venerdì 22 luglio 2011

D.d.L. dei senatori meridionali




DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

d’iniziativa dei senatori POLI BORTONE, VIESPOLI, CASTIGLIONE, CARDIELLO, CARRARA, MENARDI, PALMIZIO, PISCITELLI, SAIA, CHIAROMONTE e PETERLINI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 GIUGNO 2011

Modifiche alla Costituzione in materia di istituzione del Senato delle autonomie, riduzione del numero dei Parlamentari, soppressione delle province, delle città metropolitane e dei comuni sotto i 5000 abitanti, nonché perfezionamento della riforma sul federalismo fiscale
Il presente disegno di legge prevede l’istituzione del Senato delle autonomie, la cancellazione del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, la soppressione delle province e dei comuni sotto i 5000 abitanti ed il perfezionamento della riforma del federalismo fiscale.

Per quanto riguarda il primo profilo, una delle questioni di cui si è molto discusso è la trasformazione di una delle Camere (il Senato) in un’assemblea effettivamente rappresentativa dei territori. Si continua a sostenere, infatti, che una Camera deve avere connotati territoriali e questo sembra il momento più opportuno per attuare tale riforma, pur nel contesto della semplificazione del sistema. Il Senato delle autonomie, a nostro avviso, risponde pienamente a queste esigenze in quanto è espressione del suffragio espresso dai consiglieri comunali eletti in ciascuna regione e di un rappresentante designato da ciascun presidente di regione. Questa soluzione, che a nostro parere fotografa al meglio l’attuale fase di sviluppo del sistema autonomistico italiano, va inquadrata nella funzione stessa che ricoprirà il Senato delle autonomie.
È giunto il momento, infatti, di eliminare il bicameralismo perfetto il quale, se aveva ragion d’essere all’indomani del varo della Costituzione quando al Paese serviva una maggiore coesione sui valori costituzionali approvati dai Padri costituenti, oggi tende ad essere un elemento di freno allo sviluppo. In quel contesto storico-politico, infatti, il bicameralismo, il sistema elettorale proporzionale e la configurazione stessa del Presidente del Consiglio come un primus inter pares rispondevano all’esigenza di cementare la coesione sociale sui valori costituzionali, ma, a distanza di più di cinquanta anni, è giusto modernizzare la forma di Stato e di Governo, senza ovviamente dimenticare l’eccezionale valore che ancora riveste la nostra Carta costituzionale, una tra le migliori del mondo.
In questa prospettiva riteniamo che il legame fiduciario debba instaurarsi con la sola Camera dei deputati, mentre il Senato delle autonomie sarà competente ad approvare la legge di bilancio e potrà sollecitare il proprio intervento sulle altre leggi solo previa richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti, con l’avvertenza che in caso di mancata approvazione di un testo già approvato dalla Camera dei deputati, quest’ultima potrà riapprovare lo stesso testo non più a maggioranza semplice bensì a maggioranza assoluta.
La citata riforma permetterà un ingente risparmio di risorse sia per effetto della maggiore celerità con la quale si approveranno le leggi, sia per effetto della riduzione stessa del numero di deputati e senatori, sia, infine, grazie al diverso appannaggio assegnato ai Senatori i quali saranno retribuiti sulla base delle missioni effettivamente svolte.
Il Senato delle autonomie, in questo modo, acquisirà un ruolo diretto solo in materia di approvazione del bilancio, mentre in tutte le altre ipotesi manterrà un’importante funzione di persuasione e stimolo dell’altra Camera.
Grazie a questa modifica costituzionale, le regioni e le autonomie territoriali diverranno corresponsabili della gestione del Paese ed in ossequio al bisogno di autonomia delle periferie troncheranno ogni tentazione di fuga verso il secessionismo o l’egoismo localistico. In questo stesso contesto si inserisce la riduzione del numero dei parlamentari.
A tal fine, il presente disegno di legge intende rispondere ad un’istanza di innovazione del nostro ordinamento costituzionale da tempo avvertita dalla società civile e che deve ritenersi condivisa da una larghissima maggioranza delle forze politiche e parlamentari. In questo senso abbiamo previsto la riduzione dei deputati da seicentotrenta a trecentoquindici e dei senatori da trecentoquindici a centocinquantaquattro – compresi i senatori delle tre nuove regioni – ai quali si aggiungono ventiquattro senatori designanti dalle regioni. Per il Senato non sono più previsti quelli eletti all’estero che, invece, rimangono solo alla Camera. Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a tre, il Molise ne ha due e la Valle d’Aosta uno.
