lunedì 14 aprile 2014

Questo Jobs Act è nato male



Partiamo da un presupposto: l'attuale mercato del lavoro è indecente. Se non abolito, andrebbe profondamente modificato. L'ultima idea in questo senso è il famoso - e famigerato - Jobs Act del governo Renzi. Esso è un tentativo di correggere alcune storture del mercato del lavoro italico, senza però intaccarne l'impianto strutturale e ideologico, visto che il liberismo che sottende tutte le riforme del lavoro (dal pacchetto Treu alla legge 30, strumentalmente rinominata "Legge Biagi") non viene minimamente messo in discussione. 
L'area anticapitalista, ovviamente, si è schierata contro questa ennesima (contro)riforma. Per pregiudizio ideologico? Chi non ci conosce, risponderebbe di si. Chi si informa tramite Repubblica o il Giornale, risponderebbe di si. Chi ci conosce, chi ci frequenta o magari milita nel campo anticapitalista (sia nelle componenti comuniste sia in quelle libertarie), risponderebbe di no: non è nostro costume criticare, con parole e azioni, senza prima aver spiegato PERCHE' una determinata riforma non ci piace.
Andiamo nel merito. Il dl 34/14, cioè il primo atto del Jobs Act renziano, prevede:

- che i contratti a termine potranno durare 36 mesi (e non più 12) e non sarà necessario giustificare le ragioni tecniche o produttive della temporalità del rapporto di lavoro;
- che, durante questi 36 mesi, i contratti potranno essere rinnovati fino a 8 volte (e non più una).
- che la percentuale di lavoratori a termine non potrà superare il 20% del totale, ma nei fatti questa limitazione viene facilmente aggirata grazie alle eccezioni previste nell'art. 10 del dl 368/011 (vedi nota 1).
- che, per i contratti di apprendistato, viene cancellato l’obbligo di confermarne almeno il 50% prima di formalizzare nuove assunzioni. Viene inoltre eliminato anche l’obbligo di mantenere un rapporto di 3 a 2 “rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro”. 
- una retribuzione per gli studenti che svolgono l’apprendistato nell'ambito del proprio percorso formativo “per la qualifica e per il diploma professionale” pari al 35% di quella ordinaria (praticamente una miseria, quindi un incentivo per le aziende a far lavorare studenti sottopagandoli).

Ripetiamo: stiamo parlando solo del primo provvedimento del Jobs Act renziano. Se queste, però, sono le premesse... figuriamoci gli atti finali!
La lotta sociale contro questa ennesima controriforma, che favorisce precarietà e diminuzione dei salari, va sostenuta con ogni sforzo. Altro che cambiamento: il Jobs Act si inserisce perfettamente nel solco antisociale e liberticida del Sistema politico ed economico imperante.


*nota 1: "Sono in ogni caso esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi: a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modificazioni; c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi; d) con lavoratori di eta' superiore a 55 anni .”
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