venerdì 29 giugno 2012

Ponti - Versi di sabotaggio



Se ci hanno fatto diventare
isole infelici e solitarie,
non abbiamo altro da fare
che costruire ponti
per le nostre idee di rivolta,
per i nostri sentimenti rabbiosi,
per i nostri figli.

Il Sabotatore - numero 2




E' uscito il secondo numero de Il Sabotatore, bollettino settimanale del Network Autonomo Sabotag.
In questo numero c'è un articolo sui principi della Net-Democracy; un comunicato sull'iniziativa "10X100 Genova"; uno scritto di Karl Kaphyer; un articolo di Fianco Destro sul reato di omicidio stradale; una poesia della collana Versi di Sabotaggio, come al solito firmata da Sabotag.

Il link ove leggere Il Sabotatore è:
http://www.youblisher.com/p/369766-Il-Sabotatore/

N.B. la settimana prossima Il Sabotatore non uscirà, causa ferie del sottoscritto.
Il numero 3, quindi, uscirà venerdì 13 luglio.

giovedì 28 giugno 2012

La Piattaforma Organizzativa dei Comunisti Anarchici

La Piattaforma Organizzativa dei Comunisti Anarchici

Vi propongo il primo libro "pubblicato" dalla SABOTAG EDIZIONI.
Lo trovate sul link
e sulla colonna di destra.

L'ho scaricato dal sito della Federazione dei Comunisti Anarchici
(http://fdca.it/storico/piattaformanuova.htm ) e l'ho impaginato, curandone anche alcuni aspetti grafici.

SABOTAG EDIZIONI è un altro nodo del Network Autonomo Sabotag. Essa nasce con l'intento di pubblicare e diffondere gratuitamente e via web tutte le opere, storiche o contemporanee, riguardanti la lotta sociale e politica al Sistema.
Chiunque sia interessato a propormi saggi o opere di narrativa su questo tema, è pregato di contattarmi alla mail ant.lucignano@libero.it 

N.B. in nome della filosofia del copyleft, tutte le collaborazioni e le pubblicazioni devono intendersi assolutamente volontarie e gratuite.

Ricostruiamo il Corto Circuito!




Sabato 30 ore 19,00:

Presentazione del libro A Riot of my own di Stefano Dorigo e Pantaleo Elicio, partecipano: Nunzio D’Erme, Benedetto Vecchi (il manifesto), Bruno Seghetti modera il Duka (scrittore). Degustazione a cura di Social Wine, a seguire Valerio Mastrandrea, Saverio Raimondo e concerto live di Emilio Stella.

Invieremo aggiornamenti continuamente su facebook, twitter e sul sito www.corto.circuito.info, già da domani inizieremo ad organizzare momenti di lavoro collettivo, eventi e iniziative per ricostruire tutti insieme il Corto Circuito.

Per info 3294037069

Per contribuire alla campagna di ricostruzione del csoa Corto Circuito

Iban: IT 43 O 03015 03200 000000125925

Bic: UNCRITMM

mercoledì 27 giugno 2012

Qualche appunto di Net-Democracy



Il Network Autonomo Sabotag nasce per realizzare un progetto, un fine, un obiettivo. Questo progetto si chiama Net-Democracy, cioè Democrazia in Rete. C'è subito una precisazione da fare: Net-Democracy e E-democracy non sono la stessa cosa, perché la seconda si riferisce all'utilizzo di tecniche e strumenti digitali per realizzare una democrazia (diretta, nella maggior parte dei casi); la "rete" della E-democracy è, quindi, fondamentalmente il web. 
La Net-Democracy, invece, è l'evoluzione - o se vogliamo, l'estremizzazione - del concetto e della pratica di Rete applicata alla Democrazia. Concetto e pratica: idea e azione. 
Da qui si desume il primo punto: la Net-Democracy non è un'idea a cui la realtà deve conformarsi, bensì è una pratica reale da cui nascono e si sviluppano alcune idee fondamentali, che noi chiameremo "nodi" proprio perché non vanno intesi come elementi fissi e immutabili, ma come punti in cui la rete arriva e riparte. La Net-Democracy non è una invenzione contemporanea, ma è una rivisitazione in chiave contemporanea delle antiche pratiche democratiche consiliari.

Nodo Egualitario: è il primo nodo della Net-Democracy. Tutti i soggetti operanti nella Net-Democracy devono essere in uno stato di parità formale e sostanziale. Formale, cioè hanno tutti gli stessi diritti e le stesse possibilità; sostanziale, cioè le loro azioni devono essere ed essere intese come utili alla comunità parimenti alle altre, indipendentemente dall'eventuale valore economico dell'azione o della cosa prodotta. Questo punto è importante e proviamo a spiegarlo meglio: nella società contemporanea, che fondamentalmente ha un impianto economico capitalista e, di conseguenza, un impianto culturale fondato sulla competizione e sulla libertà individuale anteposta al benessere collettivo, le differenze tra le persone sono principalmente di natura economica: se uno guadagna di più vuol dire che è più bravo o utile; se è più bravo o utile è giusto che guadagni di più. La realtà ha dimostrato, invece, che molto spesso il valore economico di un atto, di un prodotto e addirittura - cosa aberrante, ma il capitalismo è anche questo - di una persona, non esprimo l'utilità sociale per il miglioramento qualitativo della vita della comunità. Pertanto il Nodo Egualitario si sviluppa solo quando le differenze tra le azioni, i prodotti e le persone non sono succubi di processi e strutture economiche. L'economia, per quanto importante, non deve più essere il principale strumento di differenziazione tra azioni, prodotti e persone. Solo un approccio qualitativo, quindi soggettivo (laddove il soggetto è sia l'individuo che la comunità), può realizzare una vera democrazia.

Nodo Libertario: è il secondo nodo della Net-Democracy. Non è possibile alcuna democrazia senza libertà, ma la libertà deve essere messa in rete, deve appartenere a tutti e deve essere a disposizione di tutti coloro che vogliono essere e vivere liberi. Ciò significa che va superato la vetusta concezione liberale di libertà: "la mia libertà finisce dove comincia quella di un altro". La prima forma di libertà è la libertà dal bisogno: chiunque dipenda da qualcosa o qualcuno, non è libero. Da ciò si giunge alla seconda forma della libertà, cioè la libertà di pensiero e azione in un sistema di parità (Nodo Egualitario): se non c'è parità tra i soggetti operanti, c'è sopruso o sopraffazione, gerarchia e comando, predominanza di X su Y. Così facendo, si evitano le distorsioni del concetto e della pratica della libertà di pensiero ed azione, perché qualsiasi libero pensiero contraddica il sistema di parità (ad esempio, i bianchi sono meglio dei neri, gli etero sono superiori ai gay, i ricchi sono più intelligenti dei poveri, ecc...) è un pensiero non democratico. Stesso discorso, ovviamente, vale per l'inverso: se la libertà viene sacrificata sull'altare dell'uguaglianza, si genera appiattimento, omologazione, burocrazia. Ciò è avvenuto, ad esempio, nei regimi del cosiddetto "socialismo reale", che spesso hanno subito una involuzione burocratica a seguito di un appiattimento generale dovuto alla limitazione della libertà di tutti e di ciascuno.

Volendo dare una raffigurazione grafica, quasi plastica, della struttura nodale della Net-Democracy possiamo utilizzare il seguente schema:

Come si vede, i due nodi sono in uno stato di parità tra loro, sono in continua relazione tra loro, e da ognuno partono diramazioni che vanno a creare altri nodi, e da questi la Rete.


Se vuoi diventare un Sabotatore, e vuoi collaborare con articoli, poesie, canzoni, foto, video... e soprattutto con mani, testa e cuore, leggi http://www.antoniolucignano.com/2012/06/diventa-un-sabotatore-collabora-e.html


L'iniquità della "spending review"





Pd, Pdl e Terzo Polo appoggiano un governo che stabilisce i seguenti tagli:

Nessun taglio alle 100mila pensioni d’oro che ogni anno costano 13 miliardi. Sì invece a quello dei buoni pasto per 450mila dipendenti pubblici che fa risparmiare solo 10 milioni. E, ciliegina sulla torta, un pasticcio sulle gare d’appalto che potrebbe costare allo Stato 1,2 miliardi, corretto oggi in commissione grazie a un emendamento passato contro le intenzioni del governo. Prende insomma una curiosa piega la prima spending review del governo Monti. L’atto ufficiale sarà un decreto pesantissimo che il Consiglio dei ministri licenzierà dopo il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno. Circa 20 miliardi di tagli così distribuiti: 4,2 miliardi nel 2012, dai 7 ai 10 per ciascun biennio 2013-2014. Il provvedimento punta a scongiurare l’aumento autunnale dell’Iva (dal 21 al 23%), mettere in sicurezza i conti pubblici e fronteggiare l’emergenza terremoto. Monti lo presenterà domani alle Regioni e quindi ai vertici del Pdl Berlusconi e Alfano. Poi la pausa per il vertice di Bruxelles e le consultazioni con i sindacati il 2 luglio. Ancora da fissare, invece, l’incontro con gli altri vertici della maggioranza Casini e Bersani.

Come in dettaglio sarà raggiunto l’obiettivo di risparmio non è ancor chiaro ma il piano sarà modellato sul pacchetto-Bondi che mette nel mirino gli acquisti di beni e servizi della pubblica ammnistrazione (sanità in primis) e la spesa per il pubblico impiego. Con qualche sorpresa.

Di sicuro le misure di risparmio non passeranno attraverso il tanto sospirato taglio alle pensioni d’oro dei manager pubblici. Qui la notizia è già ufficiale: il governo ha accantonato il tetto sulle pensioni sopra i 6mila euro dando parere negativo a un emendamento presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto. Doveva essere una misura di equità nel gran calderone dei tagli ma nel Cdm in programma domani mattina non c’è n’è traccia. Da Palazzo Chigi filtra solo la promessa di riproporre la questione insieme alle misure sullo sviluppo. Si ripartirà da quell’emendamento che prevede che le pemnsioni erogate in base al sistema retributivo non possano superare i 6mila euro netti al mese mentre sono fatti salvi le pensioni e i vitalizi corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo. Per ora è tutto rimandato e il sistema continuerà ad elargire 109mila pensioni sopra gli 8mila euro che costano 13 miliardi di euro l’anno (dati Inps).

