha ritenuto di identificarvi un pentagramma che si è materializzato in un concerto eseguito nella navata della stessa chiesa del Gesù Nuovo.
La lettura fatta dal De Pasquale parte dall’ipotesi, smentita da esperti della lingua, che i misteriosi segni non siano tracce lasciate dai cavatori per conteggiare il lavoro svolto, bensì lettere dell’aramaico, la lingua parlata da Gesù.
Ad ogni segno corrisponde una nota e la facciata è un pentagramma sul quale l’architetto, Novello da San Lucano, ha scritto la sua opera musicale che, di traccia in traccia, per vie misteriose, sarebbe finito persino in un’opera di Johann Sebastian Bach.
Il concerto, reintitolato “Enigma”, è stato suonato dall’organista ungherese LorentRez ma sarebbe stato scritto originariamente per strumenti a plettro. Il legame con l’Ungheria non è casuale. Novello da San Lucano andò a vivere nel paese magiaro e là morì, dopo aver progettato e costruito diversi edifici ed aver lasciato sue tracce nella storia artistica e musicale.


Alla ricerca di altri messaggi sulla pietra si è mosso da tempo un appassionato medico di professione, Lucio Paolo Raineri, che ha indagato sulle mura medioevali cittadine, costruite dagli Aragonesi, a partire dal 1484, servendosi di maestranze di Cava ‘de Tirreni ed utilizzando piperno proveniente dalle cave di Soccavo.
La folgorazione per il riflesso di uno specchio provocato da un’insolita luce estiva gli fece scorgere i frammenti di un misterioso discorso sulle pietre scure della Torre San Michele in via Cesare Rosaroll, una delle meglio conservate. Ha continuato le sue indagini fotografando altri segni strani su mura e torri che da via Marina arrivano fino a via Foria. Ha così fatto molte altre scoperte, alcune già note agli studiosi della Napoli segreta. «Sono quasi tutti segni lapicidi, marchi di fabbrica dei cavatori, segni di posa, di allestimento».
Per lo più si tratta di lettere dell’alfabeto, numeri o simboli astrologici ed anche una croce uncinata, segno di antica tradizione indiana (molto simili a quelli trovati anche sul bugnato della facciata del Gesù Nuovo). In altri casi, sono segni che richiamano l’alchimia o la massoneria perché le logge segrete originariamente erano composte da fratelli muratori.

I segni su Torre San Michele sono stati soltanto il punto di partenza.
Armato di taccuino e macchina fotografica, il medico-Indiana Jones s’è fatto tutto il percorso aragonese. «Naso all’aria», racconta, «confrontandomi con le supposizioni di chi mi vedeva in giro, cominciai a rivisitare i massi di piperno di altre torri, con i soli limiti di penetrazione del mio sguardo e della loro dislocazione e accessibilità» perché gran parte della fortificazione è ormai all’interno di palazzi privati o è stata abbattuta o è stata sommersa da superfetazioni architettoniche.
L’anamnesi di Raineri è stata scrupolosa ed ha partorito una relazione documentatissima nella quale si legge il resoconto delle sue esplorazioni nella metropoli dei segni che avrebbe fatto la felicità di un Roland Barthes in cerca del grado zero della testimonianza operaia. «Niente scorsi sui massi della piccola Torre Duchesca a vico Santa Maria a Formiello», scrive, «né sulla vicina Torre Sant’Anna. Porta Capuana ed il tratto di mura tra Torre Onore e Torre Gloria fu ricchissimo di reperti, visibili ad occhio nudo e ad altezza d’uomo. La stessa scarsezza di risultati l’ebbi per porta Nolana, anche se la grafia di quello che può sembrare un’intera parola sconosciuta, alla base della Torre Fede, mi ha lasciato sconcertato».
Oltre che sulle torri aragonesi, i segni lapicidi sono presenti in Campania sull’abbazia di San Guglielmo al Goleto e sulla cattedrale di Sant’Antonino a Sant’Angelo dei Lombardi e sull’abbazia di Santa Maria di Realvalle a Scafati.
Ma in una metropoli perennemente affollata e costruita su se stessa, ogni angolo racchiude un segreto, un messaggio, una pietra parlante. «L’importante è cominciare a capirne la lingua», commenta Raineri, che, molto probabilmente, è solo quella del lavoro.
Al fianco di scritte pseudocriptiche, ve ne sono altre, perfettamente leggibili, ma delle quali ci sfugge il significato, come quella che s’incontra nel porticato del chiostro dell’ex dimora dei Caracciolo, i cui locali sono stati utilizzati negli ultimi anni dai giudici di pace per i loro uffici.

Cogliamo l’occasione per descrivere il mastodontico edificio che ospita la scritta, posto sull’ultimo tratto di via Tribunali, l’unico in stile tardo gotico ed unico che ricorda l’architettura catalana.
L’edificio era stato disegnato dal grande architetto dell’arca funebre di re Ladislao a San Giovanni a Carbonara, Andrea Ciccione, e ne sopravvissero, come si vede, l’arco d’ingresso, il pianterreno del primo chiostro e la porta della sala di ricevimento, in origine sacello gentilizio di Sergianni e fino al diciottesimo secolo ricchissima cappella, detta “il tesoro”, dove si nominavano i nuovi magistrati del vicino tribunale.
Oggi, ad abitare il complesso, è il Comune di Napoli con i suoi uffici, sezione San Lorenzo, quartiere Forcella. Al primo piano i corridoi con gl’infissi in legno e le vetrate mostrano ancora il disegno ospedaliero. Qui erano ricoverate persone fino a pochi decenni fa: gli ultimi anziani pazienti ne sono usciti nel 1970.
Il Lazzaretto, sala maestosa, sgombra dai letti o dai pagliericci che si dovevano usare per appestati, malati di tifo ed altri pazienti colpiti da epidemia, è un trionfo di luce. Una separazione architettonica con timpano distingue la corsia dalla sala chirurgica o gabinetto medico.
Oggi, al posto dei tavoli anatomici, c’è una piccola sala conferenze su cui troneggia una lapide dedicata a Mariano Semmola. Tutta la sala del Lazzaretto è circondata a mezza altezza da una lunga balconata da cui passare cibo e rimedi ai malati con cui non si poteva entrare in contatto. Qui si curavano, tolte le epidemie, le diffusissime malattie veneree e della pelle (nel 1888 vi fu istituito un reparto dermoceltico).

