domenica 29 settembre 2013

D3 Am0r3




Scendono cascate sinottiche dagli occhi.
Una volta le chiamavamo lacrime,
ora sono sintetiche eiaculazioni
di orgasmo di gioie o dolori.

Il cuore è irrecuperabilmente offline
quando mi guardi con le labbra dischiuse
che, impercettibili e frementi,
mi brasano l'anima.

Forse un giorno accadrà,
quando il Sole si starà spegnendo
e gli oceani vomiteranno codici indecifrabili:
tu mi odierai.

Ma fino a quel giorno
tanti tramonti acidi ci attendono,
tanti sospiri senza connessione
da gustare fuori matrice.

mercoledì 25 settembre 2013

No Discarica Divino Amore: "Se i conti non tornano è colpa del populismo?"



Altro comunicato del Presidio No Discarica Divino Amore. Annunciamo che tra qualche giorno, su questo sito pubblicheremo un'intervista ad un cittadino in lotta contro la discarica.

ROMA, 25 settembre 2013 - "Tutti sanno che la matematica non è un’opinione, tranne il Governatore Zingaretti, il Commissario, Sottile, l’Assessore Civita e Marino, che continuano a sostenere una linea in totale contrasto col buon senso, la logica, e dulcis in fundo con la matematica. Alla luce delle dichiarazioni rilasciate da Zingaretti, che definisce il dissenso popolare affetto da derive populistice, partiamo all’ insindacabilità dei dati. Roma produce circa 4.500 – 5.000 tonnellate di rifiuti al giorno che, su base annua, corrispondono a oltre 1.650.000 tonnellate. Con l’imminente chiusura di Malagrotta, nasce l’emergenza rifiuti nella Capitale. Un appellativo continuamente usato come strumento autoritativo e derogatorio a norme e vincoli legislativi. Prima contraddizione: si chiude un amarissimo capitolo per aprirne uno nuovo, tutt’altro che dolce. 


E’ questa l’intenzione del Governatore Zingaretti, - ribadisce il Presidio - quando in Consiglio straordinario dichiara di voler voltare pagina, chiudere col passato. Peccato che la nuova, non è una pagina vergine, tutta da scrivere. La nuova è già scritta e ipotecata. Si esce dall’emergenza rifiuti attraverso Falcognana definito “un piccolo sito di servizio”. Ma se uno scoglio non può arginare il mare, come può Falcognana con i suoi dodici camion giornalieri arginare un oceano di immondizia? L’impossibilità sta nei numeri, per l’appunto. 

E’ una conclusione insindacabile, e non populista. Facciamo un ulteriore passo in avanti. Perché la scelta sul sito di Falcognana è così tenacemente difeso dalle autorità competenti se attualmente presenta caratteristiche volumetriche ridicole in confronto al volume di rifiuti prodotti dalla Capitale? E’ lo stesso buon senso ad indicarci che tale decisione è irrazionale, a meno che non si voglia guardare più in là.
Falcognana sarà la nuova Malagrotta. E cosa dire sulle rassicurazione del Governatore Zingaretti in merito alla salute e all’esclusione di un ampliamento? Anche qui le cose non tornano. In primis, la miscelazione del fluff con i rifiuti urbani è vietata dalla legge e dall’Europa per le immani contaminazioni; in seconda istanza, tenuto conto che il sito si riempirà in un brevissimo arco temporale, la soluzione all’emergenza si baserà ancora su strumenti e poteri derogatori: nuove cave da riempire o ampliamento di quelle esistenti. 
La scelta di Falcognana è dunque illogica e priva di buon senso (non risolve il problema rifiuti ne tantomeno fornisce rassicurazioni e garanzia per la popolazione residente). E’ anche una scelta in totale disaccordo con i numeri.

"Zingaretti dimentichi Falcognana". Il Comitato No Discarica pronto alla mobilitazione



Insorgenza Civile Roma solidarizza con i cittadini in lotta contro l'insano progetto di creare a Falcognana, lungo la via Ardeatina e nei pressi del Santuario del Divino Amore, una discarica che rischia di diventare una "nuova Malagrotta". Noi meridionali residenti a Roma, che ben conosciamo i disastri di una gestione dei rifiuti che preferisce le discariche alla differenziata porta a porta, al riciclo e al riuso, non vogliamo una nuova Terzigno. Vogliamo che si chiuda DEFINITIVAMENTE la pagina delle discariche e che si incentivi SOLO E FORTEMENTE la differenziata e la trasformazione in compost.
Di seguito, il comunicato del Comitato No Discarica Divino Amore:

ROMA, 25 settembre 2013 - "Non è  bastato portare in piazza 15 mila manifestanti, lo scorso sabato. Non è bastata la nascita dell'Assemblea Costituente per l'ambiente e i diritti. Zingaretti prenda atto che la primavere a Roma è arrivata. La sua ostinazione su Falcognana dovrà fare i conti con le comunità in lotta. Questo territorio è il simbolo della nuova resistenza e intorno a Falcognana si sta  costruendo una rete regionale dei movimenti di lotta ambientalisti.  La lotta sarà senza quartiere e durerà fin tanto che Zingaretti non deciderà di ritirarsi".  E' quanto dichiara il Presidio No Discarica Divino Amore.

Venerdì dalle ore 14 il Presidio No Discarica Divino Amore manifesterà davanti al ministero dell'Ambiente. Sarà una protesta popolare contro la firma di Orlando. Lunedì 30 settembre si svolgerà al Presidio al chilometro 15,3 della Viua Ardeatina un mega raduno della gente davanti alla Falcognana. Partiranno cortei da tutti i quartieri della zona, quali Spregamore, Santa Maria delle Mole, Castel di Leva e Porta medaglia.
E questo sarà solo l'inizio perché il Presidio No Discarica Divino Amore impedirà un danno ambientale irreparabile che la giunta regionale, con la silenziosa complicità, di quello capitolino ha pianificato per l'Agro Romano.
"Ci faremo promotori di iniziative incessanti a oltranza  e la zona di Falcognana, come tutte le sedi istituzionali, saranno assediate da una protesta popolare inarrestabile perché è la gente a dire no e perché  questa è la democrazia e non un sistema di fedeltà che crea consenso privo di una reale base popolare. Il Presidio No Discarica, promotore dell'Assemblea Costituente per l'ambiente e i diritti, avvierà un diverso percorso articolato sulla democrazia di base che ci porterà su tutte le piazze".

lunedì 23 settembre 2013

Il massacro del Sud

Il volantino di Insorgenza Civile sul continuo massacro delle Terre e delle Genti del SUD



Mozioni approvate dal convegno nazionale della FAI



Tratto dal sito della Federazione Anarchica Italiana, le mozioni approvate dal Convegno nazionale della FAI, Livorno 7-8 settembre 2013


Mozione lotte sociali
Il convegno nazionale della Federazione Anarchica Italiana, riunito a Livorno il 7 e 8 settembre 2013, approva la seguente mozione: 

La situazione è caratterizzata da un attacco alle libertà, al reddito, all'occupazione; l'ultimo anno ha visto una modifica degli equilibri e delle regole all'interno del sindacalismo istituzionale, a cui si contrappone una risposta episodica e settoriale, capace comunque di ottenere risultati là dove i lavoratori adottino i metodi dell'autorganizzazione e dell'azione diretta. 

Per impedire la rinascita di un movimento dei lavoratori realmente conflittuale Confindustria e sindacati collaborazionisti hanno raggiunto un accordo sulla rappresentanza che punta ad eliminare il conflitto all'interno di un modello neocorporativo. 

Uno sciopero generale nazionale è un momento di lotta importante, anche se tardivo: ad ottobre ci troveremo di fonte ad un acuirsi della crisi, con cassa integrazione, mobilità, chiusure di fabbriche e licenziamenti, una situazione particolarmente difficile per l'efficacia di uno sciopero. 

Per rispondere a questa situazione, il convegno auspica una maggiore radicalità degli obiettivi e dei metodi di lotta, con pratiche quali l'occupazione e l'autogestione, da parte dei lavoratori, delle aziende in crisi. 

Gli anarchici federati lanciano un appello a tutti i lavoratori affinché la giornata del 18 ottobre si caratterizzi anche per una chiara opposizione alla guerra e al militarismo. 

Per quanto riguarda la legge sulla rappresentanza, l'adozione del metodo democratico significa dare voce ai crumiri, ai ruffiani, ai capetti: le decisioni devono essere prese dalle assemblee dei lavoratori in lotta. Il convegno ritiene utile aprire la discussione su una nuova forma di rappresentanza che unisca lavoratori sindacalizzati e no, diretti e indiretti, a tempo indeterminato e precari, basata su un mandato vincolante e revocabile. 

La scelta dei vertici sindacali di privilegiare manifestazioni nazionali è una scelta politica, che limita l'espressione di momenti di azione diretta territoriale. In una situazione di debolezza del movimento non ci illudiamo che la ripresa delle lotte possa avvenire a comando e a seconda delle scadenze dei nuovi soggetti politici. 

Il convengo invita le realtà federate a sostenere lo sciopero, contribuire alla definizione di contenuti propri da parte dei lavoratori, costruire appuntamenti locali che diano visibilità e sostegno alle lotte in corso e gettino le basi per una trasformazione reale della società.


Mozione Siria
Il Convegno nazionale della Federazione Anarchica Italiana, riunito a Livorno il 7 e l'8 settembre, si oppone ad ogni tipo di intervento militare in Siria, così come ad ogni guerra e ad ogni esercito. 

In Siria assistiamo ad uno scontro per rideterminare i rapporti di forza tra le potenze che hanno interessi nella regione, in un quadro internazionale in cui gli U.S.A. vedono il proprio ruolo egemone messo in discussione. Quelle stesse potenze che contribuiscono ad alimentare, ormai da due anni, una guerra civile che in Siria ha già provocato oltre centomila morti e cinque milioni di profughi, stanno preparando un nuovo massacro per la popolazione civile. 

Sebbene al momento il governo Letta non abbia una posizione d'intervento nel conflitto, non intende mettere in discussione l'alleanza NATO. Anche se l'Italia non dovesse partecipare direttamente al'intervento, avrebbe comunque un ruolo strategico nel caso di una nuova guerra nel mediterraneo. 

