Pochi anni fa Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles, spulciò tra gli archivi delle Borse di Anversa e Parigi per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia. Il motivo è semplice: nella storia dello stato moderno, di ispirazione giacobina, quella iniziata nel 1861 è l'esperienza più vicina al faticoso tentativo di dare maggiore consistenza e unità politica alla UE, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali (compresi i debiti sovrani) degli stati europei. "Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati" ricordava la studiosa.
Dopo l'invasione del Regno delle Due Sicilie, i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean"). La Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro faticoso di raccolta dati dai database e dagli archivi originali per capire come si sono mosse le quotazioni. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.
La prima cosa che balza agli occhi è lo spread tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo la sedicente Unità: quelli del Regno delle Due Sicilie (pari a un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%).
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno delle Due Sicilie economicamente stava all'Italia come la Germania oggi sta all'Eurozona. "Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto", scriveva la Collet, la quale ricordava che Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia e che le regioni del Sud avevano un'agricoltura fiorente (anche se basata sul latifondismo), una discreta struttura industriale e aree portuali commercialmente importanti.
Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi: esattamente lo stesso timore che oggi la Germania vive con gli eurobond. Nel 1862, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che la sedicente Unità era ormai irreversibile. "L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa" affermava Collet, prima di concludere il proprio lavoro e dimostrare, ancora una volta, quanto il Regno delle Due Sicilie fosse, nel confronto con l'Europa di oggi, "la Germania d'Italia".
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