Pochi anni fa in questa sala, infinitamente lunga ed infinitamente alta, sessanta metri, per dieci, per sei, è stata girata una fiction dedicata al medico santo Giuseppe Moscati, interpretato da Beppe Fiorello. Due anni fa, con la venuta a Napoli, in occasione del Napoli Teatro Festival, del grande regista spagnolo Enrique Vargas, il Lazzaretto diventò spazio teatrale, oscurato ed irriconoscibile, un lungo ventre di balena dove si avveravano visioni felliniane, gomitoli di cotone e ragnatele, morti e voci del passato e feste mobili che avvolgevano lo spettatore in un’esperienza irripetibile: un bell’esorcismo per un luogo del potere diventato luogo di sofferenza ed infine, luogo d’arte.
Il bellissimo palazzo, che era stato simbolo del potere di Sergianni Caracciolo su Napoli e sulla regina Giovanna II, sede di feste ed intrighi, manifesto della potenza degli uomini nuovi sulle antiche dinastie, acquistato dai frati Ospedalieri nel 1587,si trasformò in ospedale, per necessità.
Giaceva in abbandono da un secolo, infiltrato da case private, tanto che le liti fra vicini produssero un morto, come testimonia la lapide minacciosa,ancora oggi presente, voluta da un diffamato, in un lato del cortile: «Dio m’arrassa da invidia canina da mali vicini, et da bugia d’homo dabbene». Questa frase si presta a varie interpretazioni: potrebbe essere una preghiera od una delle tante invocazioni scaturite dalla filosofia dei napoletani. Viene anche citata dal Chiarini ed una leggenda vuole che se i frati dell’ospedale avessero tolto la targa, il possesso della donazione sarebbe passato all’ospedale Incurabili.

lunedì 24 marzo 2014

Usa vs Russia: guerra fredda o guerra tiepida?

Il mio articolo pubblicato su Insorgenza.it 



Secondo molti osservatori più o meno indipendenti, l’aumento della tensione tra Russia e USA (oppure tra Russia e Occidente, vacua e inconsistente categoria rispuntata fuori con prepotenza negli ultimi giorni) rischierebbe di portare il Mondo sull’orlo di una guerra.

In questo caso, però, non si tratterebbe della Terza Guerra Mondiale, da cui probabilmente non uscirebbe un vincitore; bensì, si tratta di una riedizione, aggiornata e corretta, della famosa e famigerata Guerra Fredda, che dal secondo dopoguerra alla caduta del Muro di Berlino è stata la ragione sociale della politica estera di ogni Paese.

Prima esistevano due blocchi (gli Stati Uniti e la Nato, capitalisti; l’Unione Sovietica e Yalta, socialisti), dichiaratamente avversari, per non dire nemici, e portatori di prospettive economiche e sociali praticamente antitetiche. Oggi esistono sempre due blocchi, visto che la Guerra Fredda presuppone l’esistenza degli stessi, ma le differenze sono meno acute: entrambi capitalisti, pur con le dovute differenze; entrambi autoritari e guerrafondai; entrambi infiltrati da mafie (rispettivamente, Cosa Nostra americana e Organizacija) e massonerie; entrambi paladini ad intermittenza della libertà e della indipendenza dei popoli.

Più che una nuova Guerra Fredda, quella che si sta prospettando all’orizzonte è una Guerra Tiepida, di cui l’esito del referendum “indipendentista” (difficile definirlo tale, visto che si è trattato solo di un cambio di padrone) in Crimea rischia di essere solo la scintilla più visibile, ma non la più pericolosa.

Fino a quando gli interessi economici degli USA e della Russia non entreranno in competizione o addirittura in conflitto, difficilmente la temperatura della guerra varierà, abbassandosi verso i glaciali livelli del secondo Novecento o addirittura alzandosi fino ai prodromi di un vero scontro militare. Ad oggi le aziende statunitensi e russe si sono spartite i mercati e talvolta si sono persino alleate, creando veri e propri trust in barba alle più elementari “norme” del liberismo globalizzante di cui sono entrambi ossequiosi osservatori.
Non tragga in inganno la rapidità con cui Putin si è annesso la Crimea, dichiarando assolutamente valido il responso del referendum; né destino preoccupazione le parole di John Kerry, l’ambasciatore dei “falchi obamiani”, categoria di recentissimo conio a cui si sono prontamente iscritti anche i vari leaders del progressismo europeo, non ultimo il tedesco Martin Schulz (ricordate? Berlusconi gli diede del “kapo”), candidato alla presidenza della Commissione Europea.
Non saranno queste scaramucce verbali a scalfire il tepore della guerra tra USA e Russia. I Popoli non cadano nell’errore di appiattirsi sui due blocchi, di farsi attrarre dai due presunti poli avversi: la libertà di tutti e di ciascuno è fuori da questo schema ingessato.
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domenica 23 marzo 2014

Modena city ramblers - La guerra d'l barot


Era un giorno come gli altri alla fiera del paese,
quando arrivarono gli sgherri dell'armata piemontese.
"Giovinetti che aspettate! Qui per voi il futuro è gramo,
accettate la proposta che vi fa il vostro sovrano!".
Paga ricca e pancia piena, arruolatevi stamani
e dimostrate a quei briganti il valor degli occitani,
abbiam preso l'Italia all' Asburgo ed al Borbone,
dobbiam fare gli italiani a colpi di cannone!

Addio miei monti addio, l'armata se ne va
e se non partissi anch'io sarebbe una viltà,
il barotto va alla guerra e pieno d'onore tornerà,
i bei ragazzi vanno al soldato e i bighelloni stanno a casa.

"Bel giovine avvicinati, non sei stanco di fare il pastore?
Magari la carriera militare potrebbe essere il tuo mestiere!".
Una croce sopra un foglio anche un barotto la sa fare,
non piangere cara mamma, io parto bersagliere!
Neanche il tempo d'imparare a aver lo schioppo sul groppone
che mi han messo su un vapore diretto al meridione,
figli della nuova Italia, orgogliosi di esser qua,
i bei ragazzi vanno al soldato e i bighelloni stanno a casa.

Addio miei monti addio, l'armata se ne va
e se non partissi anch'io sarebbe una viltà,
Il barotto va alla guerra e pieno d'onore tornerà,
i bei ragazzi vanno al soldato e i bighelloni stanno a casa.

Ma arrivato al meridione al comando del Caldini
mi hanno messo ad ammazzare anche le donne ed i bambini,
Li chiamano banditi, briganti e malfattori,
a me sembran brava gente e non certo traditori.
Sono nato in mezzo ai monti, nato povero e barotto,
ero pronto a far la guerra e non a questo quarantotto,
sarò pure un ignorante che si firma con la croce,
ma questa vostra Italia a me proprio non piace!

Aspettatemi mie montagne, il barotto toma a casa,
il cuore mi fa tanto male, non ne posso più di fare il soldato.
Non c'è niente di bello nell'ammazzare la brava gente,
è meglio fare il pastore e morire povero e contento!

Addio miei monti addio, l'armata se ne va
e se partissi anch'io sarebbe una viltà,
non c'è niente di bello nell'ammazzare la brava gente,
è meglio essere barotto e morire povero e contento!

sabato 22 marzo 2014

Un museo che il Mondo ci invidia, e che l'itaglia abbandona.



Uno spazio quasi vuoto, indefinibile, dove tutto ciò che dovrebbe essere al suo interno ancora non c'è. Così, il museo della Magna Grecia di Reggio Calabria, progettato negli anni ’30 da Marcello Piacentini, appare ai visitatori: 4 piani di edificio che accoglie soltanto i due bronzi di Riace e pochissimi altri reperti. Rinviata innumerevoli volte, finalmente, nel dicembre 2011, con due anni di ritardo rispetto al previsto, ecco la tanto attesa riapertura.