Si va avanti a testa bassa, invece, sul contenimento dei costi della pubblica amministrazione. Nelle scorse settimane si è tanto parlato di una stretta sulle spese telefoniche della Pubblica amministrazione che parte dal Dipartimento della funzione pubblica per coinvolgere via via altri settori. Le chiamate saranno abilitate solo in ambito urbano per tutti mentre soltanto i dirigenti potranno fare chiamate nazionali e verso cellulari. “Una rivoluzione di buon senso”, l’ha definita il ministro Filippo Patroni Griffi che ha emanato la circolare taglia bolletta. Parlare meno, mangiare meno. Perché prende sempre più consistenza l’ipotesi di un secco taglio ai buoni pasto dei dipendenti pubblici. Nel pacchetto dell’ex liquidatore Bondi c’è infatti un’ipotesi di messa a dieta di 450mila dipendenti che già da due anni subiscono il mancato adeguamento all’inflazione dei contratti collettivi. I loro buoni pasto passerebbero dai 7-8 euro attuali a un valore di 5,29 euro che è la soglia minima esentasse per il lavoratore (per cui non viene denunciato ai fini Irpef) e per il datore di lavoro (non viene calcolato ai fini previdenziali).

Per il governo dalla dieta si ricaverebbero circa 10 milioni di euro. Una cifra che appare risibile ai sindacati di categoria che chiedono di ridurre i privilegi dei manager pubblici piuttosto affamare i dipendenti già in difficoltà. «Ridurre l’importo del buono pasto dei dipendenti pubblici a 5,29 euro, cioè la soglia massima esentasse, significa tornare al valore di acquisto di 15 anni fa e quindi togliere fisicamente il pane dalla bocca a tanti lavoratori senza far risparmiare in maniera significativa lo Stato». Lo sostiene Franco Tumino, presidente Anseb, l’associazione delle società emettitrici buoni pasto aderente a Fipe-Confcommercio, commentando alcuni contenuti della spending review.

Su tutti questi provvedimenti si attende il muro di partiti e sindacati mentre è la Ragioneria centrale dello Stato a mettere le mani avanti su un altro capitolo delicatissimo della spending review, cioè la norma del decreto sulle aggiudicazioni di appalti che – secondo una modifica intervenuta nel passaggio in Senato – verrà applicata anche alle procedure di affidamento per le quali si è già proceduto all’apertura dei plichi. Secondo gli esperti di via XX Settembre questa scelta poteva comportare contenziosi e costare allo Stato oltre 1 miliardo di euro. Preoccupazioni riassunte in una lettera inviata al Parlamento dalla ragioneria generale dello Stato e dalla Consip. Oggi nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera un emendamento (approvato da Pdl e Udc, con governo e Pd contrari) ha ripristinato la regola secondo la quale l’apertura in seduta pubblica delle buste si applicherà solamente alle gare per le quali le buste non erano state aperte alla data dell’entrata in vigore del provvedimento.

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Ripartire dal Sud e rivoltare il paese



Sabato in piazza a Napoli per “Ripartire dal Sud e rivoltare il paese”: Cremaschi: “Connettere le vertenze sociali e sindacali del Meridione”. Una manifestazione contro un dispositivo autoritario contro i settori popolari.

"Assume particolare importanza la manifestazione di Napoli, del prossimo Sabato 30 giugno, organizzata dal Comitato No/Debito nazionale in sinergia con centri sociali e organizzazioni del sindacalismo di base e conflittuale, nel quadro della mobilitazione permanente contro i variegati effetti antisociali del governo Monti in corso, da mesi, nel paese” così dichiara, Giorgio Cremaschi portavoce del Comitato No/Debito, il quale invita a sostenere la piattaforma rivendicativa “Ripartiamo dal Sud, rivoltiamo il paese” la quale mette a centro della mobilitazione di Napoli la necessità di connettere la tante vertenze sociali e sindacali che attraversano il territorio meridionale a partire dalla orgogliosa rivendicazione delle proteste contro il sistema/Equitalia che, particolarmente, nel Sud d’Italia, rappresenta un dispositivo autoritario rivolto, prevalentemente, contro i ceti sociali subalterni. Ritornare in piazza a Napoli sabato 30 giugno – conclude Giorgio Cremaschi, è una necessità urgente per articolare e generalizzare la mobilitazione che stiamo alimentando nel paese e che dovrà rafforzarsi sempre più anche in vista degli ulteriori affondi che i poteri forti del capitale, nazionale e multinazionale, stanno preparando per scaricare, con ancora più virulenza, i costi della crisi sulla pelle dei ceti popolari.

Il prossimo 30 giugno, Napoli si candida dare un appuntamento di mobilitazione ampio con un corteo che vedrà la partecipazione di delegazioni anche di altre regioni ed a lanciare un messaggio chiaro e forte contro il Governo Monti, la Controriforma Fornero e per la chiusura di Equitalia. 
Le realtà sociali, politiche e sindacali che aderiscono sono ormai tante: dall’Unione Sindacale di Base alla rete Commons, dal Laboratorio occupato Insurgencia al Sindacato lavoratori in lotta, dai Precari Bros organizzati alla Rete dei Comunisti, da Rifondazione Comunista-Federazione della Sinistra al Comitato nazionale No debito nazionale. 
”Stop Equitalia, Stop precarietà”, è lo slogan che oggi hanno fatto proprio gli organizzatori in occasione della conferenza stampa che ha presentato il corteo del 30 giugno prossimo a Napoli. “Il nostro messaggio non è certo quello di non pagare le tasse - hanno spiegato - piuttosto chiediamo la dismissione dei metodi da usura e una sanatoria del debito per le fasce deboli della popolazione”. 
”Pretendiamo nuovi diritti e non una nuova precarietà”. Da qui al 30 giugno in una città che, contro Equitalia, ha già visto scontri anche duri, gli attivisti annunciano azioni a sorprese. Intanto, in occasione del corteo arriveranno a Napoli anche delegazioni da Puglia, Calabria, Abruzzo, Lazio.

Tratto da Contropiano.org

martedì 26 giugno 2012

Campagna "10x100 - Genova non è finita"




La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della repubblica italiana.

Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco.

Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate. In questo modo si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.

E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001.

Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.

Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.

Cinecittà, in fiamme il Corto Circuito



Il famoso centro sociale Corto Circuito, nato e sviluppatosi nel quartiere di Cinecittà, è andato a fuoco stamattina, verso le 5:30. Ancora non si conosce la causa dell'incendio: sulle prime, sembra un problema elettrico; ma gli attivisti del Corto non escludono nulla. La memoria, come è normale, corre al lontano 19 maggio 1991, quando alcuni fascisti appiccarono il fuoco al centro sociale e causarono la morte di Auro Bruni. Proprio questo precedente spinge tutti alla prudenza.
Intanto i militanti dello storico centro sociale capitolino si sono già messi all'opera per ricostruire la palestra, la mensa, e tutti gli spazi sociali autogestiti che hanno reso il Corto Circuito famoso negli anni. "Chiediamo a tutta la città, e non solo, una mano lanciando la campagna "Senza Corto non so stare". Per dare un contributo si può già sottoscrivere al conto bancario codice iban IT43O0301503200000000125925 causale ricostruzione cortocircuito".
Sabotag esprime la propria solidarietà ai militanti del Corto Circuito, e parteciperà alle iniziative che si metteranno in cantiere per favorire la ricostruzione, anzi la rinascita, del centro sociale di Cinecittà.

Domani sera, alle ore 20, si terrà una cena sociale per il finanziamento della ricostruzione.

lunedì 25 giugno 2012

Contro l'iniquità, per la libertà



Non solo si può essere contro la privatizzazione degli strumenti, dei beni e dei saperi; bisogna esserlo sempre, anche a rischio di apparire velleitari o utopisti. Noi crediamo che tutto vada messo in comune, in maniera orizzontale. Per questo siamo contro il copyright e contro la proprietà privata (del singolo, dell'azienda o dello Stato) degli strumenti di produzione della ricchezza economica e culturale di una comunità. Solo così realizzeremo la vera uguaglianza: dentro, e non contro, la libertà di tutti e di ciascuno. 
Dobbiamo essere liberi, perché uguali. Dobbiamo essere uguali, perché liberi. Dobbiamo essere in uno stato di parità, esercitando ciascuno le proprie libere inclinazioni ed aspirazioni senza compromettere il bene della comunità.
Combattere l'iniquità significa combattere per la libertà. In ogni luogo di lavoro e di vita. Autorganizzarsi e autogestirsi, senza delegare. La delega può esserci, sia chiaro: ma deve essere momentanea, a breve termine e sempre revocabile. Altrimenti diventa burocrazia: nel pubblico o nel privato, la burocrazia è sempre negativa. Perché trasforma la libertà in sopruso e l'uguaglianza in appiattimento. Perché alimenta il privilegio e  mortifica il merito e le capacità.

Karl Kaphyer

Contro il DDL Fornero serve una vasta opposizione sociale



Il 26 e 27 giugno si terranno a Roma gli "Stati Generali del sociale e della famiglia", convocati da Alemanno. Sempre in quei giorni, la Camera dei Deputati voterà la fiducia sulla controriforma del lavoro, in modo tale che Monti possa presentarsi in Europa con i compitini fatti. "Distruzione del mercato del lavoro italiano? Fatto. Abolizione articolo 18? Fatto", e via di questo passo.
Bisogna con tristezza constatare che i sindacati confederali non hanno speso nemmeno un'ora di sciopero contro questo insano progetto di controriforma. Se Cisl e Uil in questi anni ci hanno abituato a stomachevoli prese di posizione a favore del padrone di turno, ci lascia relativamente sconvolti la posizione della Cgil camussiana, ormai appiattita sulle posizioni del PD, uno dei più grandi sostenitori di Monti e del suo governo bocconiano. 
Fortunatamente esiste ancora un sindacalismo di base realmente autonomo, per quanto frammentato in dodicimila sigle e siglette che allontanano i lavoratori i quali percepiscono questa frammentazione come incapacità di dar vita a percorsi di lotta unitari. Comunque la si veda, il sindacalismo di base ha realizzato uno sciopero generale lo scorso 22 giugno e ha già annunciato il sostegno a tutte le realtà che, da "Blockupy ddl Fornero" in poi, si sono schierate contro l'insano disegno forneriano.