Il Convegno si impegna quindi a lanciare una campagna antimilitarista e a sostenere tutte le iniziative locali di lotta contro la guerra.  

In questa prospettiva si ritiene necessario appoggiare il movimento NO MUOS e rilanciare la lotta per lo smantellamento delle basi militari, contro la produzione bellica e contro gli F-35. 

Azione diretta contro le basi militari e internazionalismo per gettare sabbia e non olio nei motori del militarismo.


Mozione lotte ambientali e repressione
Il convegno della FAI, tenutosi a Livorno nei giorni 7-8/9/2013, sostiene le lotte presenti sul territorio, contro le devastazioni ambientali e la predazione delle risorse. Esprime la propria piena solidarietà nei confronti di tutti coloro che sono stati colpiti da provvedimenti repressivi.

sabato 21 settembre 2013

La Città dorme ancora



La città dorme ancora. Il sole acido è alto, ormai. I letti sono vuoti. Le strade sono piene. Eppure la città dorme ancora. Connessioni privi di spirito sono in giro. Meccaniche arrugginite dal sonno vogliono morire. Eclissarsi, attendendo nuove conolizzazioni senza opporre resistenza.
Il mare è vicino, specie in questi anonimi sabati. Potremmo guidare le nostre auto che sfiorano la terra senza toccarla. Potremmo viaggare lentamente, o sfiorando la velocità del suono. E giungere a vedere l'orizzonde increscaprsi di onde d'acqua. Il mare, però, non è più mare. I gabbiani non catturano pesci, ma rifiuti industriali e tossici serviti in acqua bollente. Ecco il mare di oggi. Di ieri. E di domani.
E allora restiamo nella città dormiente, come funghi allucinogeni cresciuti sull'asfalto di una metropoli agli sgoccioli del Ventunesimo secolo. Attenderemo di essere sfiorati dalla gioia del sabato, fingendo di vivere un giorno diverso. Attenderemo la domenica convinti che sia un giorno di gioia. Ci ricorderemo di santificare le feste.
Poi verrà il lunedì, e ci sembrerà di ricominciare. Quando in realtà non abbiamo mai smesso.

Non sono visioni, le mie.
Sono profezie.

giovedì 19 settembre 2013

Perchè mi sono nuovamente iscritto a Insorgenza Civile



Oggi ho incontrato Nando Dicè, il presidente del Movimento di Insorgenza Civile. Un movimento meridionalista identitario, antiliberista e anticapitalista, a cui sono stato iscritto anni fa. Avevo, poi, deciso di non rinnovare la tessera, consapevole dell'impossibilità di avere tempo da dedicare alla causa del SUD e anche alle lotte territoriali (scuola, trasporti, ambiente, lavoro, rifiuti, ecc...) della città in cui mi trovo a vivere dal 2007, cioè Roma.
Negli ultimi mesi, però, ho riflettuto molto sulla possibilità e sulla necessità di dedicare alla causa del Popolo Napolitano, ovunque esso sia disperso da decenni di emigrazione, e della Terra Napolitana, quella splendida terra che sta a SUD del Reatino e del Tronto. Davvero non riuscivo a trovare un minuto al giorno, un'ora alla settimana, da dedicare a questa causa? 
Allora ho ricontattato Nando, spiegandogli che volevo ricominciare a mettermi a disposizione di Insorgenza e volevo anche lavorare per i tantissimi napolitani che vivono a Roma e che hanno gli stessi problemi dei cittadini del Sud. Si, perchè Roma è ormai una città del Sud: per composizione "etnica", per le problematiche che vive, per il razzismo che subisce dal nord. Volevo lavorare per creare una realtà politicamente e culturalmente attiva, in maniera democratica e orizzontale.
I mesi son passati e la relazione con Nando, con Insorgenza e col mondo del meridionalismo (sostantivo che non mi piace, ma che utilizzo per ragioni di semplicità e chiarezza), si è fatta man mano più forte. Cresceva anche il convincimento che, se davvero vuoi dedicare tempo a qualcosa, deve essere qualcosa di bello, di importante, di altissimo valore ideale. Fino ad oggi, quando ho ufficializzato il mio nuovo tesseramento.
Ora devo, ora voglio lavorare per creare una Delegazione Insorgente a Roma, un nucleo di militanti che vogliono dedicare qualche scampolo di tempo ad una lotta politico-culturale durissima e faticosissima.

Ma per cosa siamo nati, se non per lottare per la Giustizia e la Libertà?

mercoledì 18 settembre 2013

Una storia vera di piccoli, fastidiosi abusi di polizia



Oggi posto un articolo che considero molto interessante, pubblicato su Infoaut, riguardante uno dei tantissimi abusi di polizia che qualsiasi cittadino, e non lo scalmanato black bloc di turno, può subire all'improvviso senza ragione. Questo è il clima creato ad arte dal Palazzo per spingere le persone ad avere paura e magari a disertare le manifestazioni e le iniziative di lotta sociale in ogni quartiere d'Italia.

"Bene, adesso racconto la mia parte di questa storia, perchè io sono fra i 17 fermati. 
Ore 9,30 circa. Cammino in via S.Anselmo per andare in ufficio. All'angolo con via S. Pio V sosta, come ogni giorno, la camionetta di militari che presidia la Sinagoga. Improvvisamente sento provenire dalle mie spalle grida, rumori e voci di megafono, quindi mi volto e vedo poliziotti in assetto anti-sommossa che caricano dei ragazzi che scappano, alcuni nella mia direzione. Onde non trovarmi in mezzo alla carica, siccome so che non è prassi delle forze dell'ordine fare molta differenza in quelle situazioni, corro anch'io. In men che non si dica uno dei militari che sostavano davanti alla Sinagoga mi corre incontro con manganello alzato e in posizione per colpirmi e mi ordina di fermarmi. Dico che io stavo passando di lì per andare al lavoro, che ho corso perché mi sono spaventata, ma a nulla serve. Vengo fermata assieme a due ragazzi fuggiti in via S. Anselmo e ci fanno consegnare i documenti e aspettare. 


Intanto i ragazzi mi raccontano che stavano presidiando contro uno sfratto e la carica è partita pressoché immotivatamente. Non posso verificare questo racconto, ma temo che nemmeno quello che riporta Repubblica sia stato verificato, o sbaglio? Dopo poco arriva un gruppo di poliziotti in assetto antisommossa, chiamati probabilmente dai militari, con altri fermati. Si fanno consegnare i nostri documenti dai militari e quelli degli altri ragazzi, con atteggiamento, diciamo, poco simpatico. Qualcuno chiede di parlare col suo avvocato e c'è una discussione. Ci tengono lì per un po', poi ci dicono che devono portarci in via Berthollet e veniamo scortati a piedi, non più di dieci persone da circa il doppio di poliziotti bardati, di cui una non perde l'occasione di commentare ad alta voce e con tono strafottente le nostre 'brutte facce'. In via Berthollet ci sono altre persone fermate e altra polizia, varie camionette. Dopo un po' ci dicono che dobbiamo salire sulle camionette per andare al commissariato di corso Tirreno ed essere identificati. Premetto che è chiarissimo fin da subito che io passavo di lì per caso, i ragazzi non mi conoscono (a parte uno conosciuto in altri contesti) e solidarizzano apertamente con la mia sfiga. Io con loro, peraltro. Comunque salgo su una camionetta assieme a due, prima salgono tutti gli ufficiali (una decina) e si siedono comodamente sui sedili, noi per terra, uno in mezzo al corridoio tra i sedili e gli altri due di fronte alle due file di sedili. Si chiude il portellone e si sfreccia via a sirene spiegate. Chiedo se posso telefonare, perchè prima ho avvisato mia madre e i miei colleghi che ero stata fermata, ma non del fatto che mi stessero portando via. Mi rispondono che in quel momento non posso usare il telefono. Me ne sto ferma e zitta. I poliziotti non parlano e quello di fronte a me si mette dei guanti. Ho molta paura, lo ammetto, e da alcune facce direi che loro lo vogliono, ma queste sono impressioni e non ci costruirò sopra alcunché. Arrivati in commissariato, ci tengono in cortile, dove possiamo nuovamente usare i telefoni e fumare delle sigarette (molte) e man mano ci chiamano all'interno. Io rimango tra gli ultimi, poi mi chiamano e una poliziotta mi porta in bagno, dove mi fa svuotare la borsa e scrive su un foglio il mio nome e cognome, mette telefono e qualche altro oggetto in un sacchetto con dentro il foglietto col mio nome, poi mi fa andare in una stanza dove ci sono altre due ragazze e dopo ne arriva una terza, che poi scopro essere quella che verrà arrestata, perchè 'avrebbe colpito un poliziotto'. I suoi compagni dicono che si è divincolata, anche su questo non posso dire nulla, ma ci tengo a riportare l'altra versione. Questa ragazza all'inizio non ha una sedia per sedersi, la chiede e le viene portata. La poliziotta di prima ci domanda di confermare i nostri indirizzi di residenza. A turno ci chiamano, la prima volta mi fanno solo sporgere dalla stanza per 'farmi vedere' da quelli che compilano i verbali. Poi mi richiamano per firmare il verbale di identificazione e rilascio, dove si dice che sono stata fermata per identificazione in via S. Anselmo e poi rilasciata. Nessuno mi interroga, nessuno mi chiede che cosa facevo e dove stavo andando. Mi viene restituito il mio sacchetto. Arriva un poliziotto di quelli col grugno, che bruscamente mi ordina di seguirlo fuori, e si volta indietro con aria minacciosa quando vede che non sto camminando abbastanza vicina a lui, mi lascia alla fermata dell'autobus, dove c'è già un gruppetto di ragazzi rilasciati come me, che aspettano i loro compagni insieme ad altri sopraggiunti perchè chiamati dai compagni. Il poliziotto dice loro che non possono aspettare lì, che devono salire sul prossimo pullman sennò fermeranno anche quelli che sono arrivati ora. Poi lascia perdere. Dopo poco arriva un altro poliziotto, più bonario, che dice a me a un'altra ragazza che era insieme a me nella stanza che dobbiamo tornare dentro perchè 'siamo scappate via' senza prendere il verbale di avvenuta perquisizione. Quando arriviamo dentro c'è di nuovo il poliziotto di prima che con la solita aria chiede che cosa ci facciamo ancora lì. L'altro spiega, poi ci dà il verbale e dice che possiamo anche non firmarlo, ma dobbiamo prenderne visione e avere la nostra copia. Sopra c'è scritto che siamo state perquisite durante un'operazione di polizia "atteso che vi era motivo di ritenere potessimo occultare armi, esplosivi o strumenti di effrazione" e che tutto questo è avvenuto "dopo aver informato il perquisito che era sua facoltà farsi assistere da un difensore di fiducia". Questo è falso, quindi nè io nè lei firmiamo. Il poliziotto ci lascia la nostra copia e dice che possiamo andare, sopraggiunge l'altro di prima dicendo "aspetta aspetta" e chiamando un collega affinché scorti fuori "queste qua". Di nuovo alla fermata, scherzo un po' con gli altri, fumo ancora una sigaretta e prendo il 66 per raggiungere l'ufficio. Sono le 12,30 circa."

