Cara vecchia anarchia, di Andrea Papi (http://www.arivista.org/)
Nel documento di rivendicazione della “gambizzazione” dell’amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare, gli stessi autori marcano un abisso tra le loro “idee” e le nostre.
«…una nuova anarchia è sbocciata al fianco di un anarch-ismo ideologico...». È il concetto portante di una delle frasi centrali del documento del neonato “nucleo Olga” (aderente alla F.A.Informale/F.R.I.), spedito via posta per rivendicare la gambizzazione (loro preferiscono scrivere di aver “azzoppato”) di Roberto Adinolfi, a.d. dell’Ansaldo Nucleare, avvenuta il 7 maggio scorso.
Una “rivendicazione” nella rivendicazione particolarmente significativa e parecchio eloquente. Chiarisce infatti in modo esplicito che l’azione di cui si dichiarano responsabili, come quelle che faranno, per scelta consapevole (consapevolezza reciproca come si chiarirà nel corso di quest’articolo) non hanno nulla da spartire con l’anarchismo del dopoguerra, che dopo la liberazione dal fascismo ha liberamente deciso di agire alla luce del sole, seppure in opposizione al di fuori delle istituzioni. In un certo senso li ringrazio, perché così dicendo aiutano a sgombrare il campo da ambiguità ed eliminano possibili fraintendimenti.
Nel concetto citato si nota subito un’incongruenza, per me particolarmente evidente. Com’è possibile che sia sorta una nuova anarchia? L’anarchia è l’insieme del senso e dei valori, politici etici ed esistenziali, che permettono di desiderare e di aspirare ad una convivenza sociale alternativa all’esistente, fondata sulla realizzazione delle libertà, sia individuali che collettive. L’anarchia non esiste se non come aspirazione e come ideale di riferimento per tutti quelli che ritengono validi e irrinunciabili il suo senso, i suoi valori e i metodi che propone. Se è vero che è nata una “nuova anarchia”, com’essi scrivono, diversa da quella che ha infiammato e infiamma i cuori e le menti di tantissimi/e compagni e compagne, bisogna che facciano anche sapere di che cosa si tratta. Ripudiano l’unica anarchia conosciuta, trasmessa storicamente, e affermano che ne è nata una nuova senza delinearne le caratteristiche.
Ma l’anarchia non è un fatto
Non può esser sufficiente la frase: “Il nostro sogno è quello di un’umanità libera da ogni forma di schiavitù, che cresca in armonia con la natura.” Questo panorama utopico è già perfettamente contenuto da sempre nell’insieme di senso e di valori della, per loro, “vecchia anarchia”, ripudiata con una buona dose di supponenza. Nulla di nuovo dunque al di là delle dichiarazioni altisonanti scritte con ostentato disprezzo.
Viene da chiedersi come mai se non si riconoscono più nell’anarchia continuano ad usarne il nome? Chiamino in altro modo le aspirazioni che ritengono nuove, così riuscirebbero a distinguersi meglio e al contempo ci farebbero il piacere di non offrire al potere un’altra occasione per denigrare e colpire gli anarchici. Viene il sospetto che in realtà non vogliano distinguersi, tanto è vero che hanno scelto lo stesso acronimo della Federazione Anarchica Italiana, che nulla ha a che fare con loro. Non vedo altra spiegazione che quella di voler creare confusione.
Di differente dal “vecchio anarchismo” invece c’è la rappresentazione e la narrazione di ciò che hanno fatto ed hanno intenzione di fare. Almeno per quello che si è visto fino ad ora, non può certamente essere gabellata per “nuova” l’azione conclusa, come pure quelle intenzionali che hanno dichiarato di voler attuare. Come può essere “nuova” una classica gambizzazione, copiata pari pari dal logoro lottarmatismo? La rivendicazione del “nucleo Olga” è certamente diversa da come si esprimevano Br, Nap, Prima Linea e quant’altri, mentre il rituale è più o meno lo stesso ed anche le motivazioni fattuali.