Parliamoci chiaro: le possibilità che il Parlamento non approvi questa controriforma del lavoro sono prossime allo zero. I numeri ci sono, la maggioranza è o deve essere solida, visti i guai di PD, PdL e Terzo Polo. La via istituzionale, quindi, sarà probabilmente preclusa o inefficace. 
Non rimane, allora, altra strada che la strada: i movimenti e i singoli cittadini che vogliono opporsi al Ddl Fornero e, in generale, alle politiche antisociali e antipopolari del governo Monti, non hanno altro sentiero da percorrere che non sia la strada, la piazza, il corteo, il presidio. Sempre all'insegna dell'orizzontalità e dell'autorganizzazione, abbandonando la logica della delega a lungo termine e della democrazia dall'alto.
Questi soggetti, per quanto minoritari e disorganizzati, sono gli unici che possono realmente anticipare la rivoluzione culturale e politica di cui l'Italia, l'Europa e il Mondo globalizzato hanno sempre più urgente necessità.

L'omicidio Aldrovandi e i maiali



Vi sottopongo un interessante articolo de Il Fatto Quotidiano, al termine del quale vi invito a riflettere su questo: quali sono i veri maiali?


“La “madre” se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!”. Sono le parole che si leggono su Facebook. Le firma tale Sergio Bandoli sulla bacheca di Prima Difesa Due, l’account dell’omonima associazione che si prefigge la difesa a oltranza delle forze dell’ordine. Nel processo Aldrovandi era presente sia in Appello che in Cassazione, dove ha portato addirittura il legale di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, a perorare la causa dei quattro poliziotti condannati con sentenza definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi.

“Prima difesa tutela gratuitamente per cause di servizio tutti gli appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate, noi tuteliamo i primi difensori” scrive nella presentazione la presidente Simona Cenni, che in un post di commento alla sentenza della Cassazione del 21 giugno “grida” in maiuscolo il proprio disappunto – qui usiamo noi un eufemismo – per l’intervista di Patrizia Moretti, la madre del ragazzo ucciso nel settembre del 2005 a Ferrara: “Avete sentito la mamma di Aldrovandi… fermate questo scempio per dio… vuole che i 4 poliziotti vadano in carcere… io sono una bestiaaaaa”.

L’amo è lanciato. Il primo ad abboccare è questo iscritto al gruppo, Sergio Bandoli. Avatar con foto e cappello di alpino con penna nera. Ma la penna che gli fa paragonare Federico a un “cucciolo di maiale” riesce a gelare le vene ai polsi. I commentatori continuano sulla stessa lunghezza d’onda, fino a uno dei poliziotti condannati, Paolo Forlani, che interviene direttamente.

“Che faccia da culo che aveva sul tg – così descrive la madre orfana del figlio su cui lui e i suoi colleghi hanno rotto due manganelli -… una falsa e ipocrita… spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (il risarcimento da parte dello Stato, ndr) possa non goderseli come vorrebbe… adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie…”.

Forlani fortunatamente premette di avere “massimo rispetto per Federico”, ma sui suoi genitori usa il pugno duro. Come ha fatto d’altronde con loro figlio: “non vi auguro nulla di simile – scrive sulla pagina di Prima Difesa – ma vi posso dire che siamo stati calpestati nei nostri diritti e ripeto prima di parlare dovete leggere gli atti e non i giornali […], io sfido chiunque a leggere gli atti e trovare un verbale dove dice che Federico e morto per le lesioni che ha subito… […] noi paghiamo per le colpe di una famiglia che pur sapendo dei problemi del proprio figlio non hanno fatto niente per aiutarlo e stiamo pagando per gli errori dei genitori”.

Quanto agli atti, forse bastano le sentenze per rispondere all’agente. In quella di primo grado il giudice Caruso parlò di “grossolanità, incontrollato e abnorme uso della violenza fisica da parte degli agenti, dissociata da effettive necessità”; “un furioso corpo a corpo tra gli agenti di polizia e Federico, durante il quale vennero rotti due manganelli, con i quali colpirono l’Aldrovandi in varie parti del corpo, continuando dopo che lo stesso era stato costretto a terra e qui immobilizzato al suolo, nonostante i verosimili ma impari tentativi del ragazzo di sottrarsi alla pesante azione di contenimento che ne limitava il respiro e la circolazione”.

Stesso discorso per gli atti del secondo grado: i giudici della Corte d’Appello sottolinearono la “manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione” attuata “con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi volessero ‘punire’ Aldrovandi”.

Ora si aprirà inevitabilmente un altro capitolo della vicenda, con la querela per diffamazione che la Moretti ha depositato oggi pomeriggio davanti ai carabinieri di Ferrara. Destinatari Forlani, Bandoli e Cenni.

domenica 24 giugno 2012

Ennesima giornata di nazionalismo da parata

Tra poche ore si disputera' la partita tra Italia e Inghilterra. COme al solito, sono ricomparsi i tricolori sui balconi e la gente non parla d'altro: "Batteremo gli inglesi, siamo piu' forti!" e altre stronzate del genere. Qualcuno intona l'inno di Mameli (ovviamente sbagliando qualche parola).
Oggi vi sentite tutti italiani e schifate gli stranieri. Domani tornerete  lombardi (o veneti o che ne so) e schiferete il vostro vicino o tornerete padroni e parlerete benissimo degli stranieri e malissimo dei lavoratori italiani.
Io no.


sabato 23 giugno 2012

Si a Roma Capitale dell'orgoglio omosessuale



Oggi c'è il Gay Pride a Roma, l'annuale sfilata dell'orgoglio omosessuale. Nella notte, i soliti esponenti omofobi di Militia Christi hanno affisso alcuni manifesti contro il Roma Pride: No a Roma Capitale dell'orgoglio omosessuale era scritto sui loro stracci.
Voglio sostituire il loro NO, e i tantissimi NO che quotidianamente vengono sbattuti in faccia ai gay, alle lesbiche, ai bisex e ai trans nel mondo, con un grande SI.
SI alla parità di diritti e doveri tra omosessuali ed eterosessuali;
SI ai matrimoni gay;
SI alle adozioni da parte di coppie gay;

Potrei dire altri SI, ma mi fermo a questi. Perchè sarei già soddisfatto se si riuscisse a realizzare questi tre obiettivi.
Dato che nessuno li realizzerà senza una spinta culturale e morale, bisogna lottare contro la disciminazione e per la libertà ogni giorno. Senza arretrare di un passo.

venerdì 22 giugno 2012

E' uscito il numero 1 de Il Sabotatore



Dopo il numero 0, il numero di prova, della settimana scorsa, è uscito oggi il numero 1 de Il Sabotatore, bollettino settimanale del Network Autonomo Sabotag.
Questa settimana, le quattro pagine del bollettino vedono un lungo articolo (in prima e in quarta pagina) su un tema fondamentale: la distanza tra ideale e reale, tra aspirazioni e realizzazioni, di ogni militante politico e, se vogliamo, di ogni persona che voglia cambiare lo stato di cose presenti.
A seguire, abbiamo una riflessione sulle elezioni greche e sul sistema elettorale greco che ha fatto nascere una maggioranza elettorale diversa, anzi opposta, rispetto al volere del popolo greco; un'articolo di presentazione di un neonato movimento politico, Articolo Zero; infine, una poesia ribelle, che inaugura la sezione Versi di sabotaggio.

Il link per leggere Il Sabotatore è http://www.youblisher.com/p/365162-Il-Sabotatore/
che potrete sempre trovare disponibile sulla colonna di destra del blog.

Buona lettura!

P.s. per chiunque volesse collaborare con Il sabotatore, e con il network in generale, contattatemi alla mail ant.lucignano@libero.it   

Uomini in catene






Uomini in catene

La vita non è vita
senza una barricata,
un ruggito di Popolo
oltre l’oblio del conformismo
del perbenismo
del qualunquismo.

Essere è andare contro la realtà,
negare ogni disponibilità
alle catene della normalità
bigotta e appaltatrice
di sogni infranti.

Non cedere un metro,
non arretrare di un passo,
quando il cingolato liberale avanza
con la sua corazza impenetrabile
e indiscutibile
di sedicente democrazia.

Ed io vedo ciò che noi vediamo,
e noi vediamo ciò che tutti vedono:
iniquità blasfeme
e povertà immense
mascherate da occasioni mancate,
da svogliati esseri umani
che non vogliono fare un cazzo.

E’ falso. State mentendo.
Vendete menzogne a caro prezzo,
un prezzo che noi paghiamo
quotidianamente,
senza che vi siano cartelli
dipinti a mano
o stampati a caso
che ci indichino quanto vi dobbiamo.
E soprattutto perché.

Perché vi dobbiamo qualcosa?
Perché vi dobbiamo chiedere la libertà
di essere e di vivere,
di pensare e di criticare?
Perché dobbiamo sperare
in una vostra bonaria concessione
di uguaglianza e solidarietà?
Perché dobbiamo chiedere il permesso
di amare e di odiare?

Noi non vogliamo più chiedere niente.
Ciò che ci spetta ce lo prendiamo.
Perché siamo Uomini.
Nati liberi
e ovunque in catene.

Sabotag

mercoledì 20 giugno 2012

9 mila bambini fuori dagli asili nido romani




Sono 9000 in tutta Roma i bambini tagliati fuori anche quest’anno dalle graduatorie di accesso ai nidi comunali. E il Comune che fa? Beh, tanto per dirne una impiega 5 anni per ristrutturare uno dei pochi asili comunali. Cinque anni per risolvere, in origine, un problema di infiltrazioni d’acqua. E poi lo lascia chiuso, con la scusa che i lavori non sono ancora terminati, nonostante l’ingente stanziamento di fondi. Da ultimo 150 mila euro per la cancellata esterna. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: sta ristrutturando un nido o la Reggia di Caserta?

Questa mattina alcune famiglie romane, insieme alle educatrici e all’Unione sindacale di base, hanno occupato il nido comunale Il Gallo Alfonso, nel XIX municipio di Roma, dove sono ben 600 i bambini rimasti senza asilo. Hanno voluto così rilanciare la mobilitazione e chiedere la riapertura della struttura che, se entrasse in funzione da settembre, potrebbe ospitare almeno 80 bambini e bambine del quartiere. Il sentore comune che la chiusura forzata del nido nascondi il tentativo di privatizzarlo, ha spinto le famiglie ad autorganizzarsi, riappropriandosi di ciò che è e deve rimanere pubblico, nel tentativo di riaprire il tavolo delle trattative.