Un passaggio obbligato riguarda inoltre il perfezionamento della riforma sul federalismo fiscale. Tale obiettivo è realizzato in due modi: da un lato prevedendo in Costituzione che la compartecipazione ai tributi erariali (e più specificatamente all’I.V.A. come è stato deciso in sede di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) tenga conto delle imprese che operano in aree diverse rispetto a quelle in cui hanno la sede legale, prevedendo che il fatturato prodotto su un territorio sia calcolato ai fini della quota della compartecipazione ai tributi erariali di quel territorio. In secondo luogo riteniamo che tali quote di compartecipazione debbano essere calcolate avendo presente i ritardi della cosiddetta perequazione infrastrutturale, i quali danneggiano soprattutto le aree del Sud. Se, infatti, è nella logica stessa del federalismo fiscale promuovere una sana competizione tra i territori ed un forte stimolo alla creazione di condizioni generative di ricchezza, se l’effetto di tale riforma dovrebbe essere quello di selezionare una classe dirigente effettivamente capace ed all’altezza, allora è cruciale che tutte le regioni siano poste sullo stesso piede di partenza, circostanza che oggi non si verifica a causa dei gap infrastrutturali ancora esistenti tra Nord e Sud del Paese.
In tale prospettiva il Sud Italia e le sue popolazioni non ritengono opportuno che tale dislivello sia colmato con interventi provenienti dalle regioni del Nord a favore di quelle del Sud così consolidando gli slogan, spesso filosecessionisti, che dipingono il Sud come un territorio a «rimorchio» del Nord. Riteniamo opportuno, a tal fine prevedere un aumento a loro favore della quota di I.V.A. prodotta sul territorio quale compensazione del gap infrastrutturale esistente e dunque sino a quando le opere sino ad oggi semplicemente programmate non saranno effettivamente realizzate.
È lampante come la vera ricchezza del Paese e del Sud in particolare siano le bellezze naturali ed i beni culturali e, quindi, la valorizzazione del turismo. Si tratta quindi di promuovere una politica di forte respiro che abbini questi due elementi e promuova la creazione di opere infrastrutturali idonee, ad esempio, a collegare gli aeroporti con i porti e le stazioni ferroviarie delle principali città e creare delle reti ferroviarie interne che colleghino in modo rapido ed efficiente i territori dell’entroterra, i quali, soprattutto al Sud, sono ricchi di beni culturali e bellezze naturali, spesso sconosciute al turismo straniero: è questa l’unica ricetta che può permettere al Meridione d’Italia di essere competitivo, attraendo turisti da ogni parte del mondo.
Questo surplus di risorse permetterebbe alle regioni del Sud di intensificare la realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie a ridurre i dislivelli esistenti, concretizzando ulteriori opere di grande importanza quali le reti telematiche di comunicazione le quali differenziano marcatamente il Sud rispetto al Nord dove invece si è da tempo in perfetta conformità ai livelli fissati dalle direttive europee.
Nella stessa prospettiva, la dimensione dei territori regionali non dovrebbe più rispondere solo ad un criterio identitario bensì anche al criterio della vocazione economica, capace quindi di unire i territori aventi comune inclinazione in una mission politica di lunga prospettiva. Per l’istituzione di nuove regioni il presente disegno di legge prevede una procedura semplificata e rispettosa delle istanze della collettività. La nuova formulazione dell’articolo 132 della Costituzione, (articolo 5) se elimina il riferimento alle delibere degli enti territoriali ai fini dell’attivazione del procedimento di istituzione di nuova regione, nello stesso tempo trasforma il referendum delle popolazioni interessate da consultivo in confermativo del progetto di legge costituzionale approvato, e, pertanto, si fonda sulla volontà popolare degli abitanti della costituenda regione.
È immaginabile, quindi, che sulla scorta di queste indicazioni si possa cogliere l’opportunità di ridisegnare le dimensioni regionali in un quadro di insieme molto semplificato anche per effetto di un’altra riforma che abbiamo proposto: la cancellazione delle province e dei cosiddetti micro comuni (articolo 2). È paradossale, come l’abolizione delle province che, sul piano delle proclamazioni di principio, vedrebbe d’accordo quasi tutti i gruppi parlamentari, dal punto di vista delle azioni concrete non sia stata effettivamente avviata: nessuno compie concretamente un gesto in tal senso! Eppure oggi la provincia viene vissuta come un ente poco partecipato dai cittadini, astrattamente ancorato ad un impianto ordinamentale burocratico di stampo ottocentesco, un ente generatore di costi ingenti e non più sostenibili dalla comunità: si calcola che ben 16 miliardi di spese l’anno vengano assorbite dalle province, risorse che potrebbero essere orientate verso obiettivi concreti di pubblica utilità.
Analogamente, nonostante l’articolo 114 della Costituzione equipari i comuni alle regioni ed allo Stato sotto il profilo dell’autonomia costituzionale è lampante come tale disposizione non possa riferirsi a tutti gli 8.100 comuni italiani: una riduzione del loro numero, accorpando i comuni sotto i 5000 abitanti ai comuni più grandi, favorendo la fusione di comuni o le unioni di comuni, è, parimenti, un’esigenza impellente sia a fini di semplificazione amministrativa che di contenimento dei costi.
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