sabato 14 settembre 2013

La via libertaria è aperta a tutti



Oggi pubblico un articolo tratto dal mensile "A - rivista anarchica", in cui viene spiegato un concetto fondamentale: l'Anarchia, oltre ad essere un'ideale, è soprattutto un metodo di azione. Come spiegava Malatesta, l'Anarchia non è la perfezione verso cui tendere, ma la strada da percorrere verso la liberazione di tutti e di ciascuno.

Fallita per sempre ogni soluzione di socialismo autoritario o statale, a fronte della distruttiva barbarie quotidiana in cui ci costringe il liberalismo, l'anarchia è oggi un faro per tutti coloro che lottano per la dignità e la giustizia.
Ma non è solo un obiettivo lontano o un miraggio, essa è pratica quotidiana, materia pulsante. Essa vive in ogni sussulto individuale o collettivo di emancipazione, nell'esodo e nel conflitto, nelle zone liberate e dentro ogni crepa del presente, nella libera cooperazione e nella solidarietà tra uomini e donne, nell'affermazione dell'autonomia dall'autorità. L'anarchia, sintesi dei concetti e delle pratiche di uguaglianza e libertà quali si sono affermate storicamente, è dinamica, aperta, sperimentale, suscettibile di modifiche, assetata di nuovi orizzonti. Ferma nella sua sostanza di antiautoritarismo, libertà e uguaglianza, muta però forma in continuazione. Mai uguale a se stessa, così difficile da definire da essere spesso fraintesa e denigrata, è il cuore pulsante dei movimenti sociali contemporanei più avanzati, quelli che fanno dell'autorganizzazione e dell'assenza di gerarchie la propria cifra e dell'autogestione il proprio metodo. Oggi è l'anarchia infatti che, contro ogni finalismo, caratterizza forme di resistenza e alternativa alla massificazione dello sfruttamento e del dominio nelle società contemporanee. È l'anarchia l'unica forza in grado di aprire squarci in un magma avvolgente e insapore che neutralizza ideologie e idee, un blob sempre uguale a se stesso, statico nel suo eterno ritorno dell'uguale, un sistema criminale e vorace che uccide, sfrutta, devasta.

Eppure, lo sappiamo, l'idea anarchica non è cosa di ieri. Negli anni settanta e ottanta dell'ottocento gli antiautoritari italiani elaboravano la propria idea rivoluzionaria in opposizione al concetto di lotta per la conquista del potere politica caro a Marx e a Engels.
Carlo Cafiero intendeva la rivoluzione come una legge naturale. La società, proprio come la natura, era caratterizzata da processi continui di trasformazione, il cui stadio ultimo doveva essere la rivoluzione: un evento radicale e violento in grado di abbattere lo stato e di essere uno spartiacque tra una situazione di conflitto e una di pace. Era questa una visione finalistica, legata agli influssi culturali positivisti del tempo, alla quale egli però affiancava anche un concetto di rivoluzione come processo aperto, non concluso, continuamente pronto a rinnovarsi nella lotta contro quella eventuale autorità che dovesse rinascere dopo la distruzione dello stato. Nel suo pensiero c'era cioè, almeno in nuce, un'intuizione del carattere potenzialmente infinito dell'azione anarchica che sembrava presupporre una società postrivoluzionaria conflittuale e suscettibile di ulteriori trasformazioni.

Il richiamo della coscienza
Inoltre per lui era l'egoismo, inteso come “sentimento dell'io”, a ispirare l'uomo e a generare due leggi coesistenti fondamentali dell'agire umano, il principio di lotta e quello di sociabilità. Tale visione curiosamente corrisponde a quel che affermano alcuni dei più autorevoli biologi e naturalisti contemporanei, secondo cui la forza motrice dello sviluppo umano è la selezione naturale “multilivello”, ovvero sia individuale che di gruppo. Edward O. Wilson, nel suo La conquista sociale della terra (Cortina, Milano, 2013) scrive che al livello più alto i gruppi umani fanno a gara tra di loro favorendo i tratti sociali cooperativi tra i membri dello stesso gruppo, mentre al livello inferiore i membri dello stesso gruppo gareggiano in un modo che sfocia in comportamenti egoistici.
Poco tempo dopo Cafiero, a metà degli anni ottanta dell'ottocento, Malatesta pubblicava il suo scritto L'anarchia. L'agire umano, scriveva Malatesta, si è caratterizzato storicamente secondo i due termini contrapposti di egoismo e di cooperazione. Il primo è un resto atavico del passato, il secondo è fattore di progresso. L'egoismo è quindi destinato a scomparire e questo è l'obiettivo dell'azione degli anarchici. Tale visione progressiva dell'evoluzione umana è oggi difficilmente accettabile.
Dopo gli avvenimenti terrificanti del novecento, sappiamo che per l'uomo non esiste una strada lineare che conduce dall'egoismo alla solidarietà. Ogni persona sente il richiamo della coscienza, dell'etica contro la codardia, della verità contro il raggiro, dell'impegno contro la rinuncia. Egoismo e solidarietà, cioè quello che i biologi chiamano selezione individuale e di gruppo, spiegano la natura conflittuale delle motivazioni umane. Lo spirito di collaborazione e l'empatia sono sì fattori dell'evoluzione ma non sono mai dati per sempre, sono qualcosa da conquistare e riconquistare continuamente. Il nostro destino è essere dilaniati da grandi e piccoli dilemmi man mano che ogni giorno procediamo a zig-zag nel mondo rischioso e indocile che ci ha dato la vita. Abbiamo sentimenti contrastanti. Non siamo mai sicuri di una linea d'azione. Capiamo fin troppo che nessuno è così saggio e grande da non potere commettere un errore madornale, o un'organizzazione così nobile da essere incorruttibile.
Tutti noi, nessuno escluso, trascorriamo la nostra vita in conflitto con noi stessi (Edward O. Wilson, La conquista sociale della terra, cit.).
Eppure, così come ne La rivoluzione di Cafiero anche nel Malatesta de L'anarchia ci sono intuizioni attualissime e che sembrano superare, almeno in parte, una concezione per forza di cose legata al proprio tempo. Malatesta scriveva già allora infatti che l'anarchia non è l'ideale assoluto né la perfezione, ma è essenzialmente un metodo, una via aperta a tutti.
Così facendo, egli contribuiva ad affermare una visione dinamica dell'anarchismo, la cui azione è potenzialmente infinita perché infiniti sono gli ambiti in cui è e sarà necessaria una pratica antiautoritaria in grado di demolire quelle dinamiche di potere e di nuovo sfruttamento che si riformano continuamente.

Antonio Senta, pubblicato da A - rivista anarchica

Nessun commento:

Posta un commento