A presenziare, l'allora ministro dei Beni e delle attività culturali, Massimo Bray: "I simboli del paese sono tornati in piedi. Le sfide sono il turismo e la cultura, con il Mezzogiorno, dobbiamo lavorare insieme. Bisogna ripartire da qui". Ma, dopo quattro anni e 33 milioni di euro spesi per i lavori di restauro, nei depositi dello storico museo ci sono centinaia di reperti in attesa di sistemazione.

L'appalto per i lavori definitivi, tali da permettere il riallestimento totale della struttura, era stato assegnato alla cordata facente parte alla società Set up live, Protecno e la cooperativa Gnosis che, avevano garantito la consegna ad aprile 2014. Finalmente Reggio Calabria aveva riportato i Bronzi al mondo ed ora si apprestava a fare lo stesso con le altre sue ricchezze artistiche, ma il consorzio Research ha contestato l’esito della gara vinta dalla cordata e ne ha chiesto la sospensiva. Il primo a pronunciarsi è stato il Tar, che ha respinto il ricorso. Non ha seguito la stessa linea il Consiglio di Stato che, invece, ha interrotto i lavori.

Tutto ciò nel momento in cui il presidente della Regione, Scopelliti, e l’amministratore delegato di Alitalia, Gabriele Del Torchio presentavano l’accordo per portare i turisti al museo di Reggio Calabria. La patata bollente passa adesso, di nuovo, al Tar che ha fissato l'udienza per luglio, spazzando via anche la minima speranza per la riapertura completa ad aprile 2014. Prima del 2015, nella migliore delle ipotesi, la situazione non si sbloccherà. Infatti, se il Tar dovesse dar ragione al consorzio Research, si dovrà rifare la gara.

Per caso, vi è capitato di ascoltare lo slogan dello spot pubblicitario, lanciato dalla Regione Calabria per il turismo? La voce è quella, inconfondibile, di Giancarlo Giannini. La frase che, il famoso attore ripete, è: "La Calabria ti sorprende sempre". Sante parole.

Tratto da Parallelo 41
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venerdì 21 marzo 2014

Ritorno a Napule



L'orologio va chiano,
troppo chiano.
'n'ora dura na jurnata
quanno a jurnata 'e lavoro addà finì
e a Napule ce n'amma ij.
'O sole nun vo' tramuntà
- infamone! -
e pare che parea
a facce suffrì aspettanno.
Aspettanno Napule.

Doje ore d'autostrada o poco 'e chiù,
tanto stanno luntano Roma e Napule:
'a capitale 'e nu Paese che nun è Nazione
e 'a capitale 'e 'na Nazione che nun è Paese.
'O finestrino dice che 'e campagne
d''o Sud accumenciano prima
d''a Campania. 'A Frosinone a Capua,
passanno pe' Cassino e Caianiello,
è già Napulitania,
è già casa.

'O casello è affollato, è nu maciello!
Tanta frat' ca tornano a casa
aropp' a 'na semmana 'e lavoro
in giro pe' l'itaglia.
'E machine so' chiene:
valigie e pacchetielli.
Manco doje juorni e n'ata vota chiene
saranno 'ngopp 'e strade verso nord:
chiene 'e prelibatezze d''a terra nostra
e chiene 'e lacrime 'int 'o core.

Facimm 'a tangenziale e ascimm 'a Agnano,
passamm annanz all'ippodromo
e nu ricordo - Bicù vincente! -
me fa turnà aret 'e nu decennio,
a quanno ero guaglione e nun penzavo
ca Napule nu jorno avrei lassato.
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giovedì 20 marzo 2014

A vent'anni dall'omicidio di Don Peppino Diana



Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe il 4 luglio 1958. Nel 1968 entra in seminario, vi frequenta la scuola media e il liceo classico. Successivamente intraprende gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si licenzia in Teologia biblica e poi laurea in Filosofia alla Federico II. Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il caporeparto. Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote. Diventa Assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente anche Assistente del settore Foulards Bianchi. Dal 19 settembre 1989 divenne parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese nativo.

Successivamente diventa anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza.

Insegnava anche materie letterarie presso il liceo del seminario Francesco Caracciolo, nonché religione cattolica presso l’istituto tecnico industriale statale Alessandro Volta di Aversa. Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 nella sua chiesa, mentre si accingeva a celebrare messa.

La sua morte non è stata solo la scomparsa di una persona vitale, di un capo scout energico, di un insegnante generoso, di un testimone d’impegno civile: uccidere un prete, ucciderlo nella sua Chiesa, ucciderlo mentre si accingeva a celebrare messa, è diventato l’emblema della vita, della fede, del culto violati nella loro sacralità.

E’ stato il simbolo dell’apice cui può giungere la barbarie camorrista nei nostri territori. Il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diana non possono essere dimenticati, ma la sua figura è stata presa d’assalto da sciacalli pronti a specularci sopra e sempre pronti ad attribuirgli frasi o fatti spesso anche inventati creando brand per il tornaconto economico di qualcuno o per far decollare la carriera politica o giornalistica di altri. “Per amore del mio Popolo non tacerò”, era lo scritto che la Forania di Casal di Principe, nel Natale del 1991 distribuì in tutte le parrocchie locali e dei paesi limitrofi, si faceva riferimento alla situazione Campana e Casalese dell’epoca.

Diceva questo, Don Diana: “Siamo preoccupati, Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana…. E’ oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili”.

E preoccupati lo siamo ancora oggi, più di ieri, purtroppo: l’impotenza di allora è rimasta ma non ci abbattiamo e non facciamo da spettatori non paganti, anzi ci ribelliamo a tutto questo ogni giorno perché a distanza di venti anni sembra che le parole scritte in quel documento si siano avverate tutte e che questi “nuovi modelli di comportamento” non sono arrivati anzi, abbiamo avuto politici che non hanno difeso il buon nome dei cittadini onesti e non li hanno coinvolti in una politica di sviluppo seria per il territorio per arginare il fenomeno criminale.

La chiesa non si è fatta “più tagliente e meno neutrale” ma solo neutrale, ha continuato a lavorare per il bene della comunità solo nella parte religiosa con una crepa nel cuore e nelle azioni che difficilmente si rimarginerà. Noi lo ricorderemo con memoria, impegno e testimonianza, perché sono questi i punti fondamentali attorno ai quali molti cittadini insieme a tutta la rete associativa religiosa e laica, si prepara a celebrare il ventennale dalla scomparsa di don Giuseppe Diana, il 19 marzo, evento promosso dalla diocesi di Aversa e Libera in primis, con un programma fitto di appuntamenti su tutto il territorio a partire dalla “messa non celebrata” nella Parrocchia di San Nicola in Casal di Principe alle ore 7.30 del 19 marzo, orario in cui fu ucciso Don Peppino Diana, presieduta da Mons. Angelo Spinillo.

Simbolicamente il ritrovarsi a celebrare l’Eucarestia nella stessa ora dell’omicidio di Don Peppino Diana intende riprendere quella preghiera crudelmente interrotta da una mano assassina. In contemporanea suoneranno a festa tutte le campane delle parrocchie della Diocesi, ci sarà un grande raduno nazionale di scuole, scout e vittime di criminalità che cammineranno in un corteo per le strade della città fino alle 12.30 per poi ricevere l’accoglienza con un pasto freddo, frutta e acqua.