E’ mai possibile che si debba arrivare a tanto per vedere garantito un diritto? E chi si trova veramente nell’illegalità, chi occupa un edificio pubblico chiuso da cinque anni, o chi lo tiene chiuso per cinque anni sottraendo un servizio ai cittadini?

Ci domandiamo quali interessi ruotino intorno a questa struttura e quali affari si vogliano fare alle spalle dei bambini e delle loro famiglie. Alemanno, da un lato, e la Regione Lazio, dall’altro, stanno cavalcano il problema delle liste di attesa in modo del tutto irresponsabile: il Comune di Roma privatizzando un servizio che dovrebbe essere accessibile a tutti, la Regione Lazio con l’entrata in vigore a settembre di una legge regionale, la 12/2011 che, aumentando il rapporto educatrice bambino e riducendo lo spazio a loro disposizione, dequalificherà il servizio e porterà al licenziamento di molte educatrici precarie. La mancanza di nidi comunali a Roma è un’emergenza sociale che grava sul bilancio delle famiglie e determina condizioni di impoverimento: c’è chi si indebita per pagare le elevate rette di un privato e chi non può è costretto persino a restare a casa, abbandonando il lavoro.

Nel paese del family day mancano i nidi e le scuole materne, mancano i servizi essenziali rivolti alla genitorialità, mancano persino i parchi e le ludoteche pubbliche. Nel paese del family day si specula sull’infanzia e a pagare il prezzo più alto sono proprio le famiglie.

di Manuela Campitelli, Il Fatto Quotidiano

Truffa elettorale in salsa greca



Subito dopo le elezioni greche, i pennivendoli del Sistema si sono affrettati a dire che la Grecia aveva evitato il baratro. Votando per Nuova Democrazia e per Pasok, cioè per i due partiti che hanno governato negli ultimi anni e che hanno causato la crisi greca, i cittadini ellenici avevano scelto di rimanere in Europa, accettando le future manovre antipopolari e antisociali (circa 11 miliardi di euro di tasse in più, oltre a 150 mila licenziamenti). Tutti i principali giornali italiani ed europei hanno esultato: quelli di destra hanno apprezzato la vittoria di Nuova Democrazia, evitando di citare l'incredibile risultato di Syriza, la sinistra unita, che ha raggiunto il più alto risultato degli ultimi 25 anni; quelli di centrosinistra hanno apprezzato l'idea di grande coalizione tra ND e Pasok (una sorta di PD italiano), ennesimo esempio di inciucio da proporre come panacea di tutti i mali.

Ed ecco arrivare la sorpresa: solo una legge elettorale folle (un proporzionale puro con premio di maggioranza) consente a ND e Pasok di fare la grande coalizione e di governare la Grecia.
Come inequivocabilmente dimostra la foto qui sopra, la maggioranza degli elettori greci ha votato CONTRO i partiti che sostenevano le "ricette" economiche della troika Bce-Fmi-Ue.
Nuova Democrazia e Pasok hanno preso, insieme, il 41,94% dei voti. Gli "antieuropeisti" hanno preso il 45,82% dei voti. Che significa? Significa che la maggioranza dei greci NON SOSTIENE i partiti che realizzeranno le misure antisociali in cantiere. Può dirsi democratico un governo che realizza politiche osteggiate dalla maggioranza della popolazione? No, ovviamente. Eppure la democrazia liberale consente queste amenità: un premio di maggioranza di 50 seggi, consegnato al partito di maggioranza relativa, consente la formazione di una maggioranza filoeuropeista nel parlamento greco. Nuova Democrazia ha ottenuto, in base ai voti, 79 seggi a cui vanno aggiunti i 50 del premio di maggioranza. Totale 129 seggi. In pratica, il 40 % dei seggi assegnati a Nuova Democrazia non sono frutto dei voti ottenuti!

E veniamo all'Italia: scommettiamo che verrà proposta da Pd e PdL una legge elettorale simile nel metodo di ripartizione dei seggi?
La Grecia è molto più vicina di quanto l'Adriatico dimostri.

martedì 19 giugno 2012

E' nato lo spazio sociale Roberto Scialabba


Occupati i locali di Via Calpurnio Fiamma 136: nasce lo spazio sociale Roberto Scialabba!


Perché una mattina ti svegli e sotto casa hanno aperto una sala scommesse…
Abbiamo occupato i locali di Via Calpurnio Fiamma 136 per ridarli al quartiere e  farne un laboratorio al servizio delle lotte e dell’autorganizzazione!
Monti e il suo stuolo di politicanti ( da PD a PDL) proseguono sulla via del massacro sociale: in nome del “pareggio di bilancio”, il governo delle banche e di Confindustria,  porta avanti  con un attacco senza precedenti, la sua politica di “risanamento” che per le famiglie, i giovani e gli anziani si traduce in perdita di posti di lavoro, aumento della precarietà e della disoccupazione, perdita dei servizi primari, dalla sanità all’istruzione al diritto alla casa. Mutui ed affitti insostenibili, nuove tasse ed Equitalia a regolare i conti.
Anche a Roma l’aumento del biglietto dei trasporti pubblici, i colpi di mano alla Costituzione per delegittimare il Referendum e svendere la gestione di Acea ai grandi signori delle speculazioni, e infine l’introduzione dell’IMU sono l’ennesimo inchino di Alemanno al governo degli affaristi, sulla pelle dei cittadini.
Oggi dire no a questa politica non basta più! Per opporci seriamente a questa deriva bisogna organizzarsi e rispondere a questi attacchi in maniera efficace, iniziare a ricostruire un tessuto sociale di solidarietà e sostegno reciproco a partire dai luoghi in cui viviamo.
Per questo abbiamo deciso di fare quello che le istituzioni non fanno e non hanno interesse a fare! Abbiamo deciso di  “aprire  una porta”  e restituire al quartiere e ai suoi cittadini uno dei tanti edifici abbandonati all’incuria dalle istituzioni togliendolo dal mirino di future speculazioni!
Il patrimonio pubblico immobiliare è un bene comune! Vogliamo valorizzarlo per migliorare le condizioni e la vivibilità del quartiere, per contrastare il degrado e la guerra fra poveri, per farne uno spazio di organizzazione, di aggregazione sociale e culturale per chiunque, in maniera sana e costruttiva, voglia darsi da fare per iniziare a cambiare le cose.
Dedichiamo l’intitolazione dello Spazio Sociale  di Via Calpurnio Fiamma 136 alla memoria di Roberto Scialabba, militante comunista caro alla memoria del quartiere, caduto sotto il piombo dei NAR il 28 Febbraio del 1978.
Facciamo appello alle realtà del movimento romano a solidarizzare con questa nascente occupazione, a sostenerla, a difenderla dalle avvisaglie di sgombero già manifestatesi. Invitiamo tutti all’aperitivo solidale che si terrà giovedì 21 giugno, ore 19.00 presso lo spazio sociale di Via Calpurnio Fiamma 136.
L’Assemblea dello Spazio Sociale “Roberto Scialabba”
Per contatti: spaziosociale136@yahoo.it

Tagliamo le ferie di Polillo e dei bocconiani



"Una settimana di vacanze in meno per avere un punto di Pil in più". Il sottosegretario Polillo non è nuovo a proposte del genere. L'economista romano, ex consigliere economico del PdL, aveva sostenuto l'idea di una tassa sugli animali domestici. Inoltre, si era anche augurato l'elezione diretta di Berlusconi al Quirinale, visto che il Cavaliere ha "salvato la democrazia italiana" con la sua discesa in campo. Non dimentichiamo nemmeno la difesa delle banche contro i conto correnti gratis per i pensionati: "Un notevole danno per le banche, potrebbero causare un’ulteriore stretta creditizia". Una minaccia in stile mafioso-bocconiano.
Adesso, il buon Polillo ne spara un'altra: per aumentare il Pil, bisogna lavorare di più e rinunciare ad una settimana di ferie. E lo stipendio? Le ferie non godute vengono retribuite? Ovviamente no, si affretta a spiegare Polillo, senza che un suo collega del governo bocconiano gli dica di smetterla di dire stronzate. Infatti Polillo rincara la dose: "Sia gli industriali che i settori più illuminati del sindacato, compresa la Cgil, non sono pregiudizialmente contrari a questa ipotesi".
In attesa delle smentite secche ed indignate di Camusso, Bonanni e Angeletti, evidenziamo il punto di partenza della riflessione di Polillo: "Lavoriamo mediamente 9 mesi l’anno e credo che ormai questo tempo sia troppo breve". Analizziamo questa frase: dire che tutti noi lavoriamo in media 9 mesi l'anno vuol dire che c'è chi lavora più di 9 mesi e chi lavora meno. E i due gruppi devono essere abbastanza omogenei, visto che altrimenti la media sarebbe sfalsata. Quindi, visto che i lavoratori dipendenti (tra ferie estive, malattie e permessi) si assentano dal lavoro per circa un mese, un mese e mezzo all'anno, vuol dire che vi sono tantissime persone che lavorano circa sette mesi all'anno! E chi sono? Che lavori fanno? Quanto guadagnano? Polillo omette di dirlo. Forse parla di se stesso, e dei tanti Polillo che vivono in Italia in maniera poco più che parassitaria rispetto ai tantissimi lavoratori dipendenti (pubblici e privati).
Polillo dia l'esempio: rinunci ad una bella settimana di ferie, insieme ai suoi colleghi di governo e ai parlamentari. Restino al lavoro senza una lira in più, visto che le loro retribuzioni sono talmente alte da non farli rischiare la povertà.


Articolo Zero, parte la Carovana della Periferia romana



Parte la Carovana della periferia

Riprendiamoci la parola
Riprendiamoci i nostri quartieri
Riprendiamoci i beni comuni

La nostra periferia è il risultato urbanistico del consumo dell'agro romano che circondava la nostra splendida città, sul quale i costruttori hanno continuato a speculare e ad arricchirsi mentre sindaci conniventi si alternavano alla guida dell’amministrazione.
Hanno edificato palazzi, palazzi e ancora palazzi dove ci hanno mandati a vivere, mettendoci nelle voraci mani delle banche per avere un muto e costretto a fare i pendolari ogni giorno e per ogni bisogno tranne che per uno, il consumo!

