venerdì 23 maggio 2014

Ce lo chiede l'Europa. Vota NESSUNO



Documento astensionista della rete comunista Noi saremo Tutto in vista delle elezioni europee.

Il 25 maggio in Europa si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Si tratta di un organismo politico che si affianca ad un’altra serie di strutture decisionali dell’Europa. Il suo ruolo politico è presunto: fino ad oggi il Parlamento Europeo ha votato l’ottanta per cento delle proprie delibere all’unanimità per avere un maggior peso di contrattazione rispetto alla Commissione Europea e al Consiglio Europeo. Da anni il Parlamento Europeo è governato da una alleanza ferrea tra i partiti di centro e il Partito Socialista Europeo. Anche questa volta tutti gli analisti prevedono che si formerà una alleanza tra il centro destra rappresentato dal Partito Popolare Europeo e il Partito Socialista Europeo. In questo senso, le elezioni europee sono già finite. Il terzo posto si giocherà tra la sinistra europea e le destre che stanno recuperando consensi in tutta Europa, a partire dalla Francia di Marine Le Pen. Ma il vero risultato politico delle elezioni sarà un astensionismo molto elevato, al di là di qualsiasi proposta politica. Sarà un dato con cui occorrerà confrontarsi.

Non vogliamo con questo sostenere che i risultati saranno ininfluenti nel processo politico europeo. Siamo consci infatti che una vittoria del Front National in Francia, per fare un esempio, porterebbe ad una accelerazione non secondaria del processo di integrazione europea, pena il suo fallimento, e quindi allo sviluppo di contraddizioni significative all’interno del rapporto tra classe politica europeista francese e la sua popolazione, molto maggiori della precedente bocciatura della costituzione europa per via referendaria su cui il maggiore sindacato francese CGT si spese allora pubblicamente contro.

Il Parlamento Europeo è un ente sostanzialmente privo di capacità politiche reali: è la giustificazione “democratica” di un processo politico i cui contorni non sono ancora del tutto chiarificati a causa delle resistenze all’interno delle frazioni politiche in alcuni stati. La costruzione di quel che chiamiamo “blocco imperialista europeo” è infatti un processo in fieri, evidente ma non del tutto lineare a causa delle resistenze di alcuni settori sociali all’interno dei singoli paesi.

Il processo di riunificazione infatti ha avuto numerose conseguenze sugli strati sociali europei; queste conseguenze sono diventate evidenti e drammatiche dopo l’emergere dell’ultima ondata della crisi economica.

Il disastro sociale dei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) è sotto i riflettori di tutti. Il processo ha avuto una chiarificazione evidente soprattutto in Grecia, anche in conseguenza della resistenza del popolo ellenico.

In realtà il processo di integrazione europeo va avanti da anni a forza di ristrutturazioni sociali che non cominciano con l’euro ma sono state forzate dall’introduzione della moneta unica e dall’abbandono della sovranità monetaria. E’ un processo il cui ruolo guida spetta alla Germania. L’invadenza dei trattati europei (da Maastricht in poi) sulla vita dei cittadini e dei lavoratori si compone di manovre che portano a disastri salariali, precarietà, privatizzazione, dismissione del welfare sociale europeo. Le ricadute sono in grandissima percentuale a carico dei lavoratori salariati e dei giovani, ma colpiscono duramente anche alcuni settori perdenti della borghesia (piccole imprese, commercianti). Per essere applicate hanno bisogno di un consenso generale: dalla Commissione Europea arrivano le direttive, che Parlamento Europeo e Consiglio non potranno che avallare e che i governi nazionali applicano o riversano sugli enti locali. In tutto questo meccanismo nessun ingranaggio deve saltare, tutta la politica è forzata all’interno di uno schema predefinito.

In maniera forse troppo schematica, ma sicuramente attinente alla realtà, si può definire il processo europeo come una ristrutturazione neoliberale a carico dei lavoratori con ricadute su una parte di borghesia perdente. All’interno dei singoli stati europei si rimodellano quindi le alleanze favorendo l’unità tra le forze politiche che rappresentano gli interessi del capitale che ha tutto da guadagnare da una guida tedesca (in Italia questa frazione politica ha come perno il PD con i suoi alleati) e le forze della borghesia perdente che lasciano trapelare una crescente insoddisfazione verso la struttura dell’Europa (in Italia queste forze vengono rappresentate dalla destra berlusconiana e post fascista). I colpiti dal progetto di integrazione trovano spesso sponda solo nel populismo che anche quando riprende giuste rivendicazioni sociali o si muove in un’ottica interclassista (movimento 5 stelle) oppure razzista o reazionaria (Lega Nord, destre neofasciste europee).

In questo quadro la sinistra europea (con alcune differenze nei vari paesi) ripete sostanzialmente un ritornello sganciato da ogni realtà. L’Europa dei popoli è un progetto che, se è mai stato nella testa di qualche pensatore, non ha nessuna possibilità di essere perseguito all’interno di una cornice che in questi anni si è chiarita definitivamente.

Le privatizzazioni, le delocalizzazioni nei paesi a basso costo del lavoro, le ristrutturazioni salariali, le diminuzioni delle tutele e delle garanzie dei lavoratori, il mantenimento di un enorme esercito industriale di riserva, non sono un passaggio temporaneo dovuto alla prevalenza di alcune forze di destra neoliberale, ma sono insite nel processo di integrazione stesso. In questo senso non si darà alcun avanzamento delle classi sociali subalterne senza la rottura di quella che abbiamo definito la gabbia dell’Unione Europea.

Su questo tema, non siamo isolati, in quanto molte forze sociali antagoniste e comuniste cominciano a fare i conti con questa realtà. Stupisce però come tutto questo ragionamento venga espulso dal dibattito politico sulle elezioni, ridotte a mero teatrino in cui tutti gli attori recitano una parte che espelle dalla discussione la natura del processo che si vorrebbe influenzare con le elezioni. Basti pensare all’omissione della questione Ucraina, quando in realtà, una delle partite più importanti sul futuro dell’Europa si gioca su quel territorio e dove, dopo le elezioni, potrebbe diventare all’ordine del giorno un più risoluto intervento militare.

Tutto questo con particolare evidenza in Italia dove nessuno, nella sinistra, analizza il ruolo guida del Partito Democratico in questo processo e dove il malcontento sociale si riversa in forze lontane anni luce dal movimento operaio e comunista.

In questo senso la scelta dell’astensionismo attivo per noi è uno strumento politico e di chiarificazione. Il ruolo dei comunisti non può prescindere da una analisi strutturale dei compiti da svolgere e dall’individuazione dei soggetti sociali che si intende rappresentare. Non si tratta di una scelta dogmatica, ma di una scelta di campo necessaria all’interno di uno sforzo ineludibile per la ricostruzione di un soggetto politico anticapitalista che non potrà uscire dall’unione di ceti politici residuali e pezzi di borghesia intellettuale, ma solo dalla chiarezza degli obiettivi e dall’individuazione delle forme organizzative in cui muoversi nell’attuale fase politica.
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