Nel pomeriggio fino a sera, nelle varie piazze e in alcuni istituti ci saranno spettacoli musicali e teatrali. Per amore del mio popolo, non mancherò.

mercoledì 19 marzo 2014

"Per amore del mio popolo"



Siamo preoccupati.
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

La Camorra
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.
I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

Precise responsabilità politiche
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.

Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.

- Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);

- Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);

- Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);

- Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)

Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.

NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO

Appello
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.
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martedì 18 marzo 2014

La dignità e il lupo



“[...]Quella fiaba parlava di un branco di lupi che erano messi un po’ male perché non mangiavano da parecchio tempo, insomma attraversavano un brutto periodo. Il vecchio lupo capo branco però tranquillizzava tutti, chiedeva ai suoi compagni di avere pazienza e aspettare, tanto prima o poi sarebbero passati branchi di cinghiali o di cervi, e loro avrebbero fatto una caccia ricca e si sarebbero finalmente riempiti la pancia. Un lupo giovane, però, che non aveva nessuna voglia di aspettare, si mise a cercare una soluzione rapida al problema. Decise di uscire dal bosco e di andare a chiedere il cibo agli uomini. Il vecchio lupo provò a fermarlo, disse che se lui fosse andato a prendere il cibo dagli uomini sarebbe cambiato e non sarebbe più stato un lupo. Il giovane lupo non lo prese sul serio, rispose con cattiveria che per riempire lo stomaco non serviva a niente seguire regole precise, l’importante era riempirlo. Detto questo, se ne andò verso il villaggio.
Gli uomini lo nutrirono coi loro avanzi, e ogni volta che il giovane lupo si riempiva lo stomaco pensava di tornare nel bosco per unirsi agli altri, però poi lo prendeva il sonno e lui rimandava ogni volta il ritorno, finché non dimenticò completamente la vita di branco, il piacere della caccia, l’emozione di dividere la preda con i compagni.
Cominciò ad andare a caccia con gli uomini, ad aiutare loro anziché i lupi con cui era nato e cresciuto. Un giorno, durante la caccia, un uomo sparò a un vecchio lupo che cadde a terra ferito. Il giovane lupo corse verso di lui per portarlo al suo padrone, e mentre cercava di prenderlo con i denti si accorse che era il vecchio capo branco. Si vergognò, non sapeva cosa dirgli. Fu il vecchio lupo a riempire quel silenzio con le sue ultime parole:
“Ho vissuto la mia vita come un lupo degno, ho cacciato molto e ho diviso con i miei fratelli tante prede, così adesso sto morendo felice. Invece tu vivrai la tua vita nella vergogna, da solo, in un mondo a cui non appartieni, perché hai rifiutato la dignità di lupo libero per avere la pancia piena. Sei diventato indegno. Ovunque andrai, tutti ti tratteranno con disprezzo, non appartieni né al mondo dei lupi né a quello degli uomini . . . Così capirai che la fame viene e passa, ma la dignità una volta persa non torna più.”

Tratto da EDUCAZIONE SIBERIANA, romanzo di Nicolai Lilin
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lunedì 17 marzo 2014

17 Marzo, nulla da festeggiare


Oggi l'Insorgente non pubblicherà alcun post, in segno di lutto per l'infausta ricorrenza della nascita del regno d'itaglia.
Ce vedimm dimani.

domenica 16 marzo 2014

Gli eurocrati temono le secessioni. Non le appoggiano.

Il mio articolo per Insorgenza.it 



Da qualche mese si rincorrono voci insistenti riguardanti un presunto appoggio dell’ Eurocrazia (lobbies economiche e militari, banche, massonerie) ai vari movimenti secessionisti che stanno creando subbuglio in Europa. La vulgata ha preso il via da un articolo apparso sul sito Hescaton, e ripreso dal portale Wall Street Italia. In questo articolo si parla di due modelli di Europa: l’Europa centripeta, che attira gli Stati nazionali verso di sè, e che ha lo scopo di creare uno Stato Europeo capace di competere con Usa, Russia, Cina e paesi sudamericani; l’Europa centrifuga, che favorirebbe i secessionismi al fine di far esplodere gli stati nazionali per meglio dominare i popoli.

E’ difficile credere che due processi totalmente opposti, e in contraddizione tra loro, possano essere stati partoriti e organizzati dalla stessa congrega di burocrati europei; ma tant’è, i media di regime si stanno dando da fare per far passare, negli ultimi messi, questo messaggio: i movimenti secessionisti sono appoggiati dagli eurocrati. Logica conseguenza di questo ragionamento: chi sostiene e chi milita in questi movimenti è un utile idiota nelle mani del Sistema globale. Conclusione: i secessionismi sono specchietti per le allodole e non sono la via d’uscita per i Popoli europei.

Inutile dire che tale ragionamento non ci convince affatto! Da quando l’Unione Europea avrebbe messo in preventivo la possibilità di abbandonare il progetto di superstato europeo, ripiegando sul classico “divide et impera” di romana memoria? In realtà, tutte le politiche messe in atto in questi anni dimostrano l’esatto contrario: il progetto di Europa Unita S.p.a.  non può essere messo in discussione in alcun modo, anche a rischio di ridurre alla fame i popoli degli Stati europei. E se i popoli si ribellano? Non interessa, il problema è dei governi-fantoccio che gli eurocrati hanno finanziato e imposto, arrivando persino a far ripetere le elezioni nel caso in cui il responso delle urne non fosse quello sperato (il caso Grecia è emblematico in tal senso).

Il tentativo di creare questo “spauracchio secessionista”, questo spettro che si aggira per la “splendida Europa” liberaldemocratica (e liberista), non può trovare sponda e va contrastato con forza. Se i popoli decidessero di frantumare gli Stati nazionali, giacobini per ispirazione e decisamente desueti, l’Eurocrazia non ne trarrebbe alcun vantaggio, bensì correrebbe il rischio di veder messo in discussione il suo strapotere liberticida e antidemocratico. A partire dallo strumento principe del dominio: l’Euro, una moneta talmente invisa che, qualora i secessionismi trionfassero, quasi sicuramente la toglierebbero dalla circolazione, sostituendola con monete nazionali a sovranità popolare. E a chi ci dice che le catene europee sono catene d’oro, noi rispondiamo: sono catene, vanno spezzate.
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sabato 15 marzo 2014

Così il Sud mantiene il nord



Vi sottopongo un articolo di qualche tempo fa, che dimostra inequivocabilmente quanto le boutade leghiste sul nord che mantiene il Sud siano semplici e gravissime menzogne. Il sito da cui è tratto l'articolo è Linkiesta, che non è un portale neoborbonico... eppure spiega, numeri alla mano, come in realtà sia il Sud a mantenere il nord e a pagare il prezzo più alto di questa sedicente Italia unita.
Buona lettura, si fa per dire...