Uomini e donne ora consumate consumate consumate !!!!
Abbandonate ogni “Idea”, ecco pronto anche per voi l'ennesimo centro commerciale.
I servizi ed il lavoro? Quelli arriveranno....
Quando qualcuno ha provato a ribellarsi, a comprendere e a cercare delle responsabilità per la propria condizione di vita ecco pronto il capro espiatorio: l'immigrato.

Finora abbiamo delegato la presidente della Regione Lazio a tagliarci la sanità, il Sindaco di Roma Alemanno a privatizzare Acea e continuare a consumare il nostro territorio, il tutto nel silenzio assordante del presidente della Provincia Zingaretti, silenzio dimostrato ancora una volta nell’approvazione del piano paesaggistico con il quale nessun vicolo è stato posto alla cementificazione.

Il risultato: loro più ricchi e noi che tentiamo di sopravvivere.

Ora basta !!! Pieni di orgoglio e di rabbia, ma altrettanto consapevoli della città che vogliamo, consapevoli dei nostri bisogni e dei nostri desideri ci riprendiamo i quartieri scegliendo di non delegare a nessuno la costruzione della città in cui viviamo.

Noi vogliamo una sanità e una scuola interamente pubblica, un “pubblico nuovo” dove la partecipazione dei cittadini sia diretta nella gestione e nel controllo.
Non vogliamo ne inceneritori ne discariche, per questo vogliamo organizzare per noi la raccolta porta a porta, il riciclo, il riuso e il riutilizzo dei materiali.
Abbiamo scelto in milioni che l'acqua è un bene comune sul quale nessuno deve avere un profitto, tutti i beni comuni sono diritti universali ed esigibili da ogni uomo e da ogni donna in quanto sottratti alle logiche di mercato.

Siamo il Movimento Articolo 0 ed in questi mesi abbiamo iniziato ad autorganizzarci costruendo un luogo sociale e politico, fatto di cittadine e cittadini, organizzazioni sociali e politiche affinché la nostra periferia sia vista come risorsa e non come contenitore del disagio sociale.

La nostra idea è quella di organizzare la carovana della periferia, una serie di incontri pubblici in ogni piazza dei nostri quartieri per costruire il nostro futuro e riprenderci il presente.

Prima fermata
mercoledì 27 giugno ore 19:00
Parco Collina della Pace Peppino Impastato
Via Casilina KM 18 Finocchio

lunedì 18 giugno 2012

Tecniche di sabotaggio antico

ComeSiFa.jpg



[La casa editrice Manni ha pubblicato un volumetto, piccolo ma corposo, a cura di Franco "Bifo" Berardi e Valerio Monteventi. Si intitola Come si fa. Tecniche e prospettive di rivoluzione (pp. 256, € 12,00). Così è presentato dall'editore: "I movimenti di protesta si stanno diffondendo in tutto il mondo. Ma le battaglie di opposizione al sistema sembrano non aver ancora trovato gli strumenti per un’azione efficace. Alcune proposte arrivano da questo volume che analizza teorie e metodi alla base delle rivolte del ventesimo secolo: lo sciopero e il sabotaggio, il guevarismo, la resistenza e la guerriglia, il boicottaggio e le pratiche dell’obiettivo, la non violenza, il media-attivismo e l’info-hacking, il subvertizing e le occupazioni, fino alla creazione di reti di solidarietà e al suicidio. Obiettivo finale: capire il passato per proporre una forma nuova e adeguata della rivoluzione oggi." I contributi raccolti sono di Franco "Bifo" Berardi, Valerio Monteventi, Lucia Berardi, Arturo Di Corinto, Tommaso De Lorenzis, Valerio Evangelisti, Andrea Gropplero, Antonio Moscato. Riportiamo l'intervento di Valerio Evangelisti.]


di Valerio Evangelisti, tratto da http://www.carmillaonline.com/archives/2012/06/004339.html

Esiste una forma di lotta che ha gli effetti di uno sciopero di massa, pur se attuata da un numero esiguo di lavoratori o, in certi casi, persino da uno solo? Sì, esiste, e si chiama sabotaggio. Era comune, e teorizzata da alcune forze sindacali, nei primi decenni del secolo scorso, soprattutto in Francia, in Inghilterra e in America. A quei tempi, in Italia, era praticata principalmente nelle campagne. Tornò di moda, da noi, negli anni Settanta. Noto è il caso, ai tempi della catena di montaggio, del cosiddetto “salto della scocca” nella industria automobilistica. La vettura completata mancava di qualche pezzo piccolo ma essenziale, e ciò la rendeva inservibile. Un danno economico altissimo per il padrone. Nel 1984 vi fu un processo contro alcuni operai dell’Alfa Romeo colpevoli del sabotaggio. A sorpresa, i magistrati condannarono l’azienda e assolsero i lavoratori. Una sentenza che, in certi ambienti e sulla stampa mainstream, fece scandalo. Provocò anche una breve crisi tra i sindacati, favorevoli alla decisione del giudice, e il PCI, risolutamente contrario.
Non conosco altre sentenze così esplicite, ma non voglio occuparmi qui del sabotaggio in toto, che ha avuto mille altre espressioni (anche recentissime). Intendo invece chiarire perché un secolo fa alcuni sindacati importanti, come la CGT in Francia, gli IWW in America e altri ancora, un po’ in tutto il mondo, ritenevano il sabotaggio un mezzo di lotta legittimo, per quanto ritenuto dalla legge un atto criminale.
Partiamo dalla definizione. Il testo fondamentale, tradotto in molte lingue, è Il sabotaggio di Émile Pouget (un dirigente della CGT di tendenza anarco-sindacalista), pubblicato in Italia nel 1911. Sua è la formula che riassume il concetto: “A cattiva paga, cattivo lavoro”. Il prefatore italiano, che si firma Notari, offre una definizione sintetica ma più ampia:

“Il sabotaggio si divide in due grandi rami. Il primo comprende il sabotaggio delle industrie, e consiste (…) nel ridurre la macchina, o qualsiasi altro strumento di lavoro, in istato di inattività impedendo, così, che l’arma escogitata dalle classi padronali – il krumiraggio – possa spuntare quella delle classi operaie – lo sciopero.
Il secondo comprende il sabotaggio applicato ai commerci il quale consiste (…) nel fare l’interesse del cliente, e non quello del padrone: nel dare, cioè, il peso giusto della merce richiesta, nell’offrire quella di migliore scelta e di migliore fattura, anziché quella avariata od imperfetta.”

Tralascio la seconda forma di lotta, meno attuale, che pure trova in certe azioni degli anni Settanta – primi anni Ottanta alcune analogie (tipo la scelta degli autoferrotranvieri, durante le loro vertenze, di far viaggiare i passeggeri senza biglietto, invece di astenersi dal lavoro). Quanto alla prima, fu ufficialmente adottata, creando uno scandalo enorme, dal congresso di Tolone della CGT francese del 1897, ribadita dal congresso di Rennes l’anno successivo, poi sancita a Parigi nel 1900. Il motivo della risoluzione è ben spiegato da Pouget:

“Bisogna che i capitalisti sappiano che il lavoratore non rispetterà la macchina se non quando questa sia divenuta per lui un’amica che abbrevia il lavoro, invece di essere, come oggi è, la nemica che gli ruba il pane e lo uccide.”
Simili idee, che oggi possono apparire datate e persino oltraggiose, conobbero una diffusione stupefacente. Del resto si rifacevano a prassi già adottate spontaneamente dalla classe operaia. Comprendevano forme varie, che andavano dall’osservanza pedissequa dei regolamenti (usata dai ferrovieri francesi già prima del congresso di Tolone) al ricorso a espedienti capaci di bloccare un ingranaggio, e con esso tutti quelli collegati, a monte e a valle. L’azione di uno solo, o di pochi, era davvero sufficiente a interrompere un’intera catena produttiva. Talora bastava togliere un bullone o versare un liquido colloso sulle pulegge. Impossibile, o quasi, scoprire il colpevole, tra la folla degli operai manifatturieri.

Dalle teorizzazioni di Pouget si passò alla pratica fatta propria dal sindacalismo rivoluzionario, e in particolare dagli Industrial Workers of the World americani. Un dirigente degli IWW, Ben H. Williams, sconsigliava nel 1911 la distruzione diretta delle macchine. I lavoratori non l’avrebbero capita, e forse avrebbero finito per giudicarla barbara. Meglio la tattica dei ferrovieri francesi. Dopo un accordo tra i militanti del sindacato, provocare un guasto qui, un guasto là, fino a rendere l’intera rete – pubblica e privata – inaffidabile e ingestibile. I padroni avrebbero finito per abbandonare la loro tracotanza e sarebbero scesi a patti spontaneamente. Come in effetti accadde in Francia, nel 1895.
Altri teorici degli IWW, a partire da Frank Bohn per arrivare a molti altri, incluso il leader “Big Bill” Haywood, approfondirono le modalità di questo tipo di lotta. Cerco di ricapitolare il loro discorso.

- Il sabotaggio è valido quale forma di conflittualità estrema, in presenza di situazioni eccezionali. In condizioni “normali”, i proletari lo ripudierebbero.
- Le situazioni eccezionali comprendono il ricorso ai crumiri, il rifiuto di ammettere le rappresentanze sindacali, l’impossibilità dello sciopero.
- Necessaria al sabotaggio detto “industriale” è la presenza di masse cospicue di lavoratori, tra le quali non sia possibile scovare uno o più colpevoli, se non colti sul fatto.
- Il sabotaggio ha per bersaglio le cose, non le persone. L’inverso della repressione del potere, che punta invece alle persone, non alle cose.

