Siete tutti tipi oscuri.
Voi che amate Jep Gambardella, mentre lui vi schifa a morte.
Voi che vorreste imitarne gli atteggiamenti, rischiando solo di esserne una stinta parodia.
Voi che vi vantate di immedesimarvi in lui, quando in realtà conducete vite penose.
Voi. Dico a voi. Siete tutti tipi oscuri.
La Grande Bellezza ha vinto l'Oscar. Quindi è un capolavoro? No. L'equazione non è matematica. La Grande Bellezza è un gradino sotto al capolavoro, ma è cento gradini sopra la qualità media dei film italiani contemporanei. La Grande Bellezza è ambientata a Roma, capitale in disfacimento di uno Stato ormai decomposto. Alcova di prìncipi senza nobiltà e di mignottume senza ritegno. Ritrovo di pseudo-artisti e di mestieranti infarciti di droga e inutilità.
La Grande Bellezza è un film lento, come lenta è la vita della classe dirigente di questa sottospecie di Paese: gentaglia che va a dormire quando noi ci alziamo per andare a lavorare, a produrre, a riempire i loro portafogli e i loro conti in banca.
Se Foucault voleva scrivere un romanzo sul Nulla, Paolo Sorrentino è riuscito a fare un film sulla Nullità, umana e subumana, di una Roma paradigmatica.
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