giovedì 22 maggio 2014

Il fallimento della tessera del tifoso



Pubblicato su Pagina99.it un interessantissimo articolo, a firma Luca Manes, in cui viene dimostrato il clamoroso e storico fallimento della famigerata Tessera del Tifoso, che non ha allontanato i violenti dal calcio ed ha solo favorito l'allontanamento degli sportivi (stadi vuoti, militarizzazione delle zone vicino agli stadi, caro biglietti, ecc...). Gli unici a rimanere con la schiena dritta, mentre tutto andava in rovina? Gli Ultras, con tutti i loro limiti e le loro contraddizioni.

“Penso che la tessera del tifoso abbia fatto il suo tempo. Negli ultimi anni, salvo una leggera, recente, inversione di tendenza, c'è stato un sensibile decremento delle presenze negli stadi. Occorre rivisitare completamente i rapporti tra calcio e tifosi”. In questi termini netti e definitivi si è espresso il presidente del Coni Giovanni Malagò in un'intervista concessa all'inizio del 2014 al mensile della Polizia di Stato. Una sonante bocciatura, una quasi totale sconfessione della linea imposta dal ministro degli Interni Roberto Maroni nella seconda metà del 2009 e introdotta nella stagione 2010-11. Il problema, sempre secondo Malagò, è che per colpa “di poche persone ci sia una forte penalizzazione, in termini di complessità procedurali e burocratiche, a danno di un'intera comunità”. Concetto ribadito poche settimane fa, quando il capo dello sport italiano manifestò tutto il suo sdegno alla notizia che a Bergamo era stato negato l'accesso allo stadio a due bimbetti perché sprovvisti della tessera, in possesso invece del loro babbo che li accompagnava.

E proprio qui sta uno dei punti dolenti dello strumento: dopo uno dei tanti nadir del football nostrano, l'uccisione dell'ispettore Filippo Raciti durante gli scontri in occasione del derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007, con la tessera si voleva provare a isolare i violenti e a far tornare le famiglie nelle arene calcistiche italiane. Gli stadi, si disse all'epoca, si sarebbero di nuovo riempiti dopo anni di magre – per la verità causate non solo dalle intemperanze degli ultras. I dati hanno da subito smentito Maroni e il suo entourage. Se nell'ultima stagione senza tessera, la 2009-10, l'affluenza totale in Serie A fu di circa nove milioni e 200mila spettatori, con una media per match di 25.570 unità, nella scorsa stagione si è scesi a otto milioni e 400mila, per un dato a partita di 24.655 tifosi. Il 2013-14, che ormai sta chiudendo i battenti, dovrebbe presentare un leggero incremento, ma siamo ben lontani dai livelli dell'età dell'oro del calcio italiano. Se ci spostiamo in Serie B le cose vanno ancora peggio: 5mila spettatori a partita sono veramente pochini, soprattutto se paragonati agli oltre 17mila della serie cadetta inglese, tanto per volgere lo sguardo oltre confine. Ma d'altronde, sempre rimanendo nell'ambito dei principali campionati continentali, si nota che nella classifica delle dieci squadre con maggior seguito allo stadio non ne compare nemmeno una del Bel Paese, ma tante inglesi, spagnole e tedesche. Eppure l'Olimpico e San Siro, che ospitano squadre di primo piano del nostro calcio, hanno capienze intorno agli 80mila posti.

“Noi lo avevamo detto sei anni fa che la tessera non sarebbe servita a nulla, ma anzi avrebbe solo creato problemi alla stragrande maggioranza dei tifosi che si recavano allo stadio, in casa o in trasferta, per seguire la propria squadra del cuore” ha dichiarato a pagina99 l'avvocato Lorenzo Contucci, da anni in prima fila per la tutela dei diritti dei tifosi. Tuttavia Contucci non è troppo ottimista sugli sviluppi futuri. “Temo che possa cambiare ben poco e che gli annosi problemi del calcio italiani continueranno a non essere risolti”.

Probabile che qualche novità sul fronte governativo si materializzerà dopo le elezioni europee, quando anche i fatti della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina avranno abbandonato le prime pagine dei giornali.

Ma per quali ragioni la tessera del tifoso è stata percepita come uno strumento vessatorio, e non solo dalla eterogenea galassia degli ultras? In primis perché di fatto rappresentava una schedatura di massa, dal momento che viene rilasciata solo dopo il nulla osta da parte della questura di competenza – che la nega a persone soggette a Daspo in corso o che hanno ricevuto condanne per reati da stadio negli ultimi 5 anni. Senza la tessera, almeno inizialmente, non si aveva la possibilità di andare in trasferta o di acquistare abbonamenti. Oltre a uno strumento volto a garantire maggiore sicurezza negli stadi, agli occhi di tanti appassionati la creatura di Maroni è sembrata un enorme favore fatto ai club, che per fidelizzare i loro “tifosi-clienti” vendevano loro una carta di debito ricaricabile affidandosi ai principali circuiti bancari e alla Lottomatica. Sebbene poi anche su questo versante non tutto sia funzionato al meglio. 