Anche il contorno teorico giustificativo dell’azione, terreno di viaggio nell’ideologia, anche se ne vorrebbero essere esenti avendo scritto che è ideologico solo il vecchio anarchismo, è senz’altro differente dal vecchio lottarmatismo marxista-leninista. Non è invece differente il rituale pragmaticamente necessario, dai presunti pedinamenti al momento in cui hanno premuto il grilletto, come pure la scelta di esprimere un giudizio inappellabile che decide unilateralmente, con conseguente condanna inappellabile, colpevole e colpa. Tutto trito e ritrito. Ha tristemente il sapore del tribunale del popolo, o roba simile. No, mi sbaglio! Forse è il tribunale della “nuova anarchia”. Su questo punto gli estensori non si sono espressi in modo chiaro. Non si capisce a nome di chi o di che cosa hanno deciso di condannare e punire i responsabili individuati. Tutto ciò mi appare solo squallido.
Una spiegazione c’è. “Le idee nascono dai fatti…” esordiscono nella loro rivendicazione. Siccome non possono e non riescono ad avere idee oltre i fatti, dal momento che l’anarchia non è un fatto di conseguenza sembrano non averne idea. Anche l’idea della gambizzazione, evidentemente, non poteva che nascere da fatti precedenti. Così, forse, hanno evocato (con nostalgia?) quelli che il potere definì “anni di piombo”, orrendo neologismo inventato apposta per mistificare e nascondere la vera ricchezza socio-culturale di quegli anni. Purtroppo per riuscire a capire le diversità dei contesti temporali, culturali e sociali, quindi per farsi un’idea che aiuti a ipotizzare come agire, bisogna essere anche creativi, cioè pensare prima e al di là dei fatti per cercare di determinarli in modo adeguato e fecondo. Sono una mentalità e un metodo che si conquistano accettando di non essere dogmatici e di autocorregersi sperimentando.
Di diverso, più che di nuovo, c’è l’enfasi spropositata del piacere dell’uso delle armi, riproposta in più parti. Forse nelle intenzioni avrebbe voluto essere un’esaltazione dei sentimenti, mentre è risultata una comica ostentazione di una contraddizione palese. “Pur non amando la retorica violentista con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore.” Se non è retorica violentista questa? Dicono di non amarla, ma poi si lasciano scivolare con grande leggerezza in un ampolloso lirismo che esalta il piacere di predisporsi ad usare la violenza. Benedetta Tobagi (la Repubblica, domenica 13 maggio 2012) vi ha visto il Toni Negri che esalta il piacere di calarsi il passamontagna sul viso. Personalmente mi ha subito ricordato alcuni opuscoli degli anni settanta, che fra le altre cose esaltavano il piacere di colpire il nemico godendo dei danni provocati dalla pallottola che penetra nelle carni.
È uno sfoggio di godimenti che rimanda ad esaltazioni da estrema destra più che a sentimenti in qualche modo riconducibili all’anarchismo. Per noi anarchici “vecchi” e “superati”, che veniamo dalla scuola dei Malatesta, dei Fabbri, dei Berneri, per citare gli anarchici italiani più noti, l’insurrezione e l’uso della violenza sono una triste necessità, mezzi e strumenti che siam pronti ad usare all’occorrenza, ma che non hanno mai e poi mai rappresentato il momento fondamentale dell’approccio anarchico alla ribellione. Anzi! Per l’anarchismo come per l’anarchia l’ideale da raggiungere è l’armonia sociale, il rifiuto più totale dell’uso della violenza come mezzo di regolazione sociale, quindi delle armi e di corpi armati militarizzati,. Una società più si avvicina all’anarchia e meno è violenta. La violenza c’è oggi, dove l’anarchia è assente e trionfano gli stati, gli oligarchi e i militarismi, cioè il suo contrario.