Almeno il 75% delle entrate fiscali raccolte sul territorio deve restare in casa nostra, tuona Roberto Maroni a poche settimane dal voto, indicando ai nuovi vecchi alleati del centrodestra e agli avversari politici la linea del Piave leghista. L’altro giorno il Corriere della Sera ha fatto una simulazione calcolando che il sogno del Carroccio, se applicato alla lettera, farebbe lievitare le risorse disponibili per i soli cittadini lombardo-veneti di circa 19 miliardi (16 in Lombardia e 3 in Veneto).«A quel punto potremmo abolire l’Irap, fare investimenti e aiutare le nostre imprese e le nostre famiglie», si sfrega le mani il segretario del Carroccio. Secondo gli esperti interpellati dal Corriere si tratta di una rivendicazione irrealizzabile, al massimo si potrebbe fare per l’Imu: «In questo caso viene tassato un bene che appartiene davvero a quel paese o città» mentre un’azienda milanese o vicentina ha entrate che nascono in tutta Italia.«Passeremmo dal federalismo direttamente alla secessione», attaccano dall’opposizione, prendendo per buono il nuovo mantra leghista.
In realtà la proposta, anche se irrealizzabile, è politicamente interessante perché rilancia una convinzione di fondo che circola sopra il Po ben oltre il perimetro del consenso leghista, fino a farsi senso comune: il cosiddetto paradigma dei«territori separati» alla cui base c’è un dogma. La Padania paga, il resto del paese scialacqua. C’è un settentrione che funziona (è solo in difficoltà congiunturale) e un Mezzogiorno buco nero. L’Italia in sostanza è un Paese duale, un po’ Germania e un po’ Grecia, in cui il Sud incarna la panacea di tutti i mali del Nord. Quindi se la Padania non si libera velocemente della palla al piede, rischia di sprofondare pure lei.
Politicamente la traduzione è immediata: se a fine anni Novanta il Carroccio non c’è riuscito con la secessione, e nei Duemila con la devolution e il federalismo, adesso ci si riprova con il diritto a trattenere una grossa quota dei propri soldi sul territorio. Tassativo.
Se però guardiamo l’evoluzione del modello di sviluppo italiano la vicenda è molto più sfaccettata. Entrata in crisi l’industrializzazione forzata nei settori di base (petrolchimica, automotive, siderurgia) promossa con il sostegno finanziario dello stato (in 60 anni lo stato ha speso al sud 115 miliardi di euro in agevolazioni), e chiusa la Cassa per il Mezzogiorno nel 1992, nel meridione non ha neppure funzionato la stagione dei Patti per lo sviluppo, la strategia di far passare le risorse finanziarie direttamente attraverso le regioni su cui puntava Carlo Azeglio Ciampi e tutto il Dipartimento del Tesoro, allora guidato da Fabrizio Barca. In troppi casi la gestione delle politiche di programmazione negoziata ha risposto a logiche di appartenenza politica più che di sviluppo. Neppure ha dato grandi risultati il cosiddetto «modello adriatico» di piccola impresa tanto decantato dal Censis, alternativo all’industrializzazione dei grandi poli e all’assistenzialismo pubblico. Sembrava il naturale pendant meridionale dei distretti, invece...
Invece «venendo meno una strategia per lo sviluppo, la spesa pubblica ha assunto via via un peso crescente nell’economia del mezzogiorno, con una connotazione più marcatamente assistenziale», spiega Carlo Trigilia nel suo prezioso libretto Non c’è nord senza sud. Perchè la crescita dell’Italia si decide nel mezzogiorno (Il Mulino).
I dati impressionano. Negli ultimi vent’anni la spesa discrezionale, per sussidi e servizi, fatta 100 la quota a disposizione di un cittadino del nord, è schizzata a 106 per ogni abitante del sud; quella in conto capitale, per gli investimenti, fatta sempre 100 la quota girata al nord, al sud è crollata a 87. In contemporanea sono cresciute le spese per i consumi delle famiglie, sorta di sostegno al reddito (con soldi pubblici) andato ad alimentare, almeno fino alla grande crisi del 2008, i consumi di beni e servizi prodotti dalle Pmi distrettuali e dai sistemi di sviluppo locale, radicati nei territori manifatturieri dove la Lega nasce e fa proseliti. Quindi più risorse per consumi e clientele, meno per strade, scuole e infrastrutture. «Un ruolo del sud piuttosto marginale dal punto di vista produttivo, ma rilevante per la domanda di beni di consumo prodotti dalle imprese del centro-nord», riassume Trigilia.
Se guardiamo ai flussi di prodotti manifatturieri scambiati per macroaree italiane (Stime Svimez-Irpet), l’interdipendenza resta forte. La quota che dal Nord Ovest viene venduta al Sud è pari al 38%, dal Nord Est è pari al 31% e dal Centro al 29 per cento. «Le imprese padane scambiano col Meridione merci per un valore complessivo di 32 miliardi annui, in un mercato dove vivono e consumano 20 milioni di persone e la domanda di beni e servizi è più forte dell’offerta», spiegano i ricercatori dello Svimez. «La dipendenza del mercato economico meridionale da quello del Centro Nord resta molto forte nella subfornitura, ben oltre la quota dei trasferimenti pubblici». Le stesse aziende settentrionali completamente tecnologizzate e globali, che possono permettersi di«saltare» il Mezzogiorno, per Bankitalia sono una minoranza: 180mila su 4,5 milioni di imprese attive. E ancora. I circa 45 miliardi di euro annualmente trasferiti dal Centro-Nord al Sud, il cosiddetto residuo fiscale cuore del risentimento padano, «hanno finanziato importazioni nette di questa area pari a 62 miliardi dall’interno e a 13 miliardi dall’estero», ha calcolato l’economista Paolo Savona in un saggio pubblicato l’anno scorso dalla rivista Formiche.«In molte regioni le esportazioni interne hanno un peso elevato: in Lombardia hanno toccato nell’ultimo decennio il 52% del Pil annuale. Ma su questi dati - continua Savona - si assiste a una vera congiura del silenzio».
Un imbianchino scrive lo slogan “Prima il Nord”, scelto da Maroni, sul muro di Via Bellerio
Fino a metà degli anni Ottanta «questa strana miscela di dinamismo locale al nord e di disordine pubblico al sud ha tenuto senza troppe proteste». Il sistema salta con la crisi finanziaria e il peggioramento dei conti pubblici; il boom delle tasse, esplose per sfamare il debito pubblico; Tangentopoli e la fine della Prima repubblica; lo stop alle svalutazioni competitive, l’ingresso nella moneta unica e la globalizzazione. Nel momento in cui il modello avrebbe bisogno di un sostegno per crescere in produttività (cresciuta tra il 1990 e il 2010 solo del 15% contro il 38% della Germania e il 34% della Francia) e fare vere innovazioni di processo e prodotto per competere sulla qualità, il paese si avvita, zavorrato da servizi pubblici inefficienti, un centralismo scassato e costoso, un carico fiscale proibitivo e un gap infrastrutturale che aumenta esponenzialmente i costi per quei sistemi produttivi e di mercato più esposti alla competizione internazionale. Da qui il revanchismo del nord e la ri-esplosione del dualismo territoriale.
Ma la logica dei «territori separati» rischia di essere una lettura fallace.«Il Sud infatti cresce quando cresce il Nord. Le interrelazioni economiche sono così profonde da condizionare i risultati di ciascun territorio», conferma lo Svimez. Negli anni del miracolo economico i tassi di crescita del 4-5% al nord sono corrispondenti a quelli del meridione. Nei Novanta post svalutazione della lira, il boom del Nord Est si sposa agli anni migliori del mezzogiorno. Addirittura nel quinquennio ‘96-2000 il sud cresce più del nord. Poi la Padania va in letargo e, di conseguenza, il sud. L’ultimo decennio, insieme al brusco stop nel processo di convergenza Nord-Sud, mostra una perdita di competitività dell’intero settentrione. Se misuriamo il Pil per abitante il Nordovest nel 1998 vale il 140% della media dei paesi Ue, nel 2008, ultimo anno pre crisi, era sceso al 127%. Mentre il Nord Est passa da 137 a 125. La bassa crescita è dunque un fattore comune del paese, che precede la grande crisi mondiale. Non solo perchè il sud è una palla al piede ma anche per i problemi congeniti al modello padano: il nanismo d’impresa, la quasi scomparsa delle grandi aziende, il deficit infrastrutturale, la fine delle svalutazioni competitive e la difficile trasformazione terziaria della sua economia.
Quella dello sviluppo italiano è insomma una lettura diversa dal mainstream leghista che sta dietro a proposte come quella del 75 per cento. Tanto più che, chiosa Trigilia, «le ragioni del legame nord-sud non rispondono solo a pulsioni etico-politiche o alla solidarietà dovuta in ogni ambito nazionale bensì sempre più alle sfide che l’Italia deve affrontare per effetto dei processi di integrazione europea e della globalizzazione dell’economia». 