martedì 17 settembre 2013

Voline e la Sintesi anarchica



Oggi vi sottopongo uno scritto molto interessante di Vsévolod Mikhaïlovitch Eichenbaum, detto Voline, un anarchico russo che ha lavorato alacremente ad una sintesi tra piattaformisti e spontaneisti, tra collettivisti e individualisti.
Un articolo di cui condivido lo spirito, in quanto anche io credo che sia necessario partire da ciò che unisce gli insorgenti, i ribelli, i libertari, piuttosto che cominciare da ciò che ci divide, facendo distinzioni di metodo o di merito su un futuro troppo lontano.
Definiamo sintesi anarchica una tendenza oggi presente in seno al movimento libertario, che cerca di conciliare e, successivamente, sintetizzare le differenti correnti di idee che dividono questo movimento in varie frazioni più o meno reciprocamente ostili. Si tratta, in fondo, di unificare in una certa misura la teoria e anche il movimento anarchico, in un insieme armonioso, ordinato e concluso. Dico "in una certa misura" poiché, naturalmente, la concezione anarchica non potrebbe, e non dovrebbe mai, diventare rigida, immutabile, stagnate. Essa deve rimanere flessibile, viva, ricca di idee e di tendenze varie. Tuttavia, flessibilità non deve significare confusione. E, d'altra parte, fra immobilismo ed esitazione, esiste uno stadio intermedio. Si tratta proprio di questo stadio intermedio che una sintesi anarchica cerca di precisare, fissare e raggiungere.

È stato soprattutto in Russia, in occasione della rivoluzione del 1917, che la necessità di una tale unificazione, di una tale sintesi, si è fatta sentire. Già molto debole materialmente (pochi militanti, mezzi di propaganda precari, ecc.) in rapporto alle altre correnti politiche e sociali, l'anarchismo con la rivoluzione russa si è indebolito ancora di più a causa delle sue lotte intestine. Gli anarcosindacalisti non volevano intendersi con gli anarcocomunisti e, nello stesso tempo, gli uni e gli altri erano in lotta con gli individualisti (senza parlare delle altre tendenze). Questo stato di cose ha impressionato dolorosamente vari compagni delle diverse tendenze. Perseguitati, e alla fine espulsi dalla grande Russia ad opera del governo bolscevico, alcuni di questi compagni sono andati a militare in Ucraina, dove c'era un ambiente politico più favorevole e dove, d'accordo con alcuni compagni ucraini, decisero di creare un movimento anarchico unificato, reclutando militanti seri e attivi in ogni parte si trovassero, senza distinzione di tendenze. Il movimento acquistò subito un'ampiezza e un vigore eccezionali. Per innalzarsi ed imporsi, in definitiva, gli mancava solo una cosa: una base teorica certa.

Alcuni compagni – consapevoli del fatto che io ero un avversario risoluto delle nefaste polemiche tra le diverse correnti dell'anarchismo, che tanto quanto loro propugnavo la necessità di una riconciliazione – vennero a cercarmi in una piccola città della Russia centrale dove mi trovavo all'epoca, e mi proposero di partire per l'Ucraina e di prendere parte alla creazione di un movimento unificato, fornendo loro uno sfondo teorico da sviluppare nella stampa libertaria.

Accettai la proposta. Nel novembre del 1918, il movimento anarchico unificato dell'Ucraina fu definitivamente messo in moto. Vari raggruppamenti formarono ed inviarono i propri delegati alla prima conferenza costituiva che creò la Confederazione anarchica dell'Ucraina Nabat (allarme, suono a stormo). Questa conferenza elaborò e adottò all'unanimità una Dichiarazione che proclamava i principi fondamentali del nuovo organismo. Fu deciso che il più rapidamente possibile questa Dichiarazione avrebbe dovuto essere ampliata, completata e commentata nella stampa libertaria. I tumultuosi avvenimenti successivi hanno impedito questo lavoro teorico. La confederazione Nabat dovette condurre lotte ininterrotte e accanite, e poi, a sua volta, fu liquidata dalle autorità bolsceviche installatesi in Ucraina. Eccettuati alcuni articoli di giornali, la Dichiarazione della prima conferenza Nabat è stata e rimarrà l'unica esposizione della tendenza unificatrice (o sintetizzatrice) nel movimento anarchico russo.

Le tre idee amestre che, in base alla Dichiarazione, avrebbero dovuto essere accettate da tutti gli anarchici seri al fine di unificare il movimento, sono le seguenti:

Ammissione definitiva del principio sindacalista, che indica il vero metodo della rivoluzione sociale;
Ammissione definitiva del principio comunista (libertario) che stabilisce la base organizzativa della nuova società in formazione;
Ammissione definitiva del principio individualista – essendo l'emancipazione totale e la felicità dell'individuo il vero obiettivo della rivoluzione sociale e della nuova società.
Nella stessa fase di sviluppo di queste idee, la Dichiarazione cerca di definire con chiarezza il concetto di rivoluzione sociale e di distruggere la tendenza di certi libertari che cercano di adattare l'anarchismo al preteso periodo di transizione.

Ciò detto, invece di riprendere gli argomenti della Dichiarazione, preferiamo sviluppare da noi la base teorica della sintesi.

La prima questione da risolvere è la seguente: l'esistenza di correnti diverse, nemiche e in disputa fra loro, è un fatto positivo o negativo? La decomposizione dell'idea e del movimento libertario in varie tendenze che si oppongono reciprocamente, favorisce o, al contrario, è di freno ai successi della concezione anarchica? Se si dà un giudizio positivo ogni discussione è inutile. Se, invece, si considera nocivo tutto ciò, è necessario trarre da questa certezza tutte le conclusioni.

Alla prima domanda rispondiamo come segue.

All'inizio, quando l'idea anarchica era ancora poco sviluppata, confusa, era naturale e utile analizzarla sotto tutti i suoi aspetti, scomporla, opporre gli uni agli altri, ecc. Ed è quello che è stato fatto. L'anarchismo si è scomposto in vari elementi (o correnti). Così, l'insieme, troppo generico e vago, è stato sezionato, il che ha aiutato ad approfondire, a studiare a fondo tanto l'insieme quanto i suoi elementi. In quest'epoca lo smembramento della concezione anarchica è stato un fatto positivo: il fatto che mole persone si interessassero alle diverse correnti dell'anarchismo ha contribuito a che i dettagli e l'insieme ne guadagnassero in profondità e precisione. Tuttavia, in seguito, una volta realizzata questa prima opera, dopo che gli elementi del pensiero anarchico (comunismo, individualismo, sindacalismo) sono stati girati e rigirati in tutti i sensi, era necessario pensare a ricostruire, con questi elementi ben lavorati, l'insieme organico da cui provenivano. Dopo un'analisi fondamentale era necessario tornare (volontariamente) alla benefica sintesi.

Fatto strano: non si è mai pensato a questa necessità. Le persone che si interessavano a un dato elemento dell'anarchismo finivano col sostituirlo all'insieme. Naturalmente esse dopo si trovavano in disaccordo, e alla fine in conflitto con coloro che trattavano allo stesso modo le altre parti dell'intera verità. Di modo che, una volta che dovesse affrontare l'idea della fusione degli elementi sparsi (i quali, presi separatamente, non potevano servire a gran cosa) in un insieme organico, gli anarchici intraprendevano per lunghi anni lo sterile lavoro di opporre odiosamente le proprie correnti, le une alle altre. Ognuno considerava la sua corrente, la sua frazione, come unica verità, e combatteva accanitamente i sostenitori delle altre correnti. In questo modo è cominciata nelle fila anarchiche questa stagnazione, caratterizzata dalla cecità e dall'animosità reciproche, che continua fino ad oggi e deve essere considerata nociva per lo sviluppo normale della concezione anarchica.

La nostra conclusione è chiara. Lo sviluppo dell'idea anarchica in varie correnti ha svolto il suo ruolo. Non ha più alcuna utilità. Niente più può giustificarlo. Ora porta il movimento a una "impasse", gli causa pregiudizi enormi, ma non offre – né può offrire – alcunché di positivo. Il primo periodo – quello in cui l'anarchismo si cercava, si precisava e si frazionava fatalmente in quest'opera – è terminato. Appartiene al passato. Ed è già arrivata l'ora di avanzare.

Se la dispersione dell'anarchismo è attualmente un fatto negativo, pregiudizievole, è necessario cercare di porvi fine. Si tratta di ricordare l'insieme, di riunire gli elementi sparsi, di ricercare e ricostruire volontariamente la sintesi abbandonata.

Sorge allora un'altra questione: questa sintesi è oggi possibile? Possiamo fornirle una base teorica certa?

Rispondiamo: sì, una sintesi dell'anarchismo (o, se si preferisce, un anarchismo sintetico) è perfettamente possibile. Non si tratta di nulla di utopico. Forti ragioni di ordine teorico parlano in suo favore.

Osserviamone brevemente alcune, le più importanti, nella loro sequenza logico.

