mercoledì 30 aprile 2014
martedì 29 aprile 2014
Il conformismo uccide l'individualità
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lunedì 28 aprile 2014
I nemici dell'Uomo Libero
"L'uomo è nato libero, ma ovunque è in catene".
Falso. L'uomo nasce già in catene. Catene culturali, catene economiche, catene sociali, catene politiche. Ovunque catene.
Nasciamo in catene e ci educano insegnandoci che quelle catene ci sono utili. Anzi, ci sono necessarie. Senza quelle catene saremmo bestie, barbari feroci, uomini di Neanderthal. Senza quelle catene non sapremmo camminare, parlare, amare, pensare, vivere.
Se qualcuno si alza e comincia a negare l'utilità delle catene, viene tacciato d'essere un utopista: "non possiamo che vivere così", gli viene risposto.
Se qualcuno, dopo averne negato l'utilità, comincia persino a dichiarare la nocività delle catene per il libero e naturale sviluppo umano, allora l'accusa cambia: da utopista a pericoloso sovversivo.
Se qualcuno, dopo aver dichiarato che le catene sono nocive, comincia anche a spezzarle, smette di essere un sovversivo e diviene ufficialmente un terrorista, un nichilista, un black bloc, un autonomo.
Due sono i nemici dell'Uomo Libero: il padrone e l'uomo ancora in catene.
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La risposta del silenzio (haiku)
domenica 27 aprile 2014
Mens sana in corpore sano
Non fare l'errore di pensare che curare il corpo sia l'unica cosa che conti.
Non fare l'errore di pensare che curare la mente sia l'unica cosa che conti.
Mente e corpo sono uniti. La sofferenza di uno pregiudica la salute dell'altro.
L'uomo è realmente libero quando sa qualcosa e sa fare qualcosa.
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sabato 26 aprile 2014
Il senso di precarietà contagia la realtà
Anni fa dicevamo che la precarietà del lavoro si sarebbe tradotta in precarietà di vita. Ci rispondevano che eravamo disfattisti, conservatori, oppositori della modernità e del migliore dei mondi possibili. A nostra volta chiarivamo che un mondo migliore di questo fosse non solo possibile, ma persino necessario; e che di certo la precarietà come sistema di lavoro e di vita non poteva essere considerata "una innovazione progressista".
Abbiamo lottato, ben prima di Genova 2001 e anche negli anni seguenti. Abbiamo perso.
Oggi si legge, nascosto in qualche trafiletto della stampa di regime, di uno studio congiunto Confcommercio-Censis che dimostrerebbe quanto le famiglie italiane avvertano lo stato di precarietà: 8 famiglie su 10 "si sentono precarie".
Occhio alle parole: "si sentono" non vuol dire che "sono realmente" più precarie. Se ci pensiamo un attimo, questo dato è davvero preoccupante, in quanto il sentimento di un problema può condurre alle stesse conseguenze della reale esistenza dello stesso. Chi si sente precario si comporta esattamente come chi precario lo è davvero: esce poco di casa, sta attento a spendere, spesso compra roba e cibi scadenti (mettendo a rischio la propria salute e quella dei familiari), tende a chiudersi invece di socializzare, diventa egoista e conservatore. In una parola, si incattivisce. Otto su dieci significa 80 per cento: può un Paese fondarsi su una percentuale così alta di famiglie che si sentono a rischio, in pericolo, prive di stabilità? Anche i profeti del liberismo e della concorrenza, che stanno dalla parte opposta della barricata rispetto a me e a noi, non possono esimersi dal rispondere negativamente a questa domanda.
