lunedì 2 gennaio 2012

Tre strade senza uscita






Il governo ha annunciato di voler uscire dalla giungla dei contratti di lavoro precari. In Italia ve ne sono circa quaranta: dal job on call al contratto al progetto al job sharing. Dopo il dietrofront sull'articolo 18, il ministro Fornero si trova sul piatto tre proposte, tutte partorite da esponenti della sinistra istituzionale: il giuslavorista Pietro Ichino, gli economisti Boeri e Garibaldi, l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano.

La "proposta Ichino" prevede l'applicazione ai soli neoassunti di un contratto a tempo indeterminato, che però consenta il licenziamento senza giusta causa (quindi derogando dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) per motivi "economici, tecnici e organizzativi". Se il lavoratore viene licenziato, avrà diritto a 3 anni di disoccupazione, pagata in buona parte dall'azienda licenziante: 90% dell'ultima retribuzione il primo anno, 80% il secondo anno, 70 % il terzo.
Perchè la "proposta Ichino" non convince? Perchè, consentendo i licenziamenti anche senza giusta causa (eccezion fatta per quelli discriminatori), rende de facto inefficace il carattere "indeterminato" del contratto di lavoro. Cosa impedirebbe, ad esempio, ad un datore di lavoro di licenziare una donna incinta e sostituirla "per motivi organizzativi"?

Veniamo alla "proposta Boeri-Garibaldi": essa prevede un contratto unico a tempo indeterminato con una fase di inserimento di 3 anni, durante i quali è possibile licenziare senza obbligo di reintegro. E' sicuramente un passo in avanti rispetto alla proposta Ichino, ma non risolve un problema frequentissimo: come impedire ad un datore di lavoro di licenziare allo scadere dei 3 anni un lavoratore e poi assumerne un altro più giovane con le stesse mansioni o addirittura lo stesso lavoratore a distanza di qualche settimana?

Stesso discorso facciasi per la "proposta Damiano", molto simile a quella di Boeri e di Garibaldi: un contratto unico di inserimento formativo, della durata di 3 anni durante i queli è possibile essere licenziati anche senza giusta causa, che poi sfocia in un contratto a tempo indeterminato, a cui si applica l'articolo 18 se si tratta di un'azienda con più di 15 dipendenti. Cosa impedisce ad un datore di lavoro di licenziare e riassumere, a distanza di breve tempo, lo stesso lavoratore? Inoltre: il datore non dovrebbe motivare la mancata assunzione a tempo indeterminato del lavoratore dopo i tre anni di prova, indicando un giustificato motivo per cui non si può procedere alla stabilizzazione?

Tre strade, dicevamo. Non identiche: sicuramente una è preferibile all'altra. L'obiettivo, però, di ridurre o eliminare la precarietà, insieme all'abuso indiscriminato e talvolta ricattatorio da parte dei datori di lavoro della flessibilità, pare ancora molto lontano.

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