1. Se l'anarchismo aspira alla vita, se conta in un trionfo futuro, se cerca di diventare un elemento organico e permanente della vita, una delle sue forze attive, feconde e creatrici, allora deve cercare di trovarsi il più possibile prossimo alla vita, alla sua essenza, alla sua verità ultima. Le sue basi ideologiche devono concordare il più possibile con gli elementi fondamentali della vita. Appare chiaro, infatti, che se le idee primordiali dell'anarchismo fossero in contraddizione con i veri elementi della vita e dell'evoluzione, l'anarchismo non potrebbe essere vitale. Ora, cos'è la vita? Potremmo, in qualche modo, definire e formulare la sua essenza, cogliere e fissare i suoi tratti caratteristici? Sì, potremmo farlo. Evidentemente si tratta non di una formula scientifica della vita – formula che non esiste – ma di una definizione più o meno chiara e giusta della sua essenza visibile, palpabile, concepibile. In quest'ordine di idee, la vita è innanzi tutto una grande sintesi: un insieme immenso e complicato, un insieme organico e originale, di molteplici e svariati elementi.

2. La vita è una sintesi. Quali allora l'essenza e l'originalità di questa sintesi? L'essenziale della vita fatto che la maggiore varietà dei suoi elementi – che oltre tutto si trovano nel suo movimento perpetuo – realizza allo stesso tempo un certo equilibrio. L'essenza della vita, l'essenza della sintesi sublime, è la tendenza costante nel senso dell'equilibrio e, insieme, della realizzazione costante di un certo equilibrio, nella maggiore diversità e in un movimento perpetuo (osserviamo che l'idea di un equilibrio di certi elementi, come essenza biofisica della vita trova conferma nelle esperienze scientifiche fisico-chimiche).

3. La vita è una sintesi. La vita (l'universo, la natura) è un equilibrio (un tipo di unità) nella diversità e nel movimento (o, se si preferisce, una diversità e un movimento in equilibrio). Conseguentemente, se l'anarchismo vuole camminare fianco a fianco con la vita, se cerca di esserne uno degli elementi organici, se aspira a essere in accordo con la vita e a giungere a un vero risultato, invece di trovarsi in opposizione con essa e di essere infine respinto, allora deve, senza rinunciare alla diversità né al movimento, realizzare anche e sempre l'equilibrio, la sintesi, l'unità. Tuttavia non basta affermare che l'anarchismo può essere sintetico: deve esserlo. La sintesi dell'anarchismo non è solo possibile, non è solo auspicabile: è indispensabile. Conservando la diversità viva dei suoi elementi, ancorché evitando la stagnazione, accettando il movimento – condizioni essenziali della sua vitalità – l'anarchismo nello stesso tempo deve cercare l'equilibrio in questa diversità ed in questo stesso movimento. La diversità e il movimento senza equilibrio costituiscono il caos. L'equilibrio senza diversità né movimento è la stagnazione, è la morte. La diversità e il movimento in equilibrio, ecco la sintesi della vita. L'anarchismo deve essere vario, mobile e, allo stesso tempo, equilibrato, sintetico, unito. In caso contrario non sarà vitale.

4. Osserviamo, infine, che la vera sostanza della diversità e del movimento della vita (e così della sintesi) sta nella creazione, cioè nella produzione costante di nuovi elementi, di nuove combinazioni, di nuovi movimenti, di un nuovo equilibrio. La vita è una diversità creatrice. La vita è un equilibrio in una creazione ininterrotta. Conseguentemente, nessun anarchico potrebbe sostenere che la sua corrente sia la verità unica e costante, e che le altre tendenze dell'anarchismo siano assurde. Al contrario, l'assurdo è che un anarchico si lasci catturare nella "impasse" di un'unica piccola verità, la sua, e che dimentichi in questo modo la grande reale verità della vita: la perpetua creazione di nuove forme, di nuove combinazioni, di una sintesi costantemente rinnovata.

La sintesi della vita non è statica: essa crea, modifica costantemente i suoi elementi e la sue reciproche relazioni.

L'anarchismo cerca di partecipare, nei campi che gli sono accessibili, agli atti creatori della vita. Conseguentemente, nei limiti della sua concezione deve essere ampio, tollerante, sintetico, operando al contempo come un movimento creatore.

L'anarchico deve osservare attentamente, con perspicacia, tutti gli elementi seri del pensiero e del movimento libertario.

Lungi dallo sprofondare in un unico elemento qualsiasi, egli deve cercare l'equilibrio e la sintesi di tutti gli elementi dati.

Egli deve, oltre tutto, analizzare e controllare costantemente la sua sintesi, comparandola con gli elementi della propria vita, al fine di essere sempre in perfetta armonia con essa. In effetti, la vita non rimane immobile, ma essa muta. E di conseguenza il ruolo e le relazioni reciproche dei diversi elementi della sintesi anarchica non rimarranno sempre gli stessi: in vari casi sarà ora uno e ora un altro di questi elementi che dovrà essere posto in risalto, sostenuto, messo in azione.

Alcune parole sulla realizzazione concreta della sintesi.

1. Non dobbiamo dimenticare mai che la realizzazione della rivoluzione, che la creazione di nuove forme di vita non saranno a carico nostro, anarchici isolati o raggruppati ideologicamente, bensì delle vaste masse popolari che, esse sole, potranno realizzare quest'immenso compito distruttivo e creatore. Il nostro ruolo, la nostra realizzazione, si limiterà a quello di lievito, di elemento di appoggio, di consiglio, di esempio. Quanto alle forme in cui si realizzerà questo processo, possiamo solo intravederle molto approssimativamente. Di fatto è inopportuno entrare nei dettagli, invece di prepararci, con impeto comune, al futuro.

2. Non è meno inopportuno ridurre tutta l'immensità della vita, della rivoluzione, della creazione futura, a piccole idee di dettaglio e a dispute meschine. Dinanzi ai grandi compiti che ci aspettano, è ridicolo, è vergognoso occuparci di queste meschinità. I libertari dovranno unirsi sulla base della sintesi anarchica. Essi dovranno creare un movimento anarchico unito, integro, vigoroso. Se non lo creeranno, rimarranno fuori dalla vita.

In quali forme concrete possiamo prevedere la riconciliazione, l'unificazione degli anarchici e, in seguito, la creazione di un movimento libertario unificato?

Dobbiamo evidenziare, innanzi tutto, che non ci rappresentiamo quest'unificazione come una riunione meccanica degli anarchici di tendenze diverse, una specie di campo eteroclito in cui ognuno rimarrebbe nella sua intransigente posizione. Un'unificazione siffatta non sarebbe una sintesi, ma un caos. Vero è che già un semplice avvicinamento amichevole degli anarchici di tendenze diverse e una maggiore tolleranza nelle relazioni reciproche (cessazione della polemica violenta, collaborazione nelle pubblicazioni anarchiche, partecipazione agli stessi organismi operativi, ecc.) costituirebbero un grande passo avanti in relazione alla situazione attuale. Al momento consideriamo quest'avvicinamento e questa tolleranza solo come un primo passo verso la creazione dell'effettiva sintesi anarchica e di un movimento libertario unificato. La nostra idea di sintesi e di unità va molto più oltre. Essa prevede qualcosa di più fondamentale ed organico.

Crediamo che l'unificazione degli anarchici e del movimento libertario dovrà muoversi in parallelo in due sensi.

Iniziando subito un lavoro teorico cercando di conciliare, combinare, sintetizzare le nostre diverse idee che, a prima vista, sembrano eterogenee. È necessario trovare e formulare, nelle diverse correnti dell'anarchismo, da un lato tutto quello che deve essere considerato falso, non coincidendo con la verità della vita e quindi da rigettare; e da un altro lato tutto quello che deve essere considerato giusto, apprezzabile, da ammettere. Bisogna, dopo, combinare tutti questi elementi giusti e di valore, creando con essi un insieme sintetico (è soprattutto in questo primo lavoro preparatorio che l'avvicinamento tra gli anarchici delle diverse tendenze e la loro reciproca tolleranza potrebbero essere di grande importanza come primo passo decisivo). Infine, quest'insieme dovrà essere accettato da tutti i militanti seri e attivi dell'anarchismo come base per la formazione di un organismo libertario unito, i cui membri si troveranno d'accordo su un insieme di tesi fondamentali accettati da tutti.

Già abbiamo citato un esempio concreto di tale organismo: la confederazione Nabat, in Ucraina. Aggiungiamo qui che l'accettazione di certe tesi comuni da parte di tutti i membri di Nabat non ha impedito in alcun modo ai compagni di tendenze diverse di sostenere, soprattutto nell'attività e nella propaganda, le idee che gli erano care. Così, alcuni (i sindacalisti) si sono occupati soprattutto di problemi concreti riguardanti il metodo e l'organizzazione della rivoluzione; altri (comunisti) si sono interessati preferibilmente della base economica della nuova società; altri ancora (individualisti) facevano risaltare in modo speciale le necessità, il valore reale e le aspirazioni dell'individuo. Ma era condizione obbligatoria per essere accolti in Nabat l'accettazione di tutti e tre gli elementi come parti indispensabili di un insieme, e la rinuncia allo stato di ostilità fra le diverse tendenze. I militanti, pertanto, erano uniti in modo organico, poiché tutti accettavano un certo insieme di tesi fondamentali. Così è che noi ci rappresentavamo l'unificazione concreta degli anarchici sulla base di una sintesi di idee libertarie stabilita sul piano teorico.

Simultaneamente e parallelamente a tale lavoro teorico, si dovrà creare l'organizzazione unificata, sulla base dell'anarchismo inteso sinteticamente.

Per finire, va sottolineato ancora una volta il fatto che noi non rinunciamo in alcun modo alla diversità delle idee e delle correnti in seno all'anarchismo. Tuttavia, c'è diversità e diversità. In modo particolare, quella che esiste oggi nelle nostre fila è nociva, è caos. Riteniamo che la sua conservazione sia un errore gravissimo. Siamo dell'opinione che la varietà delle nostre idee non potrà essere e non sarà un elemento progressivo e fecondo se non in seno ad un movimento comune, a un organismo unito, unificato su certe tesi generali accettate da tutti i membri e sull'aspirazione ad una sintesi.

Solo nel quadro di un impegno comune, solo nella ricerca di tesi giuste e nella loro accettazione, le nostre aspirazioni, le nostre discussioni e anche le nostre dispute avranno valore, saranno utili e feconde (proprio così è stato in Nabat). Quanto alle dispute e alle polemiche fra conventicole che cercano ciascuna la propria verità unica, esse potranno trovare alimento solo nella perpetuazione del caos attuale, nelle lotte intestine interminabili e nella stagnazione del movimento.