Occhio alle parole: "si sentono" non vuol dire che "sono realmente" più precarie. Se ci pensiamo un attimo, questo dato è davvero preoccupante, in quanto il sentimento di un problema può condurre alle stesse conseguenze della reale esistenza dello stesso. Chi si sente precario si comporta esattamente come chi precario lo è davvero: esce poco di casa, sta attento a spendere, spesso compra roba e cibi scadenti (mettendo a rischio la propria salute e quella dei familiari), tende a chiudersi invece di socializzare, diventa egoista e conservatore. In una parola, si incattivisce. Otto su dieci significa 80 per cento: può un Paese fondarsi su una percentuale così alta di famiglie che si sentono a rischio, in pericolo, prive di stabilità? Anche i profeti del liberismo e della concorrenza, che stanno dalla parte opposta della barricata rispetto a me e a noi, non possono esimersi dal rispondere negativamente a questa domanda.
Il fallimento delle politiche liberiste è sotto gli occhi di tutti. Chi lo nega ha seri problemi di comprendonio, oppure è in malafede. Tutto ciò che negli ultimi decenni ci hanno propinato come "innovazione", "progresso" e "riformismo", ci ha condotti a questo punto. Siamo fermi e abbiamo paura.
Per questo non c'è da stupirsi se oggi o domani qualcuno reagirà, anche in maniera scomposta, a questo stato di cose.
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Due aste del Ponte della Ghisolfa
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venerdì 25 aprile 2014
Riflessione su questo 25 aprile
Cerchiamo di capirci subito: riflettere su questo 25 aprile non significa riflettere sul 25 aprile in generale. Il significato della giornata in cui si festeggia l'insurrezione contro gli occupanti nazifascisti, e la liberazione dal fascismo inteso come sistema di governo e di Stato, non cambia di anno in anno: rimane immutabile, come la gloria imperitura che meritano i nostri partigiani, gli unici veri eroi dell'italia unita.
Rifletto oggi su questo 25 aprile che ha avuto qualche momento di tensione nel corteo romano (alcuni sionisti hanno protestato per la presenza, nel corteo dell'Anpi, delle bandiere palestinesi), ma che in generale è passato tranquillo e quasi non ci siamo accorti che si trattava di una festa "nazionale". Anni fa, quando ancora bazzicavo gli ambienti partitico-istituzionali della cosiddetta "sinistra radicale", in ogni comune italiano venivano organizzati eventi e iniziative per rinverdire il ricordo e il messaggio della Resistenza, della Liberazione, della lotta partigiana, dell'antifascismo. Ricordo partiti come Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani, persino i DS intenti ad organizzare cortei, convegni, concerti, assemblee, cineforum, incontri con reduci. I muri dei quartieri e dei piccoli centri erano tappezzati di manifesti che annunciavano una iniziativa.
Oggi non più. Nel mio quartiere (Ponte di Nona, estrema periferia orientale di Roma) non c'è un solo manifesto del PD, di SEL o di qualsiasi altra realtà sociale e di movimento che inneggi al 25 Aprile. Vedo i manifesti coi faccioni di Giovanni XXIII e di Giovani Paolo II, che tra due giorni saranno santificati; osservo, con un brivido di intimo sbigottimento, i manifesti del Ministero della Difesa che glorificano la Liberazione. Nient'altro che questo. Né un manifesto comunista, né un volantino anarchico, né una iniziativa dell'Anpi di zona o di qualche movimento territoriale di sinistra.
Negli anni passati avevo già notato una diminuzione di iniziative e, in generale, di affezione. Esclusi noi irriducibili (comunisti, anarchici, antifascisti e antiautoritari), da un po' di anni non si avverte più un comune sentire coi milioni di italiani che dovrebbero, con orgoglio e gratitudine, festeggiare questa giornata. I partiti della sinistra istituzionale, ormai, non dedicano energie ad organizzare qualcosa per questa giornata; le altre realtà subiscono una fase di riflusso (chi più e chi meno, perché non tutti la subiscono in egual misura), dovuta forse ad una diminuzione di momenti di radicalità e conflitto, perché nessuna lotta sociale ha raggiunto livelli pari a quella No Tav, che ad oggi può essere considerata la madre di tutte le battaglie d'attualità.
