domenica 2 gennaio 2011

Il derby che seppellì la tessera del tifoso




Il caso della partita Lecce-Bari rischia di smascherare le falle del provvedimento di Maroni per arginare la violenza negli stadi. Così il ministro dell'Interno chiede alle autorità pugliesi di rivedere la loro decisione di far giocare l'incontro a porte chiuse
Il prefetto di Lecce tira, il ministro dell’Interno respinge d’istinto. E rilancia l’azione. Se fosse calcio giocato, potrebbe riassumersi così il botta e risposta tra Mario Tafaro e Roberto Maroni in merito alla decisione di far giocare a porte chiuse il derby pugliese di Serie A tra Lecce e Bari, in programma il 6 dicembre nel capoluogo salentino. Una partita sentita (e quindi ad alto rischio incidenti), un appuntamento che le tifoserie aspettano sin dalla stesura del calendario 2010-2011 (nella massima Serie le due squadre non di affrontano dal 31 marzo 2001), alcuni precedenti non beneauguranti (disordini nel 2008 e 2000), due relazioni delle Questure a segnalare movimenti sospetti delle opposte fazioni ultras: tutti sintomi che hanno spinto il Prefetto di Lecce a ritenere troppo alto il pericolo per l’incolumità pubblica.

Da qui la decisione, comunque dolorosa: far disputare la gara senza gente sugli spalti. Mario Tafaro, però, non aveva fatto i conti con il ministro dell’Interno, il padre putativo della tessera del tifoso. Per Maroni, infatti, il derby pugliese a porte chiuse rappresenterebbe la sconfitta più amara per la sua adorata creatura, che in estate ha provocato l’ira delle tifoserie organizzate ma che, nonostante qualche falla normativa, i suoi frutti li stava dando. E così il ministro è passato al contrattacco, prima dichiarandosi perplesso per la scelta del Prefetto, poi annunciando di volerlo ascoltare per comprendere i motivi della sua presa di posizione e, dulcis in fundo, rimettendo la palla in gioco. Come? Chiedendo alle autorità pugliesi di riunirsi per rivedere la decisione. L’appuntamento è già stato fissato: il 3 gennaio i Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica di Bari e Lecce si incontreranno nel capoluogo regionale per fare una nuova valutazione in merito alla possibilità di far giocare la partita a porte aperte (o almeno parzialmente chiuse). La morale della favola è come il famoso bicchiere dell’ottimismo: mezzo pieno per Maroni e per i tifosi – che vedono aprirsi uno spiraglio – , mezzo vuoto per gli addetti alla sicurezza, che avevano analizzato con cura quanto riferito loro dalle Questure. Secondo quella di Bari, nelle ultime tre settimane i supporters biancorossi avrebbero sottoscritto tra le cinquemila e le seimila tessere del tifoso appositamente per assistere alla sfida del Via del Mare, con il rischio concreto di un maxi esodo di quasi sedicimila unità.

Non solo. A quanto pare, le frange più violente del tifo di Bari avrebbero programmato un appuntamento per il 5 gennaio nella pineta di Torre dell’Orso per organizzare una spedizione punitiva di massa nel centro di Lecce. La notizia, però, non sarebbe stata troppo segreta, visto che nel capoluogo salentino gli ultras avrebbero già messo a punto le contromisure. Per chi deve garantire la sicurezza il rischio era solo uno: un pomeriggio di guerriglia urbana e ordinaria follia. Da qui la decisione di chiudere lo stadio, esigenza che anche ieri dalla Prefettura di Lecce hanno continuato a difendere, nonostante la discesa in campo di Maroni e le rimostranze dei sindaci delle due città (Michele Emiliano se l’è presa con Alfredo Mantovano, che dopo gli incidente del 2008 aveva promesso che i tifosi del Bari non sarebbero andati a Lecce per molto tempo). Insomma, nella guerra tra poteri e a prescindere da come andrà a finire, chi ci ha perso è solo l’immagine del calcio italiano.

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