È necessario discutere sforzandosi di trovare un'unità feconda, e senza imporre ad ogni costo la propria verità contro quella degli altri. Solo la discussione del primo tipo porta alla verità. Quanto all'altra discussione, essa porta solo all'ostilità, alle liti e alla sconfitta.

lunedì 16 settembre 2013

Dissertazioni disgreganti uniche



Frammenti raccolti dispari sul Monte della Solitudine consentono alla mia mente di scoprire limiti ed orizzonti, obiettivi ultimi e primi piccoli passi. L'indecenza della morale della nostra epoca mi colpisce, mi sporca, ma non mi contagia. Ne sono immune: non per miracolo, ma per scelta. Ho scelto di non seguire la vostra morale. Ho scelto di non camminare al vostro fianco, perchè io non sono nato per stare in un gregge. Forse, nemmeno in un branco. Io sono nato per stare in un angolo anche quando stiamo tutti in cerchio. Io sono nato per stare un passo avanti nella lotta e un passo indietro nel suicidio di massa a cui vi siete condannati. Io non sono vostro complice. Io non sono vostro amico. Io posso solo essere un esempio, per quei rari spiriti tra di voi che hanno deciso di abbandonare la pecorile servitù della materia ed hanno scelto di pensare e agire liberamente.
Individui, certo. Unici nel nostro essere unici. Non riconducibili ad una categoria, ad una etichetta, ad un logo, ad una griffe. I nostri spiriti hanno abbandonato i recinti morali della vostra epoca rampante: se i nostri corpi ci seguiranno, sarà un bene; altrimenti moriremo, ma potremo dire di aver vissuto davvero. "Nel recinto c'è ancora l'umanità intera", dite voi. E' vero, più o meno: nel recinto c'è l'umanità intera... tranne me e quei pochi come me. Quel recinto salterà in aria, un giorno. Quel recinto verrà disintegrato, un giorno. Chi lo farà saltare in aria? La massa che è ancora rinchiusa o quei pochissimi spiriti liberi - poveri illusi! - che ne sono fuori? Datemi un soldo, e lo punterò sui secondi.

Voi guardate la mano che ogni giorno timbra il cartellino, e siete contenti. Non riuscite a scorgere l'odio che c'è dietro e dentro quella mano. Voi avete creato i vostri nemici. 
Voi avete creato me.

domenica 15 settembre 2013

Le rivolte libertarie in Brasile



Tutti noi abbiamo negli occhi le quotidiane manifestazioni di insofferenza e ribellione del popolo brasiliano duranto la Confederations Cup che si è disputata a giugno.
Oggi vi propongo un estratto di un articolo pubblicato nell'ultimo numero di Umanità Nova, scritto da un insegnante e militante brasiliano.
Il testo completo lo trovate cliccando sul link a piè di pagina.

Oltre a questa impressionante e sorprendente dimostrazione di forza che ha piegato l’autorità delle città brasiliane, un altro aspetto straordinario delle rivolte di giugno è stato la logica del senso. Le manifestazioni hanno ripreso un senso politico da tempo bandito dalla scena politica brasiliana: l’anarchismo. Bisognerebbe essere sciocco o disonesto per non ammettere che il modus operandi nelle manifestazioni hanno innescato una forte analogia con quella utilizzata storicamente dai movimenti anarchici. Lo stesso MPL (Movimento Passe Livre), gruppo responsabile per la convocazione delle manifestazioni, è un’organizzazione apartitica e orizzontale, adotta il principio della rotazione per evitare la cristallizzazione delle strutture di potere, e l’auto-gestione dei loro lavoro interni. Inoltre, cosa più importante, non ha capo, o leader o portavoce. Il MPL respinge pertanto il principio della rappresentanza politica e rifiuta quindi il gioco della democrazia liberale che, contrariamente a quel che si crede, non è né fu l’unica forma possibile di democrazia nella storia. Piaccia o no, il fatto è che nella storia delle società moderne è proprio questa posizione politica che è adottata dal movimento anarchico internazionale sin dal XIX secolo.

Non pochi analisti si sono riferiti al movimento francese del maggio 1968 per tracciare un parallelo che permettesse di rendere intelligibili le rivolte brasiliane del giugno. Ma forse non è un buon esempio. Un sentimento che ha attraversato le manifestazioni in Brasile è stato la forte avversione per le istituzioni in generale. Non solo i partiti politiche, ma anche i sindacati e gruppi di sinistra con un forte grado di istituzionalizzazione come il MST, e pure il Consiglio dello Stato di San Paolo e Rio de Janeiro, la Prefettura della città São Paulo, il Banco Central, il Ministero degli Esteri di Brasilia. In giugno le rivolte sono state dirette contro le istituzioni. Bisogna avere in conto che le istituzioni sono responsabili per il collegamento dei singoli alla logica del potere: preso all’interno di un’istituzione il singolo si deve piegare alle regole della sua organizzazione ed è dominato dagli scopi della stessa, per conto dei quali le decisioni sono prese conformemente con l’ordine dello stato. Le istituzioni articolano l’esistenza del singolo con l’ordine del potere. Attaccare le istituzioni vuol dire attaccare lo stesso regime della legalità.
A quanto pare nei giorni del maggio 1968 il senso era diverso: il “il est interdit d’interdire” [è vietato vietare] non passava per il rifiuto delle istituzioni ma per il rifiuto del pattugliamento ideologico dei partiti e università. In una lucida analisi di quegli eventi Maurice Joyeux diceva che finita “la festa” gli attori principali sono stati recuperati dalle parti o assimilati in posizioni importanti. “Dopo aver gettato la sua rabbia contro la faccia del papa, del professore e della società, [...] sono stati riconvertiti con i partiti e le organizzazioni dello Stato su cui avevano vomitato”[1].

A questo proposito, le rivolte brasiliane di giugno sembra stabilire maggior grado di esteriorità rispetto allo Stato più che le giornate del maggio francese, cosa che ci porterebbe di suggerire un’altra analogia nella storia. Nella storia delle lotte sociali in Brasile c’è un evento che potrebbe fungere da punto di intelligibilità: sono le “giornate di luglio” di 1917 a San Paolo. Lo sciopero generale anarchico che mobilitò 100.000 persone nella capitale è stato causato dal costo della vita e aggravato dalla violenza e stupidità della polizia e del governo: la parola d’ordine degli scioperanti era fermare la città e quella del governo era reprimere. Contro la brutalità della polizia e del governo gli operai eressero barricate, distruggono fabbriche, saccheggiarono magazzini, vandalizzarono l’illuminazione pubblica, depredarono il tram. Il governo tentò, senza successo, di assegnare la violenza degli scioperanti ad una minoranza di anarchici. Tuttavia, era chiaro che la rivolta della folla non era stata guidata da una grande utopia, ma dal senso dell’intollerabile che risultava dalla miseria economica combinata con l’autoritarismo del governo. Dopo una settimana di conflitto aperto, la repulsione degli scioperanti alla legalità era tale che si rifiutano di negoziare con il governo e i padroni. È stato grazia all’intermediazione di una commissione di giornalisti che fu possibile l’accordo che mise fine allo sciopero[2].
Lo stesso si può dire per le rivolte di giugno: de semplice atto di protesta contro l’aumento dei trasporti pubblici presto la brutalità e la stupidità di governo hanno trasformato la situazione in un modo intollerabile per i manifestanti, cosa che ha fatto sospendere l’efficacia della legittimità dell’ordine delle leggi. Ed è la sospensione della legalità che, a mio avviso, costituisce l’elemento originale e decisamente l’anarchico di questo evento. A questo riguardo, il guadagno economico è irrilevante, in quanto è sempre preferibile alcuna riduzione strappata con la forza, anche R $ 0,01 cent, che l’azzeramento delle tariffe sotto forma di concessione del governo. Solo la riduzione strappata con la forza o con la paura della forza è in grado di produrre una trasformazione etico-politica: libertà e giustizia sono acquisite solo combattendo contro l’oppressione e l’ingiustizia. Chi non paga il trasporto per concessione governativa obbedisce un ordine del governo, invece chi paga di meno a causa di una riduzione strappata con la forza sta godendo di un diritto conquistato. E in tutta la storia politica delle nostre società l’unica garanzia contro l’arbitrario del governo è sempre stata la ferma consapevolezza dei governati circa i diritti conquistato.
Lo slogan “R $ 3,20 è un furto!” era sufficiente. E ‘stato sufficiente per mostrare quanto sia fragile l’autorità dello Stato quando incontra faccia a faccia l’indisciplina e la messa in discussione della gerarchia: occupare le strade e fermare la città contro la regolamentazione del movimento e l’immobilità del laissez-passer ha colpito la logica statale. É lo stato che controlla e produce il movimento, ispeziona le strade e disciplina le vie. La sua mobilità è confinamento: definisce percorsi, punti fissi da seguire, limita la velocità, determina le direzioni, distribuisce uomini e cose in uno spazio chiuso e territorializzati, stanziala individui. Pertanto, è fondamentale per lo Stato vincere il nomadismo. La pratica nomadica rompe la mobilità disciplinata producendo un uso dinamico dello spazio al di fuori dello Stato. Liberando gli spazi, il nomadismo diventa un atto fondamentalmente trasgressore, una macchina da guerra contro l’apparato statale[3]. I disordini del giugno sono stati in grado di produrre molti nomadismi.
Da quanto sopra, abbiamo ancora bisogno di affrontare due punti:
1) la violenza: bisogna rifiutare il moralismo liberale e ammettere che non solo la democrazia, ma anche la lettera della legge sono forme di dominio politico oggettivato, e che il cosiddetto stato di diritto appena non supporta la violenza che fonda un senso opposto alla sua dominazione. Violento è sempre lo Stato: l’aumento dei costi dei biglietti è una violenza, è pure violenza il progetto di legge brasiliano della “cura gay”, che considera l’omosessualità una malattia, e lo statuto del nascituro, che vieta l’aborto. Protestare contro di loro è autodifesa.
2) senza partiti: è fuorviante chi vede libertà di espressione sotto la bandiera dei partiti politici. Sono soldati che obbediscono a parole d’ordine. Partiti e istituzioni o sono strutture oligarchiche o devono diventarlo si vogliono stabilirsi nel potere. Non c’è esempio nella storia a dire il contrario. E non c’è più grande stupidaggine di dire, come ha fatto il presidente del PT di SP, che la negazione e l’esclusione dei partiti porta a manifestazioni autoritarie. Nessuno degli stati totalitari conosciuti nella storia furono apartitici: erano “iperpartitici” nel senso di volere il partito unico in forma di “superpartito” (PNF italiano, NSDAP tedesco, PCUS sovietico, ARENA brasiliano). Al contrario, quando le manifestanti hanno respinto i partiti, hanno mostrato che non volevano essere confuse con loro, hanno dimostrato di essere consapevoli della loro dignità e del valore proprio; hanno espresso la loro singolarità e la loro capacità politica particolare[4].
Come sarebbe possibile difendere le energie liberatrici che sono state innescate dalle grandi dimostrazioni di giugno? Come garantire che queste energie sfuggano ai processi di sedentarizzazione e d’immobilizzazione dei partiti, sindacati, istituzioni e dello Stato? Rischiando una risposta, direi che per continuare a nomadizzare gli spazi, i ribelli di giugno dovrebbero imparare a fare due cose: da un lato, dovrebbero imparare a fermarsi senza perdere velocità, vale a dire, trasformare il movimento in intensità in modo che alla sua prossima riapparizione sia ancora una volta possente e turbinante. E, d’altra parte, dovrebbe saper continuare le loro lotte senza incorrere nelle strutture oligarchiche e burocratiche dei partiti politici e delle istituzioni statali. In altre parole, dovrebbe rimanere come gli “esseri imprevedibili” di cui parla Nietzsche: quelli che “vengono come il destino, senza causa, ragione, considerazione, pretesto, sorgono come il lampo, in modo troppo terribile, improvviso, ugualmente costringendo ed ugualmente “differente” persino per essere odiato...”[5].
Nildo Avelino*