L'anno scorso ho festeggiato il 25 Aprile al Pigneto, quartiere popolare di Roma con una forte e radicata tradizione antifascista e di sinistra. Ebbene già in quell'occasione avevo visto una diminuzione sensibile di presenze e di iniziative: dalle semplici bancarelle con libri o bandiere ai luoghi di ristoro, dai tavoli per la raccolta firme a momenti culturali o musicali. Quest'anno, se possibile, ho avvertito ancora maggior partecipazione, reale e emotiva.
L'anno scorso ho festeggiato il 25 Aprile al Pigneto, quartiere popolare di Roma con una forte e radicata tradizione antifascista e di sinistra. Ebbene già in quell'occasione avevo visto una diminuzione sensibile di presenze e di iniziative: dalle semplici bancarelle con libri o bandiere ai luoghi di ristoro, dai tavoli per la raccolta firme a momenti culturali o musicali. Quest'anno, se possibile, ho avvertito ancora maggior partecipazione, reale e emotiva.
Non è il momento - se mai lo è stato - delle analisi approfondite e delle riflessioni articolate. E', e sempre sarà, innanzi tutto il momento dell'azione. Va, però, considerata necessaria una seppur minima riflessione su cosa sta accadendo dentro il mondo antifascista e, in generale, antagonista. Si può fare qualcosa di più? Certo. Si deve fare qualcosa di più? Assolutamente di più. Cosa? Bisogna "fare", nel senso che bisogna agire, dedicare quel poco di tempo libero che ognuno ha a creare, in maniera orizzontale e realmente democratica, momenti di condivisione e di azione collettiva.
L'antifascismo, così come l'anticapitalismo, è innanzi tutto azione reale. Purtroppo anche la nostra comunità (mi perdoneranno i puristi se utilizzo questa espressione) soffre di "viralismo": troppo facebook e poca strada.
L'antifascismo, così come l'anticapitalismo, è innanzi tutto azione reale. Purtroppo anche la nostra comunità (mi perdoneranno i puristi se utilizzo questa espressione) soffre di "viralismo": troppo facebook e poca strada.
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giovedì 17 aprile 2014
Siamo fanatici della Libertà
"Sono un fanatico della Libertà", soleva dire Michail Bakunin, il più famoso anarchico russo, colui che diede all'anarchismo una connotazione politica, oltre che filosofico-esistenziale.
Questa frase mi ritorna in mente ogni volta che sento Berlusconi o qualche liberal-liberista (di destra o di sinistra, cambia davvero poco) ergersi a paladini della Libertà. Penso a quanto liberticida sia il liberismo, quanto autoritario sia il liberalismo. Ricordo che sono stati i liberali a fare i CPT e i CIE, a redigere il Trattato di Shengen, a creare i contratti di lavoro precari, ad abbassare i salari aumentando le ore di lavoro (e chiamando il tutto "produttività"), a decretare l'omicidio sociale in Grecia, a inventarsi i dogmi della concorrenza, della competitività e della stabilità. Tutte misure, queste, che hanno profondamente leso le libertà delle donne e degli uomini di ogni continente: la libertà di lavorare dignitosamente, la libertà di avere una famiglia e una casa a cui assicurare anche una sicurezza finanziaria, la libertà di movimento (garantita alle merci, non agli esseri umani), la libertà di sviluppare contestualmente capacità manuali ed intellettuali, la libertà di amare indipendentemente dal sesso del partner, la libertà di provare cure alternative per malattie o problemi di fertilità, la libertà di fumare cannabis anche solo per motivi curativi.
Ovunque i "paladini della Libertà" hanno messo divieti, sbarre, barriere, catene. E moltissimi hanno accettato queste limitazioni della Libertà (e chissà quante ancora saranno disposti ad accettare) in cambio di un tozzo di pane più o meno sicuro, di una casa che diventerà nostra dopo trent'anni di mutuo, di una auto che inquina e che ci fa passare anni della nostra vita nel traffico, del cibo scadente e a basso costo di molti supermercati (che hanno ammazzato il piccolo commercio rionale), di repressioni costanti esercitate in nome di una non meglio identificata "sicurezza".
