martedì 15 maggio 2012

Quello che (non) ho merita un applauso. E basta.

Un altro Spigolo Indipendente:




La televisione italiana offre raramente programmi di qualità in prima serata. Trasmissioni che sappiano intrattenere facendo riflettere gli ascoltatori, che una volta tanto sono trattati da cittadini. L'Agorà televisivo messo su da Saviano e Fazio (guarda caso, gli UNICI capace di fare questo tipo di televisione in Italia), andato in onda su La7, assomiglia spesso al londinese Speakers' Corner di Hyde Park: vari personaggi scelgono una parola ed esprimono la loro opinione.

Uno splendido esercizio di oratoria, con una punta di retorica, che manca del ritmo della dialettica.

Si, perchè se c'è una pecca in Quello che (non) ho è proprio la mancanza di ritmo, l'eccessiva monotonia che fa da contraltare allo splendido blues di Quello che (non) ho, intesa come canzone di Fabrizio De Andrè.
E' sempre piacevole ascoltare attori, giornalisti, scrittori, uomini di spettacolo dissertare sui significati di una parola, che assume spesso i connotati di un valore e/o di un ideale. Il problema è che dopo un'ora di trasmissione già si capisce come saranno le successive due: qualcuno entrerà, dirà una parola ("freddo", ad esempio) e leggerà una riflessione sulla stessa. E questo si ripeterà ad libitum.
Serviva un programma del genere? Assolutamente si! Questo, però, dovrebbe farci riflettere su quanto povere siano diventate le nostre vite, se abbiamo bisogno di un programma televisivo per riflettere sui significati delle parole. Forse siamo troppo abituati, per non dire anestetizzati, alla televisione dei talk show e dei reality, al sensazionalismo e dal voyerismo gossipparo. Un dubbio ci viene: ma uoi vedere che non è la tv ad essere specchio della società, ma esattamente il contrario?
Se così fosse, applaudiamo Quello che (non) ho. Ma non rallegriamoci troppo.

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