Simili concetti furono adottati dall’intero sindacalismo rivoluzionario mondiale, ai primi del Novecento. Gli IWW li teorizzarono più che praticarli. Una realizzazione molto concreta ebbe luogo principalmente nella California degli anni Dieci-Venti del Novecento. Braccianti precari ed esasperati, ridotti alla fame da salari sempre più bassi, cominciarono a dare fuoco alle trebbiatrici che toglievano loro il lavoro. Il compositore Joe Hill adattò a esaltazione di quel gesto una canzoncina popolare, Ta-Ra-Ra Boom De-Ay, in cui un proprietario terriero accettava di negoziare dopo avere assistito alla distruzione delle macchine agricole comperate per risparmiare manodopera.
Furono casi comunque isolati, e non paragonabili al galletto rosso praticato negli stessi anni dagli operai agricoli di molti paesi europei, a partire dai braccianti della Russia per arrivare a quelli, pure inquadrati in organizzazioni sindacali riformiste, dell’Emilia-Romagna. Consisteva semplicemente nel dare fuoco ai campi di cereali, e richiedeva un grado accentuato di alienazione dal lavoro. Difficilmente i piccoli proprietari contadini avrebbero accettato quella tattica. La facevano propria masse precarie che passavano da un lavoro all’altro, e non avevano nulla che le legasse al suolo, né al lavoro in sé.
Negli Stati Uniti, di norma, non si arrivò a tanto. Sta di fatto che il sabotaggio, o per meglio dire il suo elogio, fu tra i pretesti usati nel 1919 per mettere fuori legge gli IWW, tra deportazioni forzate e condanne a lunghi periodi di carcerazione. Nulla faceva rabbrividire chi deteneva il comando dell'economia e del potere quanto l’idea che un piccolo nucleo di operai potesse, con una “disattenzione” difficilmente imputabile, causare in pochi minuti una perdita di profitti maggiore di quella provocata da una settimana di sciopero – senza poter sapere a chi sospendere la paga o chi licenziare.
La parola d’ordine “A cattiva paga, cattivo lavoro” scomparve in seguito dal novero degli slogan sindacali. Riapparve per un poco in Italia, negli anni Settanta, nella forma “A salario di merda, lavoro di merda”. Nei decenni successivi fu travolta dal decentramento produttivo, dagli appalti a lavoratori o agenzie presunti autonomi, dalla delocalizzazione. Dopo la condanna per legge di un’altra tradizionale arma sindacale, il “boicottaggio” (tu non rispetti i tuoi dipendenti e io ti boicotto; chiunque avrà a che fare con te sarà boicottato a sua volta, persino sul piano dei rapporti umani), si sono susseguite per ogni dove misure legislative, forme di sorveglianza, modalità organizzative che rendessero il sabotaggio impraticabile. Ma si può dire che la bestia sia domata? Per scatenarsi richiede un precariato diffuso, la conseguente estraneità ai fini dell’impresa, la mancata accettazione del “normale” rapporto sindacale da parte del padrone. Sull’altro versante esige coscienza dei fini, coraggio e disinvoltura nella scelta dei mezzi. Forse è sul secondo fronte che attualmente si avvertono le carenze maggiori.

Come che sia, credo opportuno riportare un brano delle conclusioni del congresso di Tolone della CGT, che adottò il sabotaggio come arma legittima:
“Noi vi abbiamo già dimostrato come istintivamente il lavoratore abbia risposto al capitalista feroce diminuendo la produzione, ossia offrendo un lavoro proporzionato alla miserabilità del salario.
Occorre augurarci che i lavoratori si rendano conto che il sabotaggio, per divenire un’arma poderosa, deve esser praticato con metodo e con coscienza.
Spesso basta la semplice minaccia del sabotaggio, per ottenere utili risultati.
Il congresso non può entrare nei particolari della tattica. Questi particolari debbono partire dalla iniziativa e dal temperamento di ciascuno di voi e sono subordinati alla varietà delle industrie.
Non possiamo che porre la massima e augurarvi che il sabotaggio entri nell’arsenale di lotta dei proletari contro i capitalisti, analogamente allo sciopero, e che l’orientazione del movimento sociale abbia sempre più la tendenza all’azione diretta degli individui e a una maggiore coscienza della propria personalità.”
Sono parole, quelle della CGT, che potrebbero avere senso ancora oggi? Non lo so, mi sono limitato a un semplice e semplificato excursus storico. Certo che in tempo di reti e di interconnessioni, l’idea di un omino – o donnina – in tuta che può bloccare tutto quanto, conseguendo gli effetti di uno sciopero generale prolungato, non può che affascinare.

sabato 16 giugno 2012

Bambini palestinesi nelle carceri israeliane



Secondo fonti private del Ministero per gli Affari dei detenuti a Gaza, 20 bambini detenuti nel carcere di “Hasharon”, martedì 12 giugno hanno iniziato uno sciopero della fame ad oltranza per protestare contro le difficili condizioni in cui vivono e la mancanza di risposta dalla direzione carceraria alle loro richieste.

17 anni, Ahmed Lafi ha annunciato che 20 prigionieri hanno iniziato la sciopero della fame per protestare contro le condizioni incontrate dai detenuti in questa prigione per i minori e il deterioramento delle loro condizioni di vita. I membri della famiglia non sono autorizzati alle visite, non è permesso loro di studiare, non c’è la lavanderia cosicché debbano lavare i panni a mano.

Ha spiegato che l’amministrazione penitenziaria persiste nella tortura e umiliazione dei prigionieri bambini anche dopo la firma dell’accordo fra il Comitato Supremo del direttivo dello sciopero e il servizio carcerario per terminare la Battaglia delle pance vuote, aggiungendo che l’amministrazione penitenziaria mette in isolamento qualsiasi prigioniero che cerchi di rivendicare i propri diritt. Ha anche detto che le celle sono nei sotterranei, i bagni senza porte e vi è mancanza di cibo con una sola ciotola di riso per otto giovani. Inoltre, i prigionieri sono sottoposti a ispezioni e provocazioni effettuate dalla intelligence israeliana.

Il Dipartimento delle Prigioni ha anche usato orribili metodi di tortura per estorcere confessioni da questi giovani, violando brutalmente tutte le convenzioni internazionali che proteggono i diritti dei bambini.

Le autorità di occupazione israeliane hanno ancora in mano circa 190 bambini sotto i 18 anni di età nelle loro carceri e campi di detenzione, in circostanze analoghe a quelle in cui sono tenuti prigionieri adulti, in termini di trattamento dello spazio, crudeltà, malnutrizione e mancanza di assistenza sanitaria, tale che non vi è distinzione tra il maltrattamento e la crudeltà sui minori e adulti.


Fonte: http://www.nuovaresistenza.org/2012/06/15/20-detenuti-bambini-cominciano-lo-sciopero-della-fame-ad-oltranza-palestina-rossa/#ixzz1xwklxO2G

venerdì 15 giugno 2012

Anonymous, cacciati i responsabili dell'attacco a BeppeGrillo.it



Anonymous Italia, cioè la community italiana che fa capo al movimento hacker più famoso del mondo, ha cacciato "con ignominia" i responsabili dell'attacco contro il sito di Beppe Grillo. Un amministratore e due hackers hanno testato una nuova botnet sul sito di Beppe Grillo, che è stato oscurato per 10 ore. Inoltre, hanno anche pubblicato un post in cui spiegavano perché hanno dossato il sito di Grillo, accusato di essere un populista sfascista eccetera eccetera.
Oggi sono stati espulsi, ed un membro anziano della community ha spiegato: "erano in minoranza, e non possiamo accettare che qualcuno decida contro il parere della maggioranza".

Quando una settimana fa ho saputo dell'attacco al sito di Grillo, sinceramente sono rimasto stupito: non riuscivo a capire perché Anonymous dovesse attaccare proprio Grillo, cioè una persona che ha più volte manifestato notevoli convergenze con gli ideali di Anonymous. Inoltre, lo stesso Movimento 5 Stelle, di cui Grillo è il padre fondatore, ha nel proprio programma politico molte proposte condivisibili dagli Anonymous italiani.
La decisione presa dalla maggioranza di Anonymous Italia di cacciare i responsabili di questo attacco incomprensibile mi trova quindi d'accordo. Mi spiace, però, che vi siano ancora le concezioni di Maggioranza e Minoranza a farla da padrone, anche in un movimento come Anonymous. So bene che a volte è necessario arrivare a contarsi per stabilire una linea, ma ciò va fatto solo dopo che si è cercata la sintesi tra le posizioni. Utilizzare il metodo del consenso è ben più democratico del mero calcolo delle teste, perchè il rischio che la democrazia diventi una dittatura della maggioranza è sempre forte.

La valle e il nostro tempo. Autonomi in Val Susa



Tratto da http://quieteotempesta.blogspot.it/2012/06/la-valle-e-il-nostro-tempo-autonomi-in.html

