sabato 12 marzo 2011

Il mio inno nazionale

In occasione delle celebrazione per i 150 anni della malaunità italiana, avvenuta a seguito dell'invasione del Regno delle Due Sicilie, la giornata del 17 marzo sarà colma di avvenimenti in cui si sventoleranno drappi tricolorati e in cui si canterò l'Inno di Mameli.
La sera del 17, inoltre, la RAI proporrà uno speciale riguardante la rappresentazione dell'opera verdiana IL NABUCCO, il cui celeberrimo canto ("Va' pensiero") è usato strumentalmente dalla Lega Nord come inno nazionale della pantomatica, sedicente e mai esistita Padania.
Il canto di Verdi, un patriota col cui nome era possibile comporre l'arconimo di Vittorio Emanuele Re Di Italia, usato come inno nazionale da un partito politico che ha inventato un popolo ed una nazione autonomi dall'Italia. Mah.


Per quei tanti napoletani e meridionali che, dopo 150 anni di violenze fisiche e culturali, ormai ingorano quasi del tutto la storia della loro Terra e del loro Popolo, propongo qui due versione del nostro UNICO E SOLO inno nazionale.
La prima versione è cantata:



La seconda versione è solo strumentale:



Come tutti i simboli nazionali, l’inno dovrebbe rappresentare la sintesi della storia, della cultura, dell’identità e del genio di un popolo. Tale era appunto l’Inno del Re, commissionato nel 1787 da Ferdinando IV di Borbone a Giovanni Paisiello e adottato come Inno del Regno delle Due Sicilie nel 1816. Come altri frammenti preziosi dell’identità meridionale, l’Inno di Paisiello era quasi introvabile e soprattutto ne mancava una versione completa delle parole.

Letteralmente scomparso dopo la conquista del Regno, nel corso degli anni l’Inno del Re è stato persino oggetto di disinformazione storica, quando ne fu messa in discussione la paternità, confondendo Paisiello con Cimarosa.

Il 14 febbraio 1861, sugli spalti di Gaeta, risuonarono per l’ultima volta le note dell’Inno di Paisiello, solenne ma mesto saluto al re Francesco II e alla regina Maria Sofia che si imbarcavano sul legno francese “Mouette” verso l’esilio. Da quel momento, dopo la conquista armata e la nascita del nuovo Stato, la fanfara reale dei Savoia, scritta da Giuseppe Gabetti nel 1831, fu elevata al rango di inno nazionale, in linea con quell’opera di piemontesizzazione operata in maniera tanto grossolana quanto capillare. Essa rimase in vigore fino al 1943, anche se, a partire dal 1922, venne affiancata dall'inno del partito nazionale fascista, “Giovinezza”, nelle esecuzioni pubbliche.Il 12 ottobre 1946, con l’avvento della Repubblica e l’esilio di Umberto II di Savoia, la marcia piemontese fu sostituita dal “Canto degli Italiani” come inno della Repubblica Italiana. Musicato da Michele Novaro su parole del mazziniano Goffredo Mameli, fu composto nel 1847 per celebrare il centenario della cacciata degli Austriaci da Genova. L’inno, più conosciuto come Fratelli d’Italia, fu scelto tra diverse proposte, alcune delle quali di maggiore valore musicale e poetico, perché esso sintetizzava sia la continuità con lo spirito risorgimentale sia l’ispirazione repubblicana. Curiosamente, nella Costituzione Italiana, mentre si indica il tricolore come bandiera nazionale, non si fa cenno all’inno di Mameli tra i simboli dello Stato.

“L’ Inno del Re”, di Paisiello fu ritrovato in un fondo di spartiti appartenuti alla famiglia del Principe Folco Ruffo di Palazzolo (1801-1848), che fu ambasciatore delle Due Sicilie a Torino ed in Svizzera. Il breve testo veniva eseguito durante le cerimonie di rappresentanza:

Iddio conservi il Re
per lunga e lunga età
come nel cor ci sta
viva (Fernando) il Re!

Iddio lo serbi al duplice
trono dei Padri suoi
Iddio lo serbi a noi!
viva (Fernando) il Re!

Il nome riportato nel testo, cambiava ogni volta che veniva incoronato un nuovo sovrano. Questa riportata è la prima versione dell'inno, dove "Fernando" fa riferimento al Regno di Ferdinando I delle Due Sicilie. La seconda strofa fa intendere che l'inno è stato composto prima della formazione del Regno delle Due Sicilie (1816), quando i due regni (serbì al duplice trono) erano separati in Regno di Napoli e Regno di Sicilia. La partitura prevede l’esecuzione con due parti di canto: soprano e basso, mentre gli strumenti utilizzati sono: flauti, clarinetti in do, oboi, corni in fa, trombe in do, fagotto e serpentone.
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