Anni fa dicevamo che la precarietà del lavoro si sarebbe tradotta in precarietà di vita. Ci rispondevano che eravamo disfattisti, conservatori, oppositori della modernità e del migliore dei mondi possibili. A nostra volta chiarivamo che un mondo migliore di questo fosse non solo possibile, ma persino necessario; e che di certo la precarietà come sistema di lavoro e di vita non poteva essere considerata "una innovazione progressista".
Abbiamo lottato, ben prima di Genova 2001 e anche negli anni seguenti. Abbiamo perso.
Oggi si legge, nascosto in qualche trafiletto della stampa di regime, di uno studio congiunto Confcommercio-Censis che dimostrerebbe quanto le famiglie italiane avvertano lo stato di precarietà: 8 famiglie su 10 "si sentono precarie".
Occhio alle parole: "si sentono" non vuol dire che "sono realmente" più precarie. Se ci pensiamo un attimo, questo dato è davvero preoccupante, in quanto il sentimento di un problema può condurre alle stesse conseguenze della reale esistenza dello stesso. Chi si sente precario si comporta esattamente come chi precario lo è davvero: esce poco di casa, sta attento a spendere, spesso compra roba e cibi scadenti (mettendo a rischio la propria salute e quella dei familiari), tende a chiudersi invece di socializzare, diventa egoista e conservatore. In una parola, si incattivisce. Otto su dieci significa 80 per cento: può un Paese fondarsi su una percentuale così alta di famiglie che si sentono a rischio, in pericolo, prive di stabilità? Anche i profeti del liberismo e della concorrenza, che stanno dalla parte opposta della barricata rispetto a me e a noi, non possono esimersi dal rispondere negativamente a questa domanda.
Occhio alle parole: "si sentono" non vuol dire che "sono realmente" più precarie. Se ci pensiamo un attimo, questo dato è davvero preoccupante, in quanto il sentimento di un problema può condurre alle stesse conseguenze della reale esistenza dello stesso. Chi si sente precario si comporta esattamente come chi precario lo è davvero: esce poco di casa, sta attento a spendere, spesso compra roba e cibi scadenti (mettendo a rischio la propria salute e quella dei familiari), tende a chiudersi invece di socializzare, diventa egoista e conservatore. In una parola, si incattivisce. Otto su dieci significa 80 per cento: può un Paese fondarsi su una percentuale così alta di famiglie che si sentono a rischio, in pericolo, prive di stabilità? Anche i profeti del liberismo e della concorrenza, che stanno dalla parte opposta della barricata rispetto a me e a noi, non possono esimersi dal rispondere negativamente a questa domanda.
Il fallimento delle politiche liberiste è sotto gli occhi di tutti. Chi lo nega ha seri problemi di comprendonio, oppure è in malafede. Tutto ciò che negli ultimi decenni ci hanno propinato come "innovazione", "progresso" e "riformismo", ci ha condotti a questo punto. Siamo fermi e abbiamo paura.
Per questo non c'è da stupirsi se oggi o domani qualcuno reagirà, anche in maniera scomposta, a questo stato di cose.
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