Il 27 giugno, quando la polizia ha attaccato la Libera Repubblica della Maddalena, ero a Manhattan, dove abitavo da qualche tempo. Ho ascoltato la diretta dello sgombero in streaming, in una casa di Chinatown. Pochi giorni dopo ho preso un aereo e sono tornato in Italia, in quello che oggi è il Kiomontistan, territorio impervio per i difensori del neoliberismo in crisi, gli stessi che fanno i conti con Occupy Wall Street. Passare dai grattacieli al fogliame e alle fronde mi ha fatto davvero l’effetto di essere un soldato partito per il Vietnam, anche perché ho condiviso con i miei compagni ogni minuto della lotta nel nuovo scenario dell’occupazione militare: dalle ferite riportate sul campo agli arresti, dagli assedi al non-cantiere alla caduta di Luca, fino alla rabbia che ne è seguita. Essere No Tav è, per me, uno dei mille modi di essere ciò che sono: ho sempre vissuto tra le persone, nei luoghi più diversi, con il sogno di distruggere il mondo che ho ricevuto in eredità; ed è da loro, dai miei compagni, che ho imparato che un sogno simile, per divenire realtà, deve sapersi calare in ogni situazione e in ogni luogo in modo nuovo, misurando il peso delle scelte sulla bilancia dell’efficacia.
La polizia, i giornalisti, i leader di partito si interrogano su chi siamo noi, gli autonomi della Val di Susa, con differenti livelli di stupidità. Il nostro identikit sociale è semplice: precari, studenti-lavoratori, disoccupati ad intermittenza. Non versiamo contributi, non abbiamo né avremo tutele. Salariati in nero o in forma atipica nella ristorazione, nell’informatica, nella comunicazione, nell’industria della conoscenza, ci consideriamo i prototipi più azzeccati della nostra generazione e, al tempo stesso, i suoi nemici mortali; non per la presunzione di voler essere meglio del nostro tempo, ma per essere il nostro tempo al meglio: combattiamo, a nostro modo, la passività congenita a ogni classe oppressa. Siamo tanti, organizzati. Tra la nebbia dei lacrimogeni sappiamo orientarci giorno e notte, nei boschi o sulle autostrade, in inverno o in estate, con il sole o con la pioggia. Quando l’assemblea decide il grande corteo popolare, contribuiamo alla sua riuscita; quando decide di arrivare alle reti, non ci spendiamo con minor sacrificio. Imprevedibilità e flessibilità ci caratterizzano, nel tentativo di conciliare la morale irreprensibile del rifiuto con il pragmatismo della sua declinazione diretta. Allergici alla retorica e ad ogni fanatismo, siamo lontani dall’individualismo ipocrita del liberalismo quanto da quello scolastico dell’anarchismo. È l’interesse comune, quello che si definisce in autonomia dalle istituzioni e dalle dinamiche di sfruttamento, il cavallo di Troia che abbiamo nascosto nel futuro.
Partito di massa e di opinione convivono, in essenza, nella nostra forma di organizzazione agile, figlia della critica della forma-partito come tale. Radicamento sociale e strategia mediatica si uniscono in un abbraccio scandaloso, nell’equilibrio millimetrico che sappiamo di dover trovare per non cedere spazi di linguaggio e di immaginario al nostro nemico. Il tutto con un unico, ossessivo obiettivo: valorizzare e organizzare il conflitto sociale, aggregare nuove ragazze e nuovi ragazzi, riprodurre ed estendere l’insubordinazione, allargare la critica. Perché? Perché il futuro, se vuole essere diverso dal presente, deve costituirsi sul nuovo. Senza l’autonomia sociale, politica e culturale dal potere non si vince, dura legge della storia, spietata con chi non la impara. Siamo militanti politici, una forma di essere umano sempre e necessariamente in guerra, anzitutto in tempo di pace, ma non abbiamo forze armate né piani militari; semmai, attraversiamo in modo conflittuale una miriade di piani sociali, tra metropoli e montagna. Incarcerati, ci mettono in isolamento; seguiti e pedinati, ci danno il foglio di via; allergici alle carriere e alle divise, ci muoviamo come volontari agli antipodi del volontariato.
Abbiamo fondato il primo comitato popolare contro l’Alta Velocità dodici anni fa e, da allora, nella corsa del movimento a diventare sempre più grande, non ci siamo mai fermati. I governi vanno e vengono, noi siamo sempre qui, per vincere. Qualcuno si meraviglia di come siamo visibili e irriconoscibili a un tempo; ma è normale per chi, come noi, si compiace di tentare la declinazione post-postmoderna del bolscevismo più originario. Allora dicono che siamo “nascosti” dentro il movimento, ma è l’esatto opposto: scriviamo sui siti e compariamo in televisione; venite a trovarci nelle assemblee, nelle feste popolari, nelle conferenze stampa. Non siamo una corrente interna, ma soggetti votati al potenziamento dell’insieme, del tutto; l’autonomia non è una fazione, è una necessità. Tra i fuochi delle barricate ci muoviamo senza ideologia. Quando i Cattolici per la Valle hanno voluto costruire una statua di Padre Pio accanto al nuovo presidio, dopo che la polizia ha loro sottratto il pilone votivo alla Madonna, non abbiamo obiettato: sappiamo quanto la fede può essere importante per una resistenza. Persino quando i leghisti venivano alle assemblee, anni fa, non li abbiamo cacciati; era chiaro fin da allora che avrebbero abbandonato in massa il loro partito.

E se una valligiana mi parla di energia della terra, di magia dei luoghi e dello spirito che abita le montagne, io – scettico per indole, materialista per vocazione – la ascolto pieno di fascino. Imparo da tutto e da tutti, in questo scenario folle e bellissimo, dove paganesimo e cristianesimo si incrociano con l’identità occitana e montana, mentre ragazzi di stadio della cintura torinese incrociano i destini dei pensionati di montagna e dei reduci della guerra, che a loro volta ascoltano rapiti le storie delle studentesse emigrate a Torino dalla Sicilia e dal Salento. Il potere organizza la tutela disciplinata e astratta delle differenze, noi ne coltiviamo il potenziale reale. Le vediamo crescere e rafforzarsi contro l’uniformazione coatta prodotta da un potere decrepito, lo stesso che ho visto all’opera nei quartieri di New York. Mi è costato abbandonare l’America, ma la valle è legata alla mia vita non meno della Grande Mela, e allora soffoco la nostalgia della giungla d’asfalto ammirando i colori della foresta reale, la poesia dei ciglioni dopo la nevicata, o respirando l’aria inconfondibile di cui vivono – e dovranno continuare a vivere – i nostri castagneti. 

Pubblicato su "Alfabeta2", 6 giugno 2012

giovedì 14 giugno 2012

Tanti auguri, Comandante





Il 14 giugno 1928 nasceva Ernesto "Che" Guevara. Guerrigliero della libertà dei popoli latino-americani. Ribelle al Sistema. A suo modo, un filosofo ed un poeta. Un uomo che aveva una dote rara di questi tempi: lottava per i suoi ideali.

Questo video di Sabotag TV ne vuole celebrare il ricordo e l'attualità delle idee.





mercoledì 13 giugno 2012

FAInformale? Ma quali anarchici...



10 arresti, 24 indagati, 40 perquisizioni. Lo Stato contro i sedicenti anarchici della FAInformale. Dico sedicenti perchè definirli "anarchici" è un errore formale e sostanziale.
Lo avevo scritto subito. Appena la notizia della gambizzazione dell'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare aveva fatto il giro dei media, rivendicato dalla sigla "Federazione Anarchica Informale (FAI)". Questi non sono anarchici. Gli anarchici non gambizzano. Lo fanno i mafiosi o i brigatisti rossi e neri. Gli anarchici mettono bombe al Parlamento. Accoltellano tiranni e uccidono re o presidenti. Non gambizzano. E', quindi, con sommo piacere che constato quanto avessi visto giusto: la Federazione Anarchica Italiana,  cioè l'unica organizzazione libertaria che può fregiarsi dell'acronimo FAI, nonché la più antica organizzazione anarchica italiana, ha tenuto un convegno al termine del quale ha prodotto il seguente documento politico, in cui vengono prese nettamente le distanze dai sedicenti anarchici informali:

Della lotta armata e di alcuni imbecilli
Nel nostro paese la situazione politica e sociale mostra chiari segni di un'involuzione autoritaria su scala globale. Il dispiegarsi di politiche disciplinari in risposta alle questioni sociali è segno che il tempo dei compromessi, delle socialdemocrazie sta tramontando. Potremmo dover fare i conti con il rischio che si impongano regimi decisamente autoritari. La criminalizzazione dei movimenti sociali e degli anarchici, prepara il terreno e nuovi dispositivi repressivi: nuove leggi, nuovi procedimenti penali, una sempre più forte torsione delle normative vigenti, un sempre maggior controllo militare del territorio. 


L'immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la dice lunga su quali sono le intenzioni dell'oligarchia al potere. Un atto vile, di terrorismo indiscriminato, contro delle giovani donne, antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di lotta armata, magari con origini greche o con contorno mafioso, con l'obiettivo palese della realizzazione dell'unità di tutti gli schieramenti in difesa dello Stato, un'unità che abbiamo visto all'opera negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali, dell'arretramento sociale e culturale del paese. 



Anche il ferimento dell'AD di Ansaldo nucleare e la rivendicazione inviata al Corsera dal nucleo "Olga" della FAInformale dimostrano come azione e comunicazione si intreccino e si confondano in un gioco di specchi infinito e deformante. Occorre osservare con attenzione per coglierne l'intima trama.

I media, gli stessi che minimizzano da sempre la ferocia della guerra che l'esercito italiano combatte in Afganistan, hanno sparato a zero contro il movimento anarchico, quel movimento che non si sottrae alle lotte sociali, che è in prima fila nei movimenti per la difesa ambientale, contro la guerra e il militarismo, contro le leggi razziste e le politiche securitarie nel nostro paese.
Giornali, radio e televisioni, che nell'immediato non avevano alzato i toni, si scatenano dopo la rivendicazione.



Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui indirizzare l'attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono riusciti negli anni '80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza dei movimenti del decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti ed indistintamente, la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni erba un fascio, comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e contrapposizioni, così oggi c'è chi intende rispolverare i vecchi arnesi della criminalizzazione preventiva. 

