L'ultimo round è finito ieri pomeriggio. Emile Griffith ha abbandonato il ring della vita e, finalmente, ha raggiunto i confortevoli spogliatoi del Paradiso. Si è tolto i guantoni e le fasce sulle mani dolenti di un settantacinquenne che ha scritto alcune tra le pagine più belle del pugilato. Si è asciugato la spaziosa fronte nera ed ha bevuto un sorso d'acqua, quando la porta dello spogliatoio si è aperta ed è entrato Benny Paret.
L'ultima volta che Emile e Benny si erano visti era stata la sera del 24 marzo 1962: Emile aveva 23 anni; Benny 25 anni. Quella sera era in palio il titolo mondiale. Griffith era andato giù alla sesta ripresa, ma da quel momento aveva cominciato a macinare la sua boxe, prendendo il sopravvento sul pugile cubano. Nel corso della 12esima ripresa, Griffith colpì Paret con ventinove pugni consecutivi, con una serie di diciotto colpi in sei secondi. L'arbitro intervenne, interrompendo l'incontro. Griffith scese dal ring con la cintura di campione del mondo. Paret scese in barella, esanime.
Non riaprirà mai più gli occhi: morirà dieci giorni dopo, assistito dal figlioletto di due anni, Benny jr, e dalla moglie incinta del secondo genito, Alphonse, che nascerà sei mesi dopo.
Quella sera, nello spogliatoio del Madison Square Garden, un pezzo di Emile Griffith morì insieme con Benny Paret. "Non volevo ucciderlo. Di notte ho ancora gli incubi, dopo tutti questi anni", disse Griffith al figlio di Paret, Benny jr, durante le riprese del documentario "Ring of Fire", del 2005.
Griffith ha combattuto fino al 1977. Ha vinto ed ha perso. Ha dato vita ad incontri memorabili, come quelli contro l'italiano Nino Benvenuti. O contro Carlos Monzon. "Ma da quella sera non è più stato lo stesso", disse il suo vecchio allenatore.
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