lunedì 8 novembre 2010

Pompei: specchio di un paese che crolla.




“Un crollo di questa portata, purtroppo, è il naturale risultato di almeno dieci anni di incuria gestionale da parte della sovrintendenza. Io sono stato sovrintendente per troppo poco tempo, non ho avuto il tempo di fare ciò che avrei voluto, ma non intendo fare polemica, quel che è accaduto è grave”. Antonio De Simone, docente di Archeologia presso l’Università Suor Orso-la Benincasa di Napoli, socio onorario dell’Associazione nazionale archeologi, tra i massimi esperti in campo internazionale dell’archeologia dell’area vesuviana, appreso del crollo della Domus dei Gladiatori, non nasconde un amaro fatalismo: “Si tratta di episodi che non sono certo la regola, ma nemmeno una rarità”.

Professor De Simone, che cosa abbiamo perso?

La Domus dei Gladiatori è una delle tante abitazioni di Pompei che, come tutti sappiamo, è una vera città, non un semplice sito archeologico. Ad essere sinceri, non è uno dei punti di maggior interesse, nel senso che non si va a Pompei per vedere proprio quella cosa lì. Tuttavia è – o meglio, era – un tassello importante del disegno urbano della città, perché stiamo parlando di un isolato ad angolo retto che si affaccia su via dell’Abbondanza, la principale arteria di Pompei. Dunque, nel disegno complessivo, è un danno indubbiamente molto grave.

Un danno irrecuperabile?

Non saprei, dovrei vedere con i miei occhi. Di certo, quando crolla un pezzo di patrimonio artistico, cercare di ricostruire – per quanto possibile – è un obbligo morale. Pensiamo, ad esempio, al portico della chiesa di San Giorgio al Velabro a Roma: la bomba mafiosa del 28 luglio 1993 l’aveva quasi completamente distrutto, ma per fortuna siamo riusciti a ricostruirlo. Per Pompei deve valere la stessa cosa. Si tenga conto che la Domus dei Gladiatori fu già gravemente danneggiata durante la Seconda guerra mondiale, perché i caccia alleati, di ritorno dalle incursioni su Napoli, avevano l’esigenza di liberare il carico prima di rientrare alla base e purtroppo qualche bomba cadde anche su Pompei. Ma tutto fu prontamente restaurato, dipinti compresi.

Il tetto fu ricostruito in cemento armato. È normale sistemare – e mantenere – un carico simile su un edificio di quasi duemila anni?

Non si tratta di un intervento anomalo, diciamo che è una tecnica sorpassata, come tante altre. Al Partenone di Atene, per fare un esempio, stanno sputando sangue per eliminare i ferri inseriti nelle colonne. Negli anni ‘20 del secolo scorso, era normale intervenire con il cemento armato, che era considerato non solo utile dal punto di vista conservativo, ma anche di pregio. Ora si cerca di toglierlo; ma la Domus non è crollata per il peso del cemento armato, è collassata per una banalissima carenza di manutenzione ordinaria: il soffitto non impermeabilizzato, dunque infiltrato d’acqua, e l’incuria cui sono stati abbandonati i muri, il peso del cemento armato non c’entra.

L’incuria è una conseguenza della mancanza di risorse?

Le risorse sono fondamentali e non c’è dubbio che siano carenti. Ma prima delle risorse vengono le idee, e se le idee sono buone camminano con le loro gambe. È necessario por mano a un restauro complessivo della città, intesa come unicum. Ma non si può fare tutto e subito, ci vogliono tempo e programmazione, partendo dalla consapevolezza che la città antica è un organismo debole e un intervento conservativo complessivo non può durare pochi mesi o qualche anno, ma deve essere programmato sul lungo periodo, con risorse scaglionate per periodi brevi. Se fossi l’amministratore e mi dessero tutti i soldi in una volta, li darei indietro, perché rischierei di spenderli in fretta e male. Bisogna agire per gradi, anche perchè Pompei è un luogo aperto al pubblico e non avrebbe senso chiuderlo per cinque, sei anni di fila.

Quando costerebbe un intervento conservativo efficiente?

Credo che per un intervento davvero serio servirebbe una cifra non inferiore ai 500 milioni di euro, spalmati su 20-25 anni di operazioni mirate. Se qualcuno pensa che siano troppi, è sufficiente ricordare che 500 milioni sono una cifra risibile in confronto ai costi di una linea ferrovia-ria ad alta velocità o di qualche decina di chilometri di una normale autostrada.

Se Pompei cade a pezzi è anche colpa della politica?

Sicuramente è un problema politico, ma soprattutto culturale. Il patrimonio artistico è la risorsa più importante del nostro territorio, lasciar-lo deperire è semplicemente delittuoso, oltre che stupido. Tuttavia, quello che accade al patrimonio artistico italiano è, purtroppo, lo specchio di quello che è il nostro Paese. La riforma dell’Università funziona? La riforma (o supposta tale) della Giustizia che si vuole è quella giusta? In Italia sta andando tutto a rotoli, perché i beni culturali dovrebbero fare eccezione?

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