Questi sono i paladini della Libertà. Io sto tra i fanatici della Libertà. Sto, cioè, esattamente dall'altra parte della barricata. Io non godo nel vedere gente rinchiusa in un CIE o sgomberata da un campo rom, seppur abusivo, o da una casa occupata, quando c'è un proliferare di case invendute nelle periferie delle città; io non gioisco quando sento parlare di costruire nuove prigioni, di sparare sui gommoni degli immigrati clandestini, di aumentare la flessibilità del mercato del lavoro.
Intorno a noi potrete costruire tutte le vostre prigioni, ma non ci toglierete mai la nostra umanità e la nostra irrefrenabile voglia di libertà.
Intorno a noi potrete costruire tutte le vostre prigioni, ma non ci toglierete mai la nostra umanità e la nostra irrefrenabile voglia di libertà.
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lunedì 14 aprile 2014
Questo Jobs Act è nato male
Partiamo da un presupposto: l'attuale mercato del lavoro è indecente. Se non abolito, andrebbe profondamente modificato. L'ultima idea in questo senso è il famoso - e famigerato - Jobs Act del governo Renzi. Esso è un tentativo di correggere alcune storture del mercato del lavoro italico, senza però intaccarne l'impianto strutturale e ideologico, visto che il liberismo che sottende tutte le riforme del lavoro (dal pacchetto Treu alla legge 30, strumentalmente rinominata "Legge Biagi") non viene minimamente messo in discussione.
L'area anticapitalista, ovviamente, si è schierata contro questa ennesima (contro)riforma. Per pregiudizio ideologico? Chi non ci conosce, risponderebbe di si. Chi si informa tramite Repubblica o il Giornale, risponderebbe di si. Chi ci conosce, chi ci frequenta o magari milita nel campo anticapitalista (sia nelle componenti comuniste sia in quelle libertarie), risponderebbe di no: non è nostro costume criticare, con parole e azioni, senza prima aver spiegato PERCHE' una determinata riforma non ci piace.
Andiamo nel merito. Il dl 34/14, cioè il primo atto del Jobs Act renziano, prevede:
Andiamo nel merito. Il dl 34/14, cioè il primo atto del Jobs Act renziano, prevede:
- che i contratti a termine potranno durare 36 mesi (e non più 12) e non sarà necessario giustificare le ragioni tecniche o produttive della temporalità del rapporto di lavoro;
- che, durante questi 36 mesi, i contratti potranno essere rinnovati fino a 8 volte (e non più una).
- che la percentuale di lavoratori a termine non potrà superare il 20% del totale, ma nei fatti questa limitazione viene facilmente aggirata grazie alle eccezioni previste nell'art. 10 del dl 368/011 (vedi nota 1).
- che, per i contratti di apprendistato, viene cancellato l’obbligo di confermarne almeno il 50% prima di formalizzare nuove assunzioni. Viene inoltre eliminato anche l’obbligo di mantenere un rapporto di 3 a 2 “rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro”.
- una retribuzione per gli studenti che svolgono l’apprendistato nell'ambito del proprio percorso formativo “per la qualifica e per il diploma professionale” pari al 35% di quella ordinaria (praticamente una miseria, quindi un incentivo per le aziende a far lavorare studenti sottopagandoli).
Ripetiamo: stiamo parlando solo del primo provvedimento del Jobs Act renziano. Se queste, però, sono le premesse... figuriamoci gli atti finali!
La lotta sociale contro questa ennesima controriforma, che favorisce precarietà e diminuzione dei salari, va sostenuta con ogni sforzo. Altro che cambiamento: il Jobs Act si inserisce perfettamente nel solco antisociale e liberticida del Sistema politico ed economico imperante.