D'altronde la situazione per governi e padroni non è facile: devono far digerire misure sempre più indigeste e in loro cresce la paura di una ribellione sociale. 
Il ferimento di Adinolfi è stato colto al volo per rilanciare, dopo le varie informative dei servizi segreti sul pericolo "anarco-insurrezionalista", l'incombenza della minaccia terroristica di matrice anarchica, collegandolo al malcontento sociale crescente, al movimento NoTav e, in generale, contro ogni forma di opposizione sociale. 
Se l'operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi sempre nuove operazioni repressive. 
In una situazione dove l'aggressione alla qualità della vita della popolazione si sta intensificando, soprattutto nel settore del lavoro dipendente, del precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove ci sarebbe bisogno di tutta la partecipazione, di tutta l'intelligenza e della capacità collettiva per organizzare risposte incisive, promuovere lotte, sviluppare iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle forme autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare inevitabile doversi misurare con chi pensa che un gruppo, un'organizzazione, dura, combattente, clandestina, possa ottenere risultati efficaci, con chi pensa di avere la risposta in tasca. Come il gruppo che ha firmato l'attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare rivendicando la sua appartenenza alla federazione anarchica informale. Soprattutto se l'enfasi mediatica con il quale vengono riportate queste azioni è funzionale al coinvolgimento di tutto il movimento anarchico in un processo di criminalizzazione generale, che ha investito pesantemente anche la Federazione Anarchica Italiana.
Non per caso il testo del nucleo "Olga" viene pubblicato integralmente dal Corriere della sera, che decide in tal modo di fare da megafono alla FAInformale. Viene da chiedersi il perché. La risposta non è difficile. 
Il comunicato, dopo le prime righe sulla questione nucleare, è dedicato alla propaganda: buona parte del documento è un attacco violentissimo al movimento anarchico nelle sue tante componenti. 
Tutti i quotidiani, i GR e i telegiornali dedicano ampio spazio ad un testo in cui si sostiene che gran parte del movimento anarchico fa proprio un anarchismo "ideologico e cinico, svuotato da ogni alito di vita". Non solo. Secondo gli informali gli anarchici impegnati nelle lotte sociali "lavorerebbero per il rafforzamento della democrazia". Ossia per il mantenimento dell'ordine gerarchico. 
Chi legge ha l'impressione che lo scopo reale dell'azione non fosse tanto un monito ai signori dell'atomo, quanto l'ottenere l'audience adatta a far sapere a tutti la propria opinione sul movimento anarchico.
L'azione degli anarchici è descritta come mera attività ludica, "ascoltare musica alternativa" mentre il "nuovo anarchismo" nasce dal gesto di "impugnare la pistola", dalla scelta della "lotta armata".
Il mezzo annebbia a tal punto il fine che i supereroi da cartone animato, che non amano "la retorica violentista ma con piacere" hanno "armato" le proprie mani non si rendono conto che nel nostro paese il nucleare è al momento uscito di scena, grazie alle lotte e ai movimenti popolari. 
Azioni dirette, senza delega, concrete e capaci di mostrare che è possibile prendere in mano il proprio destino, lottare contro i giganti dell'atomo e sconfiggerli, come a Scanzano Jonico e nei blocchi dei trasporti nucleari tra l'Italia e la Francia, dove gli anarchici erano in prima fila. 
Ogni giorno gli anarchici partecipano alle lotte per difesa del territorio e per l'autogoverno, contro i padroni per la realizzazione di margini di autonomia dei lavoratori dalla schiavitù salariata, contro la guerra e le produzioni militari, per una società senza eserciti e frontiere, contro il razzismo, il sessimo, la guerra ai poveri e alle donne. 
Gli anarchici, che subiscono lo sfruttamento e l'oppressione come tutti, a fianco di ogni altro sfruttato ed oppresso, si battono contro lo stato e il capitalismo per creare le condizioni per abbatterli, mirando a spezzare l'ordine materiale e, insieme, quello simbolico, consapevoli che non basta distruggere ma occorre saper costruire. Costruire senza timore che la casa venga abbattuta, sapendo che ogni spazio liberato, anche per pochi momenti, diviene luogo di sperimentazioni dove tanti assaporano il gusto di una libertà che non è astrazione poetica ma concreta edificazione di un ambito politico non statale. 
Azioni che prefigurano sin da ora relazioni politiche e sociali di segno diverso, che non si limitano al "sogno di un'umanità libera dalla schiavitù" perché il percorso di libertà non è un "sogno" ma la scommessa quotidiana dentro le realtà sociali in cui siamo forzati a vivere e che vogliamo contribuire a cambiare. Non da soli. Mai da soli, perché l'umanità è fatta di persone in carne ed ossa, perché agire in nome di un'astratta "umanità" è tipico degli stati, delle religioni, persino del capitalismo che promette senza mantenere benessere e felicità. Non degli anarchici. 
La pratica della libertà attraverso la libertà può essere contagiosa ma non si può certo imporre. 
Gli estensori del comunicato rifuggono il "consenso" e cercano "complicità". Se ne infischiano del fine e pensano solo al mezzo, di fatto rinunciando ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale anarchica. Il loro linguaggio e la loro pratica sono un cocktail di pratica avanguardista e retorica estetizzante. 
Inevitabile che i media dessero loro ampio spazio, seguendo linee interpretative a volte divaricate, altre volte intrecciate. La maggior parte degli organi di informazione ha imbastito teoremi per mettere in relazione le lotte sociali e la FAI informale, in un rapporto quasi simbiotico. 
Gli anarchici sono serrati in una morsa interpretativa: da un lato descritti come "terroristi" o loro tifosi, dall'altro come burocrati inoffensivi.
Una morsa che probabilmente sarà gradita a chi si compiace del gesto, vi si appaga in un'estasi esistenziale in cui il bagliore di un attimo compensa il grigiore di una quotidianità spesa nel silenzio e nell'attesa di un'altra occasione per far salire l'adrenalina. "Per quanto lieve sia questo bagliore – scrivono – la qualità della vita ne sarà sempre arricchita". Tra un pacco postale e una pallottola alle gambe potranno crogiolarsi nella fama di carta che i media pagati da padroni e partiti vorranno regalare loro. 



Al di là dell'uso mediatico dell'attentato ad Adinolfi, resta il dato politico del riproporsi di un avanguardismo armato, che oltre le seduzioni semantiche, ricalca una parabola da partitino autoritario, che culla l'illusione di potersi ergere a guida di quanti giudicano intollerabile il mondo dove viviamo. Non a caso al processo per le cosiddette "nuove BR", persone lontanissime dall'anarchismo hanno manifestato entusiasmo per l'attentato di Genova. È l'apoteosi del mezzo, che non si cura del fine. Una sorta di trasversalità dell'agire colma l'apparente distanza dei progetti. In realtà questa distanza si dissolve allorché questa pratica si sviluppa in opposizione alle lotte sociali, inevitabilmente costrette in quello che il nucleo "Olga" chiama "cittadinismo". Con questo termine bollano le lotte popolari che in questi anni, con crescente radicalità organizzativa hanno più volte messo in difficoltà i governi che si sono succeduti, ledendo gli interessi delle grandi imprese ed inaugurando pratiche di partecipazione certo non anarchiche ma sicuramente lontane dalla triste abitudine alla delega in bianco elettorale. 

Fuori dalle lotte sociali cosa resta? Il partito, null'altro che il partito. Non a caso i fautori della federazione informale si sono dotati di una sigla-contenitore, riducendo il percorso di affinità alla pratica di azioni violente. Prescindiamo dal fatto banale – anche se grave - che in tal modo si offre una sponda ad infinite operazioni repressive basate su reati associativi. Andiamo oltre anche al rischio palese che un giorno o l'altro Stato o fascisti possano usare la sigla per scopi propri, utilizzando la sponda loro ingenuamente offerta. 
Se l'esito è il partito, l'organizzazione che agisce dove altri non agirebbero, l'organizzazione che si pone in lotta privata con lo Stato e i padroni, allora quest'esito conduce direttamente fuori dall'anarchismo. 
L'anarchismo è altrove. L'anarchismo non si impone, ma si propone. Ogni giorno, giorno dopo giorno, nell'auspicio che si fa agire concreto perché gli sfruttati, se vogliono, possono creare le condizioni per fare a meno di chi li sfrutta, perché gli oppressi, se vogliono, possono lottare per liberarsi da chi li opprime. È questione di pratica, di ginnastica della rivoluzione, di sperimentazione del possibile e del desiderabile, di messa in gioco quotidiana. 
Nell'estasi superomista del gesto che appaga, scrivono con disprezzo che per gli anarchici sociali "unica bussola è il codice penale". Scrivono "costi quel che costi": gli anarchici il prezzo lo pagano ogni giorno. Anche, ma non è né un vanto né una lamentela, di fronte ai tribunali, che ci presentano il conto per le lotte cui partecipiamo. 



Gli autori del comunicato usano il termine "federazione" ma riducono il federalismo alla relazione intangibile tra chi si riconosce nella pistola che spara o nel pacco che deflagra, non certo nella volontà di costruire un ambito di relazioni che si impegni a coniugare libertà ed organizzazione. 

I detrattori dell'anarchismo sostengono che è impossibile coniugare libertà e organizzazione, anarchia e organizzazione, poiché identificano l'organizzazione con la gerarchia, con lo Stato, con l'imposizione violenta di un ordine sociale che limita la libertà e trasforma l'uguaglianza in uno scheletro formale senza base materiale. 
I sostenitori della democrazia parlamentare ritengono che la libertà vada limitata, perché, al di là della retorica sul potere popolare, non vedono la libertà come il segno distintivo di un'umanità che si emancipa dalla sottomissione ad un qualsivoglia ordine gerarchico, ma come pericolo da ingabbiare. Per i democratici l'unico modo di regolare i conflitti, la giungla sociale, è nell'imposizione violenta di regole fissate in base al principio di maggioranza. 
Gli esponenti del nucleo Olga adottano la giungla sociale con cui gli Stati giustificano la loro esistenza, come puntello ad un agire per il gusto d'agire, un agire che rifugge con sdegno ogni riflessione sull'etica della responsabilità, sulla necessità morale e politica di costruire strade che tutti possano e vogliano percorrere. Un agire che basta a se stesso, senza alcuna attenzione a coloro, senza i quali, piaccia o non piaccia, si fa la guerra privata allo Stato, non la rivoluzione. Nel loro scritto proclamano "il piacere di aver realizzato pienamente e aver vissuto qui e oggi la ‘nostra' rivoluzione". In questo modo la rivoluzione sociale si riduce ad una pratica autoerotica in club privé. 



L'anarchismo si è sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi azioni ed obiettivi, e sulla responsabilità personale nel perseguirle: esso rimanda sempre alla coscienza degli individui e alla interpretazione del momento storico in cui essi vivono.

L'efficacia dell'azione diretta non viene espressa dal grado di violenza in essa contenuta, quanto piuttosto dalla capacità di indicare una strada praticabile da tutti, di costruire una forza collettiva in grado di ridurre la violenza al minimo livello possibile all'interno del processo di trasformazione rivoluzionaria.
La violenza se eretta a sistema rigenera lo Stato. 



La scommessa degli anarchici organizzatori è quella di costruire ambiti di relazione politica e sociale, che, con il loro stesso esistere, prefigurino relazioni sociali libere, dove il legame organizzativo amplifica la libertà del singolo. L'anarchismo sociale non è permeato da alcuna pretesa che esista la formula definitiva per la società anarchica, ma si interroga e interrogandosi prova a praticare una relazione tra diversi che miri alla sintesi possibile, nel rispetto delle differenze di ciascuno e ciascuna. Siamo consapevoli che solo una società omologata e, quindi, intrinsecamente autoritaria se non totalitaria, può immaginare di espungere il conflitto dalle relazioni sociali: per questa ragione consideriamo l'anarchia un orizzonte costantemente in costruzione, dove la rivoluzione sociale che abolisce la proprietà privata ed elimina il governo, è il primo passo non l'ultimo di un percorso di sperimentazione sociale, che è nostro sin da ora.


I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Italiana riuniti a convegno il 2 e 3 giugno 2012