*Nildo Avelino insegna Scienze Politiche all’Università dello Stato della Paraíba (Brasile) e è militante del Centro de Cultura Social de São Paulo.

Tratto da Umanità Nova

sabato 14 settembre 2013

La via libertaria è aperta a tutti



Oggi pubblico un articolo tratto dal mensile "A - rivista anarchica", in cui viene spiegato un concetto fondamentale: l'Anarchia, oltre ad essere un'ideale, è soprattutto un metodo di azione. Come spiegava Malatesta, l'Anarchia non è la perfezione verso cui tendere, ma la strada da percorrere verso la liberazione di tutti e di ciascuno.

Fallita per sempre ogni soluzione di socialismo autoritario o statale, a fronte della distruttiva barbarie quotidiana in cui ci costringe il liberalismo, l'anarchia è oggi un faro per tutti coloro che lottano per la dignità e la giustizia.
Ma non è solo un obiettivo lontano o un miraggio, essa è pratica quotidiana, materia pulsante. Essa vive in ogni sussulto individuale o collettivo di emancipazione, nell'esodo e nel conflitto, nelle zone liberate e dentro ogni crepa del presente, nella libera cooperazione e nella solidarietà tra uomini e donne, nell'affermazione dell'autonomia dall'autorità. L'anarchia, sintesi dei concetti e delle pratiche di uguaglianza e libertà quali si sono affermate storicamente, è dinamica, aperta, sperimentale, suscettibile di modifiche, assetata di nuovi orizzonti. Ferma nella sua sostanza di antiautoritarismo, libertà e uguaglianza, muta però forma in continuazione. Mai uguale a se stessa, così difficile da definire da essere spesso fraintesa e denigrata, è il cuore pulsante dei movimenti sociali contemporanei più avanzati, quelli che fanno dell'autorganizzazione e dell'assenza di gerarchie la propria cifra e dell'autogestione il proprio metodo. Oggi è l'anarchia infatti che, contro ogni finalismo, caratterizza forme di resistenza e alternativa alla massificazione dello sfruttamento e del dominio nelle società contemporanee. È l'anarchia l'unica forza in grado di aprire squarci in un magma avvolgente e insapore che neutralizza ideologie e idee, un blob sempre uguale a se stesso, statico nel suo eterno ritorno dell'uguale, un sistema criminale e vorace che uccide, sfrutta, devasta.

Eppure, lo sappiamo, l'idea anarchica non è cosa di ieri. Negli anni settanta e ottanta dell'ottocento gli antiautoritari italiani elaboravano la propria idea rivoluzionaria in opposizione al concetto di lotta per la conquista del potere politica caro a Marx e a Engels.
Carlo Cafiero intendeva la rivoluzione come una legge naturale. La società, proprio come la natura, era caratterizzata da processi continui di trasformazione, il cui stadio ultimo doveva essere la rivoluzione: un evento radicale e violento in grado di abbattere lo stato e di essere uno spartiacque tra una situazione di conflitto e una di pace. Era questa una visione finalistica, legata agli influssi culturali positivisti del tempo, alla quale egli però affiancava anche un concetto di rivoluzione come processo aperto, non concluso, continuamente pronto a rinnovarsi nella lotta contro quella eventuale autorità che dovesse rinascere dopo la distruzione dello stato. Nel suo pensiero c'era cioè, almeno in nuce, un'intuizione del carattere potenzialmente infinito dell'azione anarchica che sembrava presupporre una società postrivoluzionaria conflittuale e suscettibile di ulteriori trasformazioni.

Il richiamo della coscienza
Inoltre per lui era l'egoismo, inteso come “sentimento dell'io”, a ispirare l'uomo e a generare due leggi coesistenti fondamentali dell'agire umano, il principio di lotta e quello di sociabilità. Tale visione curiosamente corrisponde a quel che affermano alcuni dei più autorevoli biologi e naturalisti contemporanei, secondo cui la forza motrice dello sviluppo umano è la selezione naturale “multilivello”, ovvero sia individuale che di gruppo. Edward O. Wilson, nel suo La conquista sociale della terra (Cortina, Milano, 2013) scrive che al livello più alto i gruppi umani fanno a gara tra di loro favorendo i tratti sociali cooperativi tra i membri dello stesso gruppo, mentre al livello inferiore i membri dello stesso gruppo gareggiano in un modo che sfocia in comportamenti egoistici.
Poco tempo dopo Cafiero, a metà degli anni ottanta dell'ottocento, Malatesta pubblicava il suo scritto L'anarchia. L'agire umano, scriveva Malatesta, si è caratterizzato storicamente secondo i due termini contrapposti di egoismo e di cooperazione. Il primo è un resto atavico del passato, il secondo è fattore di progresso. L'egoismo è quindi destinato a scomparire e questo è l'obiettivo dell'azione degli anarchici. Tale visione progressiva dell'evoluzione umana è oggi difficilmente accettabile.
Dopo gli avvenimenti terrificanti del novecento, sappiamo che per l'uomo non esiste una strada lineare che conduce dall'egoismo alla solidarietà. Ogni persona sente il richiamo della coscienza, dell'etica contro la codardia, della verità contro il raggiro, dell'impegno contro la rinuncia. Egoismo e solidarietà, cioè quello che i biologi chiamano selezione individuale e di gruppo, spiegano la natura conflittuale delle motivazioni umane. Lo spirito di collaborazione e l'empatia sono sì fattori dell'evoluzione ma non sono mai dati per sempre, sono qualcosa da conquistare e riconquistare continuamente. Il nostro destino è essere dilaniati da grandi e piccoli dilemmi man mano che ogni giorno procediamo a zig-zag nel mondo rischioso e indocile che ci ha dato la vita. Abbiamo sentimenti contrastanti. Non siamo mai sicuri di una linea d'azione. Capiamo fin troppo che nessuno è così saggio e grande da non potere commettere un errore madornale, o un'organizzazione così nobile da essere incorruttibile.
Tutti noi, nessuno escluso, trascorriamo la nostra vita in conflitto con noi stessi (Edward O. Wilson, La conquista sociale della terra, cit.).
Eppure, così come ne La rivoluzione di Cafiero anche nel Malatesta de L'anarchia ci sono intuizioni attualissime e che sembrano superare, almeno in parte, una concezione per forza di cose legata al proprio tempo. Malatesta scriveva già allora infatti che l'anarchia non è l'ideale assoluto né la perfezione, ma è essenzialmente un metodo, una via aperta a tutti.
Così facendo, egli contribuiva ad affermare una visione dinamica dell'anarchismo, la cui azione è potenzialmente infinita perché infiniti sono gli ambiti in cui è e sarà necessaria una pratica antiautoritaria in grado di demolire quelle dinamiche di potere e di nuovo sfruttamento che si riformano continuamente.

Antonio Senta, pubblicato da A - rivista anarchica

venerdì 13 settembre 2013

Il Manifesto del Futurismo Libertario



Vi sottopongo oggi un articolo pubblicato nel 1912 da La Barricata, a firma deò futurista libertario Renzo Provinciali. Tale articolo viene comunemente considerato il Manifesto del Futurismo Libertario.

I
Camille Mouclair, il chiaro pubblicista francese, pubblicava tempo fa ne “la depéche de Toulose” un accurato studio sul Futurismo, in rapporto al giudizio e la critica del pubblico e a gli attuali avvenimenti guerreschi.
E sono invero notevoli i criteri pronunciati dal Mouclair in questo suo lungo articolo, denso di pensiero e vario di forma, ma incompleto e manchevole, poiché egli ha appena sfiorato il punto, dirò così, scabroso del Futurismo, cioè il punto di contatto con l’ideale anarchico.
Dice il Mouclair:”il Futurismo sta costituendosi, trasformandosi, in un vero partito, poichè va annettendosi delle idee politiche e sociali”. Ciò infatti è indiscutibilmente vero, ma non è meno vero che il Futurismo non ha mai avuto una perfetta apoliticità, che non si è mai ristretto in sole manifestazioni artistiche, ma, uscendo dal confusionismo Marinettiano, ha assunto spesse volte varie tinte politiche a seconda de gli avvenimenti e de gli uomini che questi stessi avvenimenti promuovevano.
Quando Marinetti pubblicò il suo manifesto, che fu poi quello del Futurismo, sul “Figaro” di Parigi, il 29 febbraio 1909, egli certamente non aveva ciò preveduto, dimodoché il manifesto futurista non fu che la vibrata, violenta, nuovissima espressione di giudizii estetici e artistici “di un poeta giovane e delirante” come dice il Mouclair, di un grande poeta, aggiungo io.