La lotta sociale contro questa ennesima controriforma, che favorisce precarietà e diminuzione dei salari, va sostenuta con ogni sforzo. Altro che cambiamento: il Jobs Act si inserisce perfettamente nel solco antisociale e liberticida del Sistema politico ed economico imperante.
*nota 1: "Sono in ogni caso esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi: a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modificazioni; c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi; d) con lavoratori di eta' superiore a 55 anni .”
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venerdì 11 aprile 2014
Madrid boccia il referendum catalano
Con 299 no, 47 si e un astenuto, il Parlamento spagnolo ha detto no al referendum indipendentista indetto unilateralmente dalla Generalitat della Catalogna e in programma il prossimo 9 novembre.
Nei giorni immediatamente precedenti, il premier spagnolo Rajoy aveva già fatto chiaramente capire quale sarebbe stato l’esito del voto del Parlamento di Madrid: “Catalunya libre” deve rimanere un semplice slogan e niente di più. “Non vi può essere nessun referendum indipendentista, ma solo una eventuale revisione della Costituzione”, ha dichiarato il premier di centrodestra, fingendo una apertura verso un blando autonomismo maggiormente accentuato rispetto a quello attuale.
Rajoy, però, non vuole sentire parallelismi con la Scozia, che tra qualche mese sarà chiamata ad un referendum indipendentista: “La Scozia ha presupposti storici o costituzionali molto diversi”. Beh, forse diversi dalla Catalogna, ma non molto diversi dai Paesi Baschi, verso i quali i governi spagnoli (compreso quello Rajoy) non hanno modificato di una virgola l’atteggiamento di contrasto totale ad ogni minimo spiraglio di libertà per Euskadi.
Il presidente catalano, Artur Mas, ha intanto fatto sapere che il referendum indipendentista del 9 novembre ci sarà comunque: “Andiamo avanti, il processo continua. Non ci può fermare la decisione del Parlamento spagnolo. Oggi si è perduta un’altra opportunità, l’ha persa il governo spagnolo. Non ci hanno voluto dare una mano, ma la nostra resterà tesa”. Inoltre, il presidente Mas ha anche lasciato trasparire l’ideale road map: chiudere l’attuale legislatura e indire elezioni anticipate, puntando su un consenso plebiscitario per i partiti indipendentisti catalani.
La battaglia pacifica, quindi, è al momento persa. Davanti agli indipendentisti catalani si aprono solo due strade, se si vuole vincere la guerra: o lavorare per un lento e faticoso cambiamento della Costituzione; o tenere comunque il referendum, vincerlo e mettere la Spagna davanti al dato di fatto che il popolo catalano vuole essere indipendente. Se davvero c’è supporto e adesione popolare alla causa indipendentista, si può riscontrare solo tramite un referendum partecipato e vincente. La via farraginosa e irta di ostacoli della revisione costituzionale difficilmente potrà condurre ai risultati sperati; molto più probabilmente spegnerà la fiamma indipendentista e, alla fine, rimarrà semplicemente un buco nell’acqua.
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giovedì 10 aprile 2014
Ancora vivo
Noi non ci battiamo per i soldi, noi ci battiamo contro il sistema, quel sistema che uccide lo spirito dell'uomo. Noi siamo l'esempio per quei morti viventi che strisciano sulle autostrade nelle loro infuocate bare di metallo, noi dimostriamo con la nostra opera che lo spirito dell'uomo è ancora vivo.
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martedì 8 aprile 2014
Gli altri e se stessi
Colui che conosce gli altri è sapiente;
colui che conosce se stesso è illuminato.
Colui che vince un altro è potente;
colui che vince se stesso è superiore.
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lunedì 7 aprile 2014
Re di picche insorgente
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domenica 6 aprile 2014
Blog e progetti paralleli
Purtroppo - o meno male - questo blog non può più assorbire la maggioranza del mio tempo. Altri progetti paralleli necessitano di maggiore attenzione e applicazione da parte mia. Pertanto questo blog non verrà più aggiornato quotidianamente, ma rimarrà comunque il luogo ove tutto ciò che mi riguarda verrà postato: disegni, articoli, poesie, prose, eventi, iniziative, riflessioni, opere e omissioni.