venerdì 14 marzo 2014

Frottola fiorentina al sangue (nostro)



Quando si parla di "fiorentina", il pensiero corre a due cose: la famosa squadra di calcio, di viola vestita; la bistecca di carne, succulenta come poche.
Dopo la puntata di ieri sera di Porta a Porta è giusto cominciare a parlare di Frottola alla fiorentina. Non è un dolce, ma l'ennesimo secondo di carne. Al sangue. E il sangue è il nostro.
Il toscanaccio premier Matteo Renzi, ex rottamatore arrivato a Palazzo Chigi grazie ad una manovra da Prima Repubblica andreottiana, ieri le ha sparato grosse: più soldi per molti, meno tasse per tanti, più felicità per tutti. Le promesse in stile berlusconiano riguardavano i circa 80 euro lordi mensili che verranno messi nelle buste paga di oltre dieci milioni di italiani; il taglio dell'Irap per le imprese; la riduzione dell'Irpef per i lavoratori; il pagamento di tutti - di tutti! - i debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti delle aziende. Il buon Bruno Vespa, col suo rassicurante faccione, dava corda al bischero Renzi, promettendo di andare in pellegrinaggio a piedi in un santuario fiorentino se le promesse del premier saranno rispettare "entro il 21 Settembre, ultimo giorno d'estate e festa di San Matteo".

La domanda da porsi, però, non è se Renzi manterrà o meno queste promesse, che paiono avere un marcato retrogusto elettoralistico visto che all'orizzonte ci sono le elezioni europee. La domanda da fare è un'altra: ma allora i soldi ci sono? Sono due anni che ci ammorbano l'anima dicendo che, per dirla con Trilussa, "nun ce sta 'na lira". Fino a due mesi fa, quando governava ancora Letta, ci ripetevano che "è ancora presto per dire che la crisi è alle spalle". Oggi scopriamo che ci sono i soldi per tagliare Irap e Irpef, sostenere le buste paga e saldare i debiti (50 miliardi!) dello Stato con le aziende.
Chi aveva ragione? Letta o Renzi? E' possibile che in due mesi la situazione dei conti italici si sia capovolta?

Io non ci credo.
Do svidanija.
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giovedì 13 marzo 2014

Le Regioni vanno abolite. Ecco perché.



Quando nel 2001 il governo Amato – con una maggioranza risicata – cambiò il Titolo V della costituzione, il decentramento di molte competenze alle regioni fu salutato come l’inizio promettente di un modello federalista. Tredici anni dopo ogni euforia è scomparsa e si preme per rimettere mano al Titolo V.

Senza dubbio la materia decentrata con più efficacia in questi anni è stata la corruzione. Oggi le regioni traballano sotto una serie quasi infinita di scandali e una raffica di indagati. Nel corso degli anni e con competenze sempre maggiori si sono tramutate in una sorta di staterelli spesso megalomani: un quasi stato moltiplicato per venti. Hanno aperto decine di uffici di rappresentanza in tutto il mondo e accumulato debiti degni di quello dello stato centrale, complessivamente per 105 miliardi. Hanno aumentato il numero dei consiglieri e delle commissioni e praticato un fiume di assunzioni clientelari. Secondo un’indagine dell’economista Roberto Perotti solo i consigli regionali costano un miliardo di euro all’anno. Il record spetta alla regione autonoma della Sicilia con 156 milioni di euro: 1,7 milioni per ogni consigliere. In media, un consigliere in Italia costa duecentomila euro all’anno.
L’autonomia è diventata abuso con dimensioni mai viste: 520 consiglieri regionali sono coinvolti negli scandali di rimborsi illeciti o accusati di corruzione, peculato o truffa. L’ex presidente della regione Lazio Bruno Landi e l’ex vicepresidente della Liguria Nicolò Scialfa sono stati arrestati. Nel Lazio è venuto a galla un sistema di arricchimento metodico gestito da Franco Fiorito, Er Batman della Ciociaria, già condannato per aver intascato un milione di euro di fondi pubblici. Arrestato anche l’ex capogruppo dell’Italia dei valori Vincenzo Maruccio, che ha sottratto almeno un milione di euro al partito e ne ha persi centomila al videopoker. Ma non sembra cambiato nulla.

Poche settimane fa alla regione Lazio è bastato un solo emendamento per modificare il decreto Monti e reintrodurre i vitalizi per i consiglieri cinquantenni. Negli scandali sono coinvolti tutti i partiti, anche se quelli di destra fanno la parte del leone. In Lombardia sono sotto accusa 64 politici, alcuni arrestati per corruzione e collaborazione con la n’drangheta, mentre il plurindagato ex presidente Roberto Formigoni si è subito riciclato al senato. Indagato per false trasferte anche Roberto Cota, presidente uscente del Piemonte e leghista dalle promesse facili. Ultimo a sfracellarsi è stato il modello dolomitico della Südtiroler Volkspartei e degli autonomisti trentini, inciampati su uno scandalo di pensioni con anticipi milionari per i consiglieri regionali.