Ma l’ora presente, l’ora critica del Futurismo, e due anni di esperienza consigliano, impongono al Futurismo di tracciarsi una netta e sicura linea di condotta in fatto di politica. Così tutte le incertezze, tutti i dubbi, tutte le personcine pseudo-futuristiche saranno eliminate e un più grande Futurismo sorgerà da questa purificazione.
Ma, e qui sta il busilli, su quale ideale politico potrà ispirarsi al nuovo Futurismo? Già nel manifesto del futurismo, Marinetti esaltava ad un tempo: ”la guerra, sola igiene del mondo, il patriottismo, il militarismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si lotta e si muore”.
Stridenti illogicità queste, dal punto di vista pratico e politico, ma ugualmente esaltabili per un artista che ignora cosa sia la logica e non bada che a l’estetica. E questo estetismo artistico può, poteva essere compatito allora anche dal futurista anarchico, non ora che da taluni futuristi queste esaltazioni estetiche sono state considerate e valutate come esaltazioni pratiche e reali.
Perciò io credo, anzi sono sicuro, che occorra una spiegazione tra le due interpretazioni non diverse, ma opposte che sono state accomunate da l’oscura ed infelice esposizione d’un concetto artistico.
E’ possibile che ancora i futuristi anarchici, i sovversivi anche in generale, possano ancora dividere la responsabilità de le esaltazioni tripoline di Marinetti e di De-Maria ? No, certamente. Perciò in questa sua ora critica il futurismo deve dichiararsi, deve definirsi lealmente e nettamente, deve passare il suo Rubicone.

II
Esaminato questo punto ritorniamo alla nostra domanda.
Con quale ideale dovrà completarsi il Futurismo? Amo rispondere con un’altra domanda: E’ possibile che un uomo coerente possa contemporaneamente propugnare la più grande e generale rivoluzione nel campo de le arti, volere in questo terreno l’anarchia più completa ed estesa ed essere un perfetto conservatore ne la vita? O non mai, sarebbe un contro senso! E’ possibile che l’anarchia e la rivoluzione non camminino di pari passo sia ne l’arte che ne la vita?
Com’è possibile immaginare un’arte borghese in una società anarchica, e un arte futurista in una società borghese? Convenite che ciò è ben assurdo. Perciò il Futurismo non potrà essere compreso e accettato se non quando nel mondo si sarà diffusa l’anarchia, e così pure l’anarchia sarà sempre insuperabilmente ostacolata da le arti e da la coltura arcaiche e fatte di pregiudizi e di convenzionalismi.
E infatti i nazionalisti e i monarchici compresero a tutta prima che il futurismo era in stridente contrasto con le loro idee, e per questo lo avversarono sempre e anche oggi, malgrado le bollenti ed affascinanti dimostrazioni Marinettiane, tendenti a guadagnare, ad addescare ammiratori per se, e gregari per il suo futurismo tutti questi messeri sono rimasti ben freddi, ben indifferenti lasciando sbraitare il Marinetti a suo comodo senza degnarlo di una misera adesione o di un tanto cercato applauso.
Difatti, come mai un monarchico, un borghese qualunque, freddo e cinico a quanto sia libertà, socialismo, anarchia, ribellione, potrà ispirarsi ad esaltare, le grandi folle polifoniche agitate dal lavoro e da la rivolta?
E qual’è la scuola che più si affini al futurismo, che abbia anche essa un programma di violenza e di azione, di ribellione e d’orgoglio? L’anarchia senza dubbio. Ed è solo questo ideale che potrà dare al Futurismo ciò che gli manca, che potrà infondergli nuova vita, che potrà purgarlo da gli elementi eterogenei che lo distraggono dal suo vero cammino e che ne trasfigurano le dimostrazioni, le manifestazioni più vitali.
Questa è la sola via che dovrà seguire il futurismo, per necessità storica, o altrimenti, seguendo la via per cui s’è incamminato, troppo tardi s’accorgerà che quella via lo porta, inevitabilmente a l’abisso.

III
Ma io vorrei chiarire un’altro punto interessantissimo di questo mio parallelo tra l’Anarchia e il Futurismo: la partecipazione de gli anarchici a le idee futuriste.
Ma, in primis, perché gli anarchici si sono così poco interessati de le aspirazioni futuristiche?
Le ragioni, invero, non sono né nuove, né molte: gli anarchici non se ne interessarono mai, sia perché troppo assorti ne la lotta politica ed economica, sia perché non ne furono punto invogliati vedendo come le manifestazioni futuriste fossero malamente ispirate, anzi travisate da uomini che di futuristi non avevano che il nome e l’ambizione.
E sono pienamente giustificati.
Piuttosto biasimevoli furono i ripetuti attacchi che, a i tempi de la fondazione, furono mossi al Futurismo da i nostri giornali (il Libertario, la Rivolta ecc.) che vedendo questa atmosfera ammorbante fattasi attorno al Futurismo, sferzarono aspramente, senza curarsi di indagare accuratamente quanto in questo vi era di bello e di buono.
Più coscienziosi invece furono gli articoli de la Demolizione di Nizza, che seppe dare del Futurismo un equanime e illuminato giudizio.
Ma, tornando a l’argomento, io voglio rivolgere a i compagni che mi leggono il reciproco de la domanda anteriore:
E’ possibile che coerentemente, si possa muovere una guerra mortale a ogni sorta di autorità politica, civile, religiosa e militare, a quanto sia convenzionalismo, pregiudizio, sfruttamento e ingiustizia, quando si voglia incoraggiare un’arte ed un passato che non sono che l’esaltazione, l’apoteosi di quanto si vuole distruggere ne la vita?
E’ possibile che gli anarchici lascino ne l’arte quanto vogliono distruggere nella vita, è possibile che lascino a turbare, a deturpare un nuovo mondo risorto, una nuova, libera e purificata, un’arte antica puzzolente e forcaiola?
Sarebbe un anacronismo ridicolo e ingiustificato!...
E’ possibile, infine, che gli anarchici non siano futuristi? O, non mai! io credo, io spero!
Gli anarchici, sono sempre stati profondamente futuristi, e comprenderanno l’impellente bisogno di penetrare ne l’ideale Futurista, nel vero Futurismo, Futurismo libero da le dittature e da le ambizioni e così gli anarchici saranno ancora più perfetti, più coscienti de le rivendicazioni politiche e artistiche.

IV
Dunque futuristi-anarchici e anarchici-futuristi, due ideali, due classi di persone che si completeranno a vicenda.
Come tante volte gli anarchici insorsero in difesa di giovani sfruttati, di ingegni disconosciuti, apprendano a combattere, a fianco de la politica, la battaglia quotidiana contro la teocrazia letteraria, contro lo sfruttamento editoriale, altrettanto ignominioso quanto quello capitalista.
Così si otterrà una grande vittoria, una vittoria gloriosa: l’aver segnato al proprio programma, a la propria bandiera una nuova battaglia, un nuovo sacrificio, una rivendicazione in più.
O, dovrei ben esser superbo, se queste mie povere note potessero davvero persuadere i compagni a la verità, al bisogno di quanto io esposi, di quanto io incitai.
Compagni d’Italia, compagni di tutto il mondo, comprendiamo la nostra missione! Gettiamo l’ideale Futurista nel rogo torrido e proteiforme de la fiamma del nostro ideale e da questa vampa, da questo lavacro purificatore, lasciando tutte le scorie, tutte le vergogne, tutte le ignominie esca vittorioso e trionfante, come un grande Titano de l’Erebo, il vero, il grande, il solo Futurismo!

Renzo Provinciali

giovedì 12 settembre 2013

Pouget e il Sabotaggio



Dopo gli arresti di tre militanti No Tav accusati di TERRORISMO, a cui questo blog dichiara la propria solidarietà e affinità, urge spiegare per l'ennesima volta quale sia la differenza tra azione di sabotaggio e azione terroristica.
Per farlo, bisogna spiegare cosa sia il Sabotaggio. Per questo, oggi vi propongo un'interessante sintesi de "Il Sabotaggio" di Emile Pouget, sindacalista rivoluzionario francese.

La parola «sabotaggio» fino a una quindicina di anni fa, era soltanto un termine di gergo indicante non l'atto di fare del sabotaggio ma quello, immaginoso ed espressivo, di azione compiuta «a scarpate».
In seguito esso si è trasformato in una formula di lotta sociale ed è al Congresso Confederale di Tolosa, nel 1897, che ha ricevuto il battesimo sindacale. Il nuovo venuto non fu accolto, in un primo tempo, negli ambienti sindacali, con eccessivo entusiasmo. Alcuni lo vedevano assai di malocchio rimproverandogli le sue origini plebee, anarchiche ed inoltre la sua... immoralità. Malgrado questa diffidenza, che rasentava l'ostilità, il sabotaggio ha ormai le simpatie operaie. […]