Questo blog diventerà un raccoglitore di tutto ciò che mi riguarda, un album dinamico e in continuo aggiornamento.
Un luogo di insorgenza.
Do svidanija
Un luogo di insorgenza.
Do svidanija
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L'UE ha approvato il prelievo forzoso dai nostri conti correnti
Il mio articolo per Insorgenza.it
Pochi giorni fa, il 19 marzo, l’Unione Europea ha messo nero su bianco la più grande truffa ai danni dei risparmi dei cittadini europei mai immaginata. Come hanno fatto? Semplice: il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europei hanno raggiunto un compromesso sull’unione bancaria europea, da realizzarsi tramite il Meccanismo di Risoluzione Unico (SRM), che sarà operativo dal 2015. In pratica, due terzi dei 55 miliardi di euro del Fondo di Risoluzione Unico (SRF) possono essere usati dall’inizio e il 70% dopo tre anni. E da chi sarà finanziato il fondo? Dalle banche, ma non è chiaro se solo dalle 128 banche che fanno parte dell’Unione Bancaria o da tutte. Le casse di risparmio e le banche cooperative hanno già messo le mani avanti perché non intendono salvare le grandi banche.
Questo, però, è solo il “secondo passo” per la realizzazione dell’unione bancaria. Il primo passo, invece, sarà attivo già da novembre di quest’anno: il Meccanismo di Supervisione Unico (SSM), che sarà indipendente dai governi nazionali. Si, avete letto bene: indipendente. Ciò significa che il Consiglio europeo sarà interpellato solo se lo decide la Commissione e solo nel caso in cui la Commissione disapprovi le decisioni prese dalla BCE e dal Consiglio del SRM. Detto in parole povere: mai. Come è facile notare, il Parlamento europeo (dove risiederebbe la volontà popolare, secondo i liberaldemocratici di ogni ordine e grado) non viene minimamente interpellato, non esprime pareri vincolanti.
E i soldi dei cittadini, che stanno in queste banche? Senza porsi problemi o limiti, l’accordo prevede la possibilità di prelievo forzoso dei soldi dei cittadini, in quest’ordine: le azioni, le obbligazioni e i risparmi al di sopra dei centomila euro. E se questi non bastano? Si scende, oppure si chiede un prestito alla Troijka europea. I governi nazionali non possono fare nulla per impedirlo, e i deputati europei che tra due mesi saremo chiamati a eleggere a Bruxelles non saranno nemmeno interpellati su questi temi.
A posto così.
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sabato 5 aprile 2014
Something in the way - a tribute to Kurt Cobain
Venti anni fa moriva Kurt Cobain. Qualcuno non sa chi sia, qualche altro ricorda che questo nome "l'ho già sentito". Per molti altri, invece, Kurt Cobain è stato il cantore di una generazione, la voce arrabbiata e disperata di chi non riesce a sentirsi parte "del migliore dei mondi possibili".
Venti anni fa Kurt Cobain se n'è andato, con uno sparo. Veloce, come una candela che si spegne prima che la cera sia finita. Rapido, come un lampo notturno che promette pioggia incessante. Fulgido, come i raggi del Sole d'inverno.
Ho deciso di dedicargli un piccolo, piccolissimo tributo personale. L'ho fatto alla mia maniera: una sottospecie di fumetto con una sottospecie di storia breve, tanto breve, pure troppo.
Se volete leggerla, e magari successivamente lasciarmi un commento a questo post, mi farà piacere.
Non dovete far altro che cliccare sulla copertina, qui sotto:
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venerdì 4 aprile 2014
Death to birth - Pagoda
Domani saranno vent'anni.
Domani ricorderemo ciò che non abbiamo mai dimenticato.
Domani è sempre più ieri, e sempre meno domani.
A domani, Kurt.
