sabato 26 aprile 2014

Il senso di precarietà contagia la realtà



Anni fa dicevamo che la precarietà del lavoro si sarebbe tradotta in precarietà di vita. Ci rispondevano che eravamo disfattisti, conservatori, oppositori della modernità e del migliore dei mondi possibili. A nostra volta chiarivamo che un mondo migliore di questo fosse non solo possibile, ma persino necessario; e che di certo la precarietà come sistema di lavoro e di vita non poteva essere considerata "una innovazione progressista".
Abbiamo lottato, ben prima di Genova 2001 e anche negli anni seguenti. Abbiamo perso.

Oggi si legge, nascosto in qualche trafiletto della stampa di regime, di uno studio congiunto Confcommercio-Censis che dimostrerebbe quanto le famiglie italiane avvertano lo stato di precarietà: 8 famiglie su 10 "si sentono precarie".
Occhio alle parole: "si sentono" non vuol dire che "sono realmente" più precarie. Se ci pensiamo un attimo, questo dato è davvero preoccupante, in quanto il sentimento di un problema può condurre alle stesse conseguenze della reale esistenza dello stesso. Chi si sente precario si comporta esattamente come chi precario lo è davvero: esce poco di casa, sta attento a spendere, spesso compra roba e cibi scadenti (mettendo a rischio la propria salute e quella dei familiari), tende a chiudersi invece di socializzare, diventa egoista e conservatore. In una parola, si incattivisce. Otto su dieci significa 80 per cento: può un Paese fondarsi su una percentuale così alta di famiglie che si sentono a rischio, in pericolo, prive di stabilità? Anche i profeti del liberismo e della concorrenza, che stanno dalla parte opposta della barricata rispetto a me e a noi, non possono esimersi dal rispondere negativamente a questa domanda. 

Il fallimento delle politiche liberiste è sotto gli occhi di tutti. Chi lo nega ha seri problemi di comprendonio, oppure è in malafede. Tutto ciò che negli ultimi decenni ci hanno propinato come "innovazione", "progresso" e "riformismo", ci ha condotti a questo punto. Siamo fermi e abbiamo paura. 
Per questo non c'è da stupirsi se oggi o domani qualcuno reagirà, anche in maniera scomposta, a questo stato di cose.
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