Ciò nonostante non bisogna pensare che la classe operaia abbia atteso, per praticare il sabotaggio, che questo tipo di lotta ricevesse la consacrazione dei Congressi Corporativi. Il sabotaggio come tutte le forme di rivolta e di lotta è vecchio quanto lo sfruttamento umano. Da quando un uomo ha avuto la criminale ingegnosità di trarre profitto dal lavoro di un suo simile, da quel giorno lo sfruttato ha cercato d'istinto di dare meno di quanto esigesse il suo padrone. […]
Può presentarsi un caso dove il sabotaggio non sia una rappresaglia? Oppure si riscontra un atto di sabotaggio solo in risposta ad un atto di sfruttamento? Quest'ultimo, in alcune particolari condizioni in cui si manifesta, non produce e legittima tutti i gesti di rivolta quali che siano?
In questo modo ritorniamo alla nostra prima affermazione: il sabotaggio è vecchio quanto lo sfruttamento umano! […]
È nel 1895 che, per la prima volta, in Francia troviamo traccia di una manifestazione teorica e cosciente di sabotaggio.
Il Sindacato Nazionale dei ferrovieri faceva allora una campagna contro un progetto di  legge — il progetto Merlin-Trarieux — che cercava di interdire ai ferrovieri il diritto al sindacato. Si pose la questione di rispondere alla votazione di questa legge con lo sciopero generale e a questo proposito Guérard, segretario del sindacato, e con questo titolo delegato al Congresso dell'Unione Federativa del Centro, pronunciò un discorso categorico e preciso: i ferrovieri non sarebbero indietreggiati davanti a nessun ostacolo per difendere la libertà sindacale e avrebbero saputo, all'occorrenza, rendere lo sciopero effettivo ricorrendo a certi metodi. Egli faceva allusione ad un metodo ingegnoso e poco costoso: «... con due soldi di una certa materia, utilizzata sapientemente, — dichiarò — ci è possibile mettere una locomotiva nell'impossibilità di muoversi...».
Questa chiara e brutale affermazione che apriva orizzonti imprevisti, fece grande scalpore e suscitò una profonda agitazione negli ambienti capitalisti e governativi che, ormai, non potevano considerare senza angoscia la minaccia di uno sciopero delle Ferrovie. […]
A partire dal 1895 la spinta è data. Il sabotaggio, che era stato praticato dai lavoratori inconsciamente e istintivamente, riceve — sotto la denominazione popolare che gli viene data — la sua consacrazione teorica e prende posto tra i mezzi di lotta accertati, riconosciuti, approvati e preconizzati dalle organizzazioni sindacali. […]
«Il mio parere è che, invece di limitarsi a protestare, sarebbe meglio entrare in azione e invece di subire le ingiunzioni dei dirigenti, abbassando la testa quando dettano le loro fantasie, sarebbe più efficace rispondere a tono. Perché non rispondere ad uno schiaffo con un calcio?...» […]
È comprensibile che dalla radicale differenza tra la classe operaia e la classe borghese, derivi una diversa moralità. Effettivamente sarebbe strano che pur non essendoci niente in comune tra un proletario ed un capitalista la morale facesse eccezione. Sarebbe semplicemente assurdo che le azioni ed i gesti di uno sfruttato venissero valutati e giudicati con il criterio del suo nemico di classe. La verità è che, come in questa società ci sono due classi, ci sono anche due morali: quella dei capitalisti e quella dei proletari. […]
I borghesi vogliono precisamente impadronirsi dell'eccedenza della produzione e, a tale scopo, hanno soppresso la morale naturale e ne hanno inventata un'altra, che hanno fatto stabilire dai loro filosofi, esaltare dai loro predicatori, cantare dai loro poeti […].
Di questa morale scellerata la classe operaia è dunque riempita a profusione. Dalla nascita fino alla morte, il proletario ne è invischiato: egli succhia questa morale con il latte più o meno adulterato del biberon che, per lui, sostituisce troppo spesso il seno materno; più tardi, nelle scuole, gliela si inculca ancora, in dosi sapienti, ed il condizionamento continua in mille e mille modi diversi finché, sdraiato nella fossa comune, dormirà il suo sonno eterno.
L'intossicazione è talmente profonda e persistente che uomini dal ragionamento chiaro e acuto ne restano, loro malgrado, contaminati. È il caso di Jaurès che, per condannare il sabotaggio, si è rifatto a tale etica, creata ad uso dei capitalisti. […] Egli si è limitato a delle affermazioni di carattere sentimentale, ispirate dalla morale degli sfruttatori, e che non sono altro che il rimescolamento delle teorie degli economisti borghesi, rimproveranti agli operai francesi le loro esigenze e i loro scioperi, accusandoli così di mettere in pericolo l'industria nazionale. Il ragionamento di Jaurès è, in effetti, dello stesso tipo, con questa differenza: al posto di fare vibrare la corda patriottica, tocca il punto dell'onore, la vanità, la gloriuzza del proletariato che ha cercato di esaltare. La tesi sbocca nella negazione sostanziale della lotta di classe, perché non tiene conto del permanente stato di guerra tra il capitale ed il lavoro. Ora il buon senso suggerisce che, essendo il padrone il nemico principale dell'operaio, non è sleale tendergli delle imboscate anonime piuttosto che combatterlo a viso aperto.
Dunque, nessuno degli argomenti derivati dalla morale borghese è valido per confutare questa ed altre tecniche proletarie; egualmente, nessuno di tali argomenti è valido per giudicare i fatti, le azioni, i pensieri o le aspirazioni della classe operaia. […]
I proletari si comportano come un popolo che, dovendo resistere all'invasione straniera e non sentendosi abbastanza forte per affrontare il nemico in battaglia campale, si lancia nella guerra di imboscata, di guerriglia. Lotta spiacevole per i grandi corpi d'armata, lotta talmente orripilante e micidiale che, per lo più, gli invasori rifiutano di riconoscere ai franchi-tiratori il carattere di belligeranti. Questa esecrazione della guerriglia, da parte delle armate regolari, è simile all'orrore ispirato dal sabotaggio ai capitalisti. In effetti il sabotaggio è, nella guerra sociale, ciò che la guerriglia è nelle guerre nazionali: esso nasce dagli stessi sentimenti, risponde alle stesse necessità ed ha sulle mentalità operaia identiche conseguenze.
Si sa quanto la guerriglia sviluppi il coraggio individuale, l'audacia e lo spirito di decisione; altrettanto si può dire del sabotaggio: esso tiene in allenamento i lavoratori, impedisce loro di affondare in una fiacchezza perniciosa e, necessitando di un'azione permanente e senza respiro, sviluppa lo spirito d'iniziativa, abitua ad agire da soli, eccita la combattività. […]
Esaminando le modalità del sabotaggio operaio, abbiamo visto che, indipendentemente dalla forma e dal momento di applicazione, la sua caratteristica principale è quella di colpire il padrone nei profitti. Contro di esso, così com'è indirizzato a colpire soltanto i mezzi di sfruttamento, le cose inerti e senza vita, la borghesia non ha rimedi sufficienti. 

[Le sabotage, Librairie Rivière 1911; traduz. italiana Sabotaggio, La Fiaccola 1973 - tratto da Finimondo ]

Tav in ValSusa: "Zitto e taci. E' la procedura"



Ieri su Il manifesto è stato pubblicato un interessante articolo sulla ValSusa, i NoTav, il diritto alla resistenza e la democrazia. Ve lo sottopongo, anticipandovi che poco dopo le 13:00 questo blog pubblicherà uno scritto molto interessante sul Sabotaggio e la differenza tra azione di sabotaggio e azione terroristica.

Non accade con frequenza che un conflitto radicato in un territorio circoscritto e incentrato su un oggetto ben determinato (un’opera infrastrutturale come la linea ad alta velocità Torino-Lione) si trasformi in una arena politica in cui emergono , mostrando tutte le tensioni e gli attriti che le attraversano, non poche «grandi questioni».
Prima Gianni Vattimo, poi Erri De Luca e Ascanio Celestini, infine Massimo Cacciari e Giovanni De Luna, una bella schiera di intellettuali si sentono chiamati a prendere posizione non solo su una delle lotte più lunghe, tenaci e partecipate degli ultimi vent’anni in Italia, ma sul suo significato generale quanto alle forme della politica, le prerogative di governanti e governati, le priorità economiche o ambientali e il rapporto tra la legalità vigente e queste priorità. 


Tutti sembrano comunque concordare sull’inutilità, o quantomeno la scarsa razionalità economica di questa grande opera, considerati i costi, gli effetti ambientali e l’ostilità popolare che la circonda. È già qualcosa. La questione, per Vattimo, De Luca e ora Celestini è il diritto ad opporsi, anche trasgredendo leggi e ordinanze, allo sfruttamento di un territorio da parte di un intreccio di forti interessi politici ed economici che pretendono di agire nel nome di un discutibile «interesse generale». Nella sostanziale asimmetria di poteri che caratterizza la nostra società e la capacità di disporre della qualità delle nostre vite, è difficile dar loro torto.
De Luna, intervistato da «La Repubblica», si limita a ribadire il confine invalicabile tra violenza e non violenza, dimenticando, cosa che uno storico non dovrebbe fare, che la violenza praticata dai o nei movimenti è qualcosa che si produce e alimenta in un contesto relazionale in cui il potere costituito fa la sua parte e non la scelta arbitraria e onanistica di un singolo o di un gruppo. Come vorrebbero lasciar credere quelli che dipingono la Val di Susa come una sorta di palestra per casseurs. Né dovrebbe dimenticare, lo storico, che diverse forme di sabotaggio fanno parte da sempre del repertorio dei movimenti pacifisti e non-violenti. Certo, c’è un problema di gradazione e di consenso, ma è un problema interno alla natura e allo sviluppo dei movimenti con tutti i suoi paradossi e le sue asprezze.
Ma la questione delle questioni la prende di petto il professor Cacciari che, a partire dall’esperienza della Val di Susa, ci rende edotti su cosa sia o non sia la democrazia. La Torino-Lione fa piuttosto schifo, dichiara alla «Repubblica», ma poiché è stata decisa secondo le procedure formali previste, bisogna farla. La democrazia, perbacco, non è una assemblea permanente! Che, nel fare questa affermazione, il professore avesse in mente la tragica fine della Comune di Parigi? La democrazia, invece, quella seria e duratura, sarebbe una sequenza di procedure che ti permette di opporti fino a quando la decisione è presa. Poi ci devi stare. Sparisce in questo discorso il fattore tempo, il mutare dei cicli economici, delle sensibilità e dei rapporti sociali, il progredire del sapere scientifico. E a nessun italiano si può andare a raccontare che le riforme istituzionali, il rinnovo delle procedure e un qualche ripristino della rappresentanza possano, non dico anticipare, ma neanche seguire da presso questi mutamenti. Restano, però, scolpiti nel marmo dei protocolli i poteri dominanti al tempo della decisione e l’obbligo di tutti a rispettarne la volontà. Ahimé, bisogna rassegnarsi, la democrazia è proprio un’assemblea permanente che si esercita però nelle strade poiché non vi sono «sedi opportune» in cui esercitarla. O, meglio ancora, una sequenza di conflitti che mira a render possibile ciò che nella sequenza delle «procedure» non troverà mai spazio.

Marco Bascetta, il manifesto 11 Settembre 2013