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giovedì 3 aprile 2014
La Crimea “infiamma” i fiamminghi
Il mio articolo per Insorgenza.it
L’esito del referendum in Crimea ha dato nuova linfa a molti, ma non a tutti, movimenti indipendentisti europei. Tanti si sono lasciati prendere dall’entusiasmo, o hanno semplicemente permesso allo stesso di serpeggiare tra le fila dei propri movimenti; altri, viceversa, hanno provato a evidenziare quanto poco di indipendentismo vi sia in un referendum che stabilisce semplicemente un cambio di padrone, abbandonando i nazi-europeisti di Kiev per abbracciare l’Oligarca di Mosca, al secolo Vladimir Putin.
Anche i fiamminghi, antico popolo che vive nelle terre settentrionali dell’attuale Belgio, hanno ripreso vigore. Remi Vermeiren, leader del gruppo De Warande, think tank che riunisce imprenditori e personalità di spicco del mondo economico delle Fiandre, accomunati da simpatie separatiste, ha avanzato una proposta choc (per molti, non per noi): l’indipendenza delle Fiandre grazie al voto del Parlamento fiammingo, rafforzato da un referendum popolare.
La proposta di Vermeiren prende spunto da ciò che, qualche anno fa, accadde col Kosovo, che si dichiarò unilateralmente indipendente e fu riconosciuto tale dalla maggioranza degli stati UE, creando non pochi mal di pancia in Serbia e in Russia. Per non spaventare troppo gli eurocrati, Vermeiren si è affrettato a dire che tre nuovi stati sorti dalle ceneri del Regno del Belgio – oltre alle Fiandre, la Vallonia prevalentemente francofona e l’area metropolitana di Bruxelles – entrerebbero automaticamente a far parte dell’Unione Europea, poiché discendenti diretti di uno dei membri fondatori. Inoltre, l’area metropolitana di Bruxelles sarebbe da considerarsi una sorta di città-stato autonoma, in cui rimarrebbero tutti gli uffici e le attività politico-istituzionali dell’Unione Europea. Sul problema più spinoso, invece, il gruppo De Warande appare più sfumato e meno preciso: la suddivisione del debito. Esso avverrebbe secondo criteri legati al valore relativo del prodotto interno lordo rispetto al totale, al numero di abitanti e a un parametro, meno trasparente, che prende in considerazione “l’origine del debito”. Da questo scenario, la Vallonia ne uscirebbe fortemente svantaggiata, appesantita da una zavorra che rappresenterebbe il 155% del suo PIL, divenendo in tal modo uno degli stati più indebitati dell’Unione. Per rendere più morbida la transizione, De Warande propone l’elargizione di una compensazione economica per un massimo di 5 anni.
Ci troviamo di fronte, quindi, ad una nuova sfaccettatura dell’indipendentismo europeo. I fiamminghi, infatti, possono essere considerati “indipendentisti pro-Europa”, e il loro partito di riferimento, il Niew Vlaamse Alliantie (Nuova alleanza fiamminga), punta ad una buona affermazione alle prossime elezioni europee di maggio. Sono lontani i tempi del Vlaams Blok, di chiara impostazione fascista, eppure il separatismo fiammingo continua a godere di buona salute e tenta di rappresentare “l’indipendentismo presentabile” agli occhi degli eurocrati.
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mercoledì 2 aprile 2014
Sputtanapoli
Lo sport "nazionale" (aggettivo non molto adatto all'Itaglia, che al massimo può essere definita "Stato") è parlar male di Napoli e del Sud. Persino i consolidati e antichi primati della nostra Terra vengono messi in discussione dalla "cultura italiana".
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martedì 1 aprile 2014
La minaccia di Renzi
La tavola fumettistica odierna, a commento dell'ennesima dichiarazione di Renzi: "Le riforme o lascio".
Forse il buon Matteo non ha capito che, se vuole andarsene, se ne può tranquillamente andare. Non saranno certo i cittadini a trattenerlo.
Le sue "riforme" non ci servono.
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