La lunga serie di processi imminenti farà ribollire la rabbia degli elettori disillusi, che ormai in massa disertano le urne. In Basilicata a novembre l’affluenza è stata del 47,6 per cento, calando per la prima volta sotto la soglia del 50 per cento. In Sardegna, a febbraio, Forza Italia ha ripresentato gran parte dei politici indagati, perdendo le elezioni. Non ha potuto ricandidarsi l’ex capogruppo Mario Diana, in carcere da novembre, definito dai magistrati “uomo dotato di notevole capacità a delinquere”. Ai domiciliari anche Carlo Sanjust. Secondo l’accusa ha pagato con i soldi del gruppo Pdl il lussuoso ricevimento delle sue nozze per 300 invitati. Che senza saperlo hanno assistito a un atto altamente simbolico: il costoso matrimonio tra autonomia e malversazione.

mercoledì 12 marzo 2014

Sean Connery: "Referendum scozzese è occasione unica"

Il mio articolo per Insorgenza.it 



Un altro piccolo tassello sull’enorme mosaico dell’indipendenza scozzese. Il famoso attore scozzese Sean Connery, lo 007 che ha ammaliato milioni di spettatori (di entrambi i sessi…), noto per le posizioni antiunitarie sul Regno Unito, si schiera nettamente a favore del SI sul referendum indipendentista scozzese, in programma il 18 settembre. “E’ una occasione unica, da non perdere”, ha dichiarato l’83enne attore nato ad Edimburgo, “con la vittoria del SI ci sarà una rinnovata attenzione sulla nostra cultura e politica, offrendoci una opportunità senza precedenti per promuovere il nostro patrimonio culturale e la nostra eccellenza creativa”.
Questa è solo l’ultima dichiarazione filoindipendentista di Sean Connery. In passato ha avuto modo di dichiarare: “Siamo una nazione piccola ma meritiamo di essere liberi”, oppure “Sostengo la lotta indipendentista da oltre quarant’anni perché credo nell’eguaglianza”. Sulle pagine di Repubblica, in un’intervista del 2012, ha affermato: “ Il primo passo è stato la conquista di un Parlamento autonomo, nel 1997. Il secondo è arrivato nel 2007, con l ́elezione di un governo guidato dallo Scottish National Party. Ora credo che la Scozia abbia ciò che serve per compiere il terzo passo [l'indipendenza, nda], e sono convinto che vi riuscirà nel corso della mia vita”.
Sean Connery ha collaborato attivamente con la campagna referendaria per il SI, dichiarando che ““la campagna per il sì ha scelto una visione positiva della Scozia, fatta di accoglienza e uguaglianza e di quei valori democratici che garantiscono agli scozzesi di essere i guardiani migliori per il loro futuro”. Sul braccio dell’attore scozzese c’è persino un tatuaggio con la scritta Scotland Forever, risalente ai tempi in cui era membro della Marina britannica.
E proprio sul termine “britannico” si è realizzato lo scontro verbale con Roger Moore, altro grande interprete di James Bond. Moore si è sempre dichiarato “contrario alla secessione scozzese”, accusando Connery di soffiare sul fuoco separatista, nonostante sia diventato famoso interpretando “il più britannico dei personaggi”, cioè l’agente 007 di Sua Maestà. Roger Moore si è sempre definito “britannico, più che inglese”.
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martedì 11 marzo 2014

Il progetto di spopolamento del Pianeta



Tratto da New Apocalypse




Questo scioccante video è appena emerso dal sito Defense Intelligence Agency (DIA) e promuove apertamente lo spopolamento globale, aggiungendo che stanno prendendo provvedimenti per evitare che più persone popolino la Terra.
Elenco dei modi in cui stanno attualmente implementando il loro ordine del giorno:

1 – OGM (Organismi Geneticamente Modificati)

Vi siete mai chiesti perché la Cina, la Russia, e circa 60 altri paesi richiedono l’etichettatura degli OGM, ma l’America non lo fa? Oggi ci chiediamo perché la FDAmette un timbro di approvazione su un prodotto che provoca tumori, cancro e infertilità negli animali da laboratorio? La domanda è perché gli OGM sono consentiti e messi sugli scaffali quando sono stati conosciuti come portatori allo sviluppo di tumori e cancro negli esseri umani? Inoltre ci chiediamo perché i tassi di natalità sono in un costante declino negli ultimi 12 anni?
La risposta è semplice, coloro che cercano di controllarci stanno attuando i loro protocolli subdoli sulla popolazione che inizia con la sterilizzazione di massa e lo spopolamento attraverso OGM. Mentre la ricerca continua a dimostrare che consumare OGM conduce alla mutazione delle cellule nel corpo umano, le nostre élite continuano ulteriormente la produzione del prodotto. L’unica risposta, ci vogliono morti!


2 – Chemtrails Scie chimiche (Geo-ingegneria)

Ormai tutti hanno assistito alle striature bianche nel cielo, che si estendono da orizzonte a orizzonte, in ultima analisi, trasformando il cielo in una nebbia torbida. Non possiamo più ignorare il fatto che i nostri cieli sono stati pesantemente inquinati con alluminio, bario, piombo, arsenico, cromo, cadmio, selenio e argento. Tutto ciò creando una serie di problemi di salute, tra cui: effetti neurologici, danni cardiaci, problemi della vista, fallimenti della riproduzione, danni al sistema immunitario, disturbi gastrointestinali, reni danneggiati, fegato danneggiato, problemi ormonali, e altro ancora.

Queste élite spruzzano nei nostri cieli scie chimiche mortali nella speranza di ridurre la popolazione. Inoltre, le scie chimiche sono state usate come agenti per test biologici sulla popolazione stessa, mentre il sistema corrotto continua a sostenere che si tratti di semplice vapore acqueo. Ma noi sappiamo che non è così.

3 – Il fluoro nell’acqua

Il fluoro è una sostanza altamente tossica. Si consideri, per esempio, l’avviso che indica veleno nelle etichette che la FDA richiede in dentifrici venduti negli Stati Uniti, o l’uso prolungato di fluorizzazione nei pesticidi utilizzati per uccidere i ratti e gli insetti. Oppure i milioni di persone in Cina e India, che ora soffrono di patologie ossee invalidanti da acqua potabile fluorurata.

Gli studi continuano a dimostrare che il fluoro ha poco o nessun effetto nella prevenzione della carie quando aggiunto all’acqua. Tuttavia diversi studi rivelano effetti a lungo termine, tra cui: danni al cervello, malattie della tiroide, artrite, cancro alle ossa, e di altre malattie delle ossa, problemi riproduttivi, e altro ancora. Il fluoro è anche conosciuto come uno dei principali prodotti chimici utilizzati nella modificazione del comportamento. Esso agisce come un agente paralizzante sul cervello e funziona come un sedativo, rendendo le persone docili. La ‘fluorizzazione’ è stata utilizzata dai tedeschi nella seconda guerra mondiale.

4 – HAARP (High-frequenza di Active Auroral Research Program)

HAARP è presumibilmente utilizzato per determinare come la ionosfera, o gli strati superiori dell’atmosfera, influenzano i segnali radio, con l’obiettivo finale di sviluppare la più avanzata tecnologia di comunicazione radio. Stronzate.

Che cosa è veramente HAARP? È un’arma del governo segreto usata per manipolare il tempo e causare disastri “naturali” come uragani, tornado, tsunami, terremoti e temporali. Si manipola la ionosfera e, di conseguenza, modifica la magnetosfera. Inoltre, HAARP emette onde di frequenza estremamente basse (ELF), che possono creare il cambiamento di umore influendo su milioni di persone.