Nella retorica violentista del “nucleo Olga” troviamo invece quasi una mistica dell’uso delle armi, presentato come elemento di discrimine per identificare chi ha scelto di smettere di essere alienato. Si vantano di essere nichilisti, «…nostra rivolta anarchica e nichilista…» e inneggiano al superamento della paura come elemento che qualifica il vero anarchico, accusando di cedere alla paura gli anarchici che non sono come loro. «…sempre pronti a trovare infinite giustificazioni ideologiche pur di non ammettere le proprie paure.» Questa esaltazione della violenza e del superamento della paura, proposti come discriminanti per giudicare chi sono i compagni, è solo ridicola e, insisto, è tipica di culture e comportamenti che provengono dalla destra estrema. Le scelte di militanza e l’adesione agli ideali sono al contrario dettate dal modo di pensare e dall’identificazione del senso. All’occorrenza, gli anarchici, tutti, hanno sempre saputo dare il loro contributo.
L’originalità vera di questo documento è che per una buona metà della sua stesura serve per attaccare il movimento anarchico, presentato come «…quell’anarch-ismo infuocato solo a chiacchiere e intriso di gregarismo.» col quale «...vogliono segnare definitivamente un solco…» E di questo li ringrazio di nuovo. Strana come rivendicazione! Non hanno neppure fatto come facevano quei “burocrati” delle br, che nelle loro rivendicazioni indicavano sempre alcuni momenti specifici dell’azione che potevano sapere solo quelli che l’avevano compiuta, dimostrando così di essere stati veramente loro ad eseguirla. Senz’altro sarà autentica, però sta di fatto che avrebbe potuto scriverla chiunque, sia effettivo partecipe oppure no.
Uno scontro armato?
Da un punto di vista politico, oltre ad attaccare durissimamente l’anarchismo, in nome di una “nuova anarchia” che non si sa bene che cosa effettivamente sia, (il potere statuale non sarebbe stato altrettanto efficace), questo documento di rivendicazione ha tutta l’aria di volersi presentare come un’autentica dichiarazione di guerra. Non a caso chiama alle armi e dice di agire per «…l’idea di sociale in lotta… è quella di un popolo in armi contro ogni forma di oppressione statale, politica, economica.». Come mai proponete questa idea che non è legata a nessun fatto? Dov’è il popolo in armi tanto chiamato e conclamato?
In realtà, non solo il popolo non è in armi, bensì per ora sta rifiutando ciò che proponete. Appena vi siete mostrati sono già cominciate le manifestazioni contro la logica armata che tentate di proporre. E ci potete giurare che ci sarà più d’una manifestazione. Ciò che in realtà si percepisce è che siete voi ad aver dichiarato guerra allo stato e che siete voi che state tentando di condurla. Ma rassegnatevi. È una guerra di elite, anche perché la proponete esclusivamente sul piano militare. Ciò che a voi interessa non è la rivoluzione sociale, cioè la radicale trasformazione rivoluzionaria dal basso della società, con i sottomessi che, non solo si ribellano, ma che finalmente cominciano a costruire l’alternativa direttamente e autonomamente, in modo autogestito. Ciò che a voi interessa è scatenare uno scontro armato contro lo stato. Agli anarchici invece interessa il contrario: la rivoluzione sociale che si organizza attraverso democrazia diretta e forme di autogestione a tutti i livelli della società. Se per realizzare e difendere questa conquista vissuta da tutti in prima persona ci costringeranno a uno scontro armato, lo affronteremo con tutta l’energia e la solidarietà necessarie.
Ma pensare e riproporre a priori la logica militare della rivoluzione armata come unico necessario e necessitante sbocco rivoluzionario è assurdo, oltre che stupido perché controproducente. La vostra scelta, che ne siate consapevoli o no, che lo vogliate o no, non potrà che avere un unico sbocco. Di trascinare le forze disponibili (non è difficile prevedere che non si tratta affatto del popolo in armi, ma di una piccolissima minoranza), potenzialmente sovversive, in uno scontro militare devastante, in cui l’unico vincente sarà lo stato.
In questo modo il potere dominante sarà riuscito a castrare le possibilità di azioni politiche libertarie di costruzione dal basso dell’alternativa, che è sempre più viva e si manifesta ogni giorno di più. Il conflitto militare è ormai rimasto l’unica possibilità che ha il potere di fermare l’ondata di rivolta che sta avanzando in tutto il mondo. Mi sembra ben poco anarchico aiutare lo stato, consapevolmente o no ha poca importanza, a realizzare questa guerra civile per annientare e rendere inoperanti