“Ho vari amici e parenti che hanno ricevuto la tessera dopo un anno, con tutti i problemi che questo ha comportato”, ci ha raccontato Gianmarco Pirozzi, supporter del Napoli. I ritardi, che il club partenopeo addebita alla piattaforma scelta, la Postpay, in alcune occasioni hanno impedito l'acquisto dei biglietti, ma più spesso hanno causato problemi a chi seguiva la squadra lontano dal San Paolo. Una volta presentatisi ai tornelli sì con il biglietto, ma solo con la richiesta della tessera, i tifosi andavano incontro a infinite polemiche con gli steward e fastidiose lungaggini varie. E quello quello del Napoli non era un caso isolato.

Come se non bastasse, il 14 dicembre 2011 il Consiglio di Stato ha accolto un ricorso presentato dal Codacons e ha dichiarato illegittimo l'abbinamento obbligatorio della tessera con l'acquisto di carte di credito elettroniche, di fatto limitandone il potenziale commerciale. 

Insomma, le prime crepe si sono notate abbastanza presto, ma a scardinare in maniera forse definitiva il “sistema tessera” è stata la nuova Roma targata Usa. Nel marzo 2013, ha ottenuto il permesso dal Viminale di introdurre la sua fidelity card slegata da controlli e schedature, ma con gli stessi requisiti di emissione previsti per la tessera (quindi si può rilasciare solo ai tifosi “per bene”). Un esempio seguito da diverse società: Napoli, Fiorentina, Genoa, Parma, Bologna e Lazio. Come strutturata, la fidelity card è subito apparsa un prodotto più vicino alle membership delle squadre inglesi, che afferiscono solo al rapporto club-tifoso, lasciando fuori lo Stato. 

A Cesena, come ci ha spiegato Roberto Checchia, presidente del coordinamento dei club di supporter del team romagnolo, si è arrivati addirittura a dare la gestione diretta della tessera ai tifosi. “Insieme a Te”, lanciata lo scorso luglio, è anche essa svincolata dai circuiti bancari e dal vaglio preventivo della questura. Serve solo l'ok del Centro Elettronico Nazionale di Napoli, che controlla se i richiedenti siano soggetti a Daspo o abbiano ricevuto condanne per reati da stadio. “Nella prima stagione le cose sono andate bene, abbiamo emesso oltre 1.500 tessere e le persone si sono dette molto soddisfatte di questa nuova esperienza” afferma Checchia entusiasta.

Certo, il ministero degli Interni, tramite l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, poteva sempre vietare le trasferte ai possessori delle nuove fidelity card. Ma lo stesso è accaduto in varie occasioni anche per chi aveva la tessera. Un altro dei tanti corto circuiti dello schema ideato dall'attuale governatore della regione Lombardia, il quale avrebbe “clonato” in malo modo un progetto già esistente. Ovvero la Carta del tifoso, ideata dall'imprenditore italo-inglese Anthony Weatherill. Dopo Calciopoli, altra pagina tristissima del football made in Italy, e la tragica scomparsa dell'ispettore Raciti, a Weatherill venne in mente che fosse indispensabile un mezzo per rinfocolare la passione dei normali fruitori del fenomeno calcio, non più visti unicamente come clienti da spremere, ma quali soggetti attivi e con voce in capitolo. “Lo sport reca in sé un insieme di valori molto alti, che dovrebbero essere presi ad esempio nel mondo attuale e che invece sono ignorati, o ancor peggio calpestati” ci ha detto Weatherill. 

“Il progetto Carta serviva a conservare questi elementi di grande rilievo, tuttavia le istituzioni sportive, che avrebbero dovuto apprezzare una tale iniziativa, hanno finito per stravolgere una pratica sportiva ultracentenaria. Se si vuole risolvere veramente i problemi del calcio bisogna ripartire dal rispetto dei valori da parte di tutti quelli che hanno a che fare con lo sport, nessuno escluso” ha aggiunto Weatherill, che ci ha illustrato come con il suo progetto sarebbero stati i tifosi a riempire di contenuti e servizi la carta, in base alle proprie esigenze. “Tutto sarebbe nato dal basso, e non calato dall’alto come è accaduto nell'ultimo periodo”, ha concluso l'imprenditore, profondamente deluso dallo “scippo subito” (per il quale è ricorso alle vie legali) e per come siano andate le cose in questi anni nel football nostrano. E non è l'unico. 
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