Questo potere è stato usato ripetutamente e molti sostengono che è stato responsabile ad innescare il terremoto di Haiti, il terremoto in Cile, il tifone nelle Filippine, uragano Sandy, l’uragano Katrina, terremoto e tsunami in Giappone, tornado, terremoti e alluvioni in Italia e altro ancora.

5 – Vaccini

Innumerevoli testimonianze di bambini che hanno reazioni avverse alle vaccinazioni abbondano in tutto il paese. Le madri hanno dolorosamente assistito al cambiamento del volto del loro figlio con l’iniezione del vaccino, solo per scoprire che l’autismo ha invaso il loro corpo. Considerando che l’élite ha imposto per lungo tempo l’iniezione di questi “metodi di morte” sulla popolazione, ben sapendo gli effetti che avrebbe avuto, mi porta a credere che ancora una volta sia un piano di spopolamento.

Mentre i rapporti continuano a reclamizzare i vaccini per prevenire le malattie, non riescono a segnalare gli effetti collaterali, tra cui: la morte, il cancro, l’autismo, e altro ancora.

“La prima cosa, se non l’unica, causa del mostruoso aumento del cancro sono state le vaccinazioni.”
(Dr. Robert Bell)

Questi sono solo alcuni dei modi ma ne usano tanti altri.

Planet Earth IS you



lunedì 10 marzo 2014

Pure 'a Calabria mo s'è arrevutata...



La Calabria diventa sempre più attiva nella difesa del territorio. Di riunione in riunione aumentano sempre più comitati e associazioni pronti a battersi affinché si trovino soluzioni alternative alle discariche per lo smaltimento dei rifiuti. Pubblichiamo dunque il comunicato della riunione che si è svolta due giorni fa, che fa un appello a tutte le associazioni ambientaliste attive in Calabria in questo momento. Prossimo appuntamento è previsto la mattina del 10 marzo, quando una delegazione dei comitati presidierà il Consiglio regionale in concomitanza della riunione della IV Commissione: il pomeriggio conferenza stampa a Bisignano. Pubblichiamo integralmente l’ultimo comunicato con l’elenco di movimenti e associazioni che aderiscono alla lotta.

Ci siamo riuniti a Lamezia Terme come uomini e donne calabresi, cittadini attivi – facenti parte di comitati ed associazioni di tutto il territorio calabrese – che non si rassegnano a vedere distrutti i loro territori, devastato il loro ambiente ed i loro Beni Comuni e messa a rischio la loro salute per una pericolosa (mal)gestione dei rifiuti, causata in tanti anni da una politica regionale “superficiale e collusa” e caratterizzata da “una cultura mafiosa”.

Come sostiene, il Sindaco di Cosenza, che frequenta e ben conosce i decisori politici attuali, questa (mal)gestione è predisposta e finalizzata a favorire delle imprese private che “hanno interesse nel verificarsi delle emergenze, perché è nel corso di queste crisi che si fanno i massimi profitti”.

Per questo ci stiamo organizzando per gridare la nostra rabbia e, soprattutto, per informare i cittadini calabresi sulla necessità di attivarsi e pretendere, in primis dai sindaci e poi dalla Regione, un ciclo virtuoso, interamente pubblico e partecipato, dei rifiuti.

Una gestione in cui si mettano in campo iniziative di prevenzione della produzione dei rifiuti, si applichi la raccolta differenziata spinta porta-a-porta con  piccoli impianti per il riuso ed il riciclo dei materiali raccolti e per il compostaggio dell’organico. Infine utilizzare poche e controllate discariche per il conferimento della parte residua inertizzata. Tutte pratiche facenti parte di una strategia più ampia: Rifiuti Zero.

Se ci riesce il Comune di Saracena, perchè gli altri Sindaci non riescono? E’ evidente che o, con superficialità, si disinteressano della vita e della salute dei loro cittadini o sono determinati a favorire solo gli interessi degli speculatori.

In Calabria, in barba alla normativa nazionale ed europea, qualcuno ha deciso di inviare il tal quale direttamente in discarica, non solo si prevedono di spendere 186 milioni di euro, con la scusa dell’emergenza, per inviare i rifiuti fuori regione, non solo si è deciso di spendere senza logica 250 milioni di euro in favore di discariche e mega-impianti ma, addirittura, si è deciso di legiferare per autorizzare abbanchi (e guadagni!)  nelle discariche private non autorizzate.

Per bloccare questo sistema perverso e per lanciare le nostre proposte alternative, la mattina del prossimo 10 marzo manifesteremo a Reggio Calabria, davanti alla sede del Consiglio regionale, e nel pomeriggio saremo tutti a Bisignano per una nostra conferenza stampa. Inoltre, stiamo predisponendo un  documento per una gestione alternativa dei rifiuti e, presto, elaboreremo una proposta di Legge sul “Riordino del servizio di gestione rifiuti urbani e assimilati in Calabria” che offriremo ai consiglieri regionali che vorranno farsene carico.

Per questo chiediamo a tutti i calabresi, alle tantissime associazioni, ad ognuna delle organizzazioni sociali, sindacali e politiche ed a tutti gli amministratori pubblici di attivarsi, alzarsi in piedi e scegliere da che parte stare: con chi vuole distruggere il nostro futuro e le nostre vite, o con chi non si è arreso e pretende di decidere sul proprio destino e su quello dei propri figli.

Comitato Difesa del Territorio – DONNICI, COSENZA (CS)
Comitato Ambientale Presilano – CELICO (CS)
Comitato per le bonifiche dei terreni, dei fiumi e dei mari della Calabria – PRAIA A MARE
Comitato No Di No discarica Giani – LAGO
Comitato civico spontaneo per il “NO” alla piattaforma rifiuti – BISIGNANO (CS)
Comitato Territoriale Valle Crati, Rifiuti Zero – TORANO CASTELLO (CS)
Comitato No Mega Discarica – CASTROLIBERO (CS)
Comitato anti discarica – SCALA COELI (CS)
Movimento Terra, Aria, Acqua e Libertà – CROTONE
Comitato per la Difesa dei Beni Comuni – ACRI (CS)
Associazione Paolab – PAOLA (CS)
Badolato in Movimento – BADOLATO (CZ)
Solidarietà e Partecipazione – CASTROVILLARI (CS)
Ass. il Riccio – CASTROVILLARI (CS)
Ass. La Piazza CLETO (CS)
Csoa Angelina Cartella – REGGIO CALABRIA
Cpoa Rialzo – COSENZA
Lsa Assalto – RENDE (CS)
Lsoa Ex Palestra – LAMEZIA TERME (CZ)
Ass. Le Lampare – CARIATI (CS)
Movimento Terra e Popolo – ROSSANO (CS)
Ass. Il Brigante – SERRA SAN BRUNO (VV)
Ass. Fratorel – CORTALE (CZ)
Ass. Net-left – SAN DONATO DI NINEA (CS)
Ass. Forum Ambientalista CALABRIA
Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica “Bruno Arcuri” – CALABRIA
Rete per la Difesa del Territorio “Franco Nisticò” – CALABRIA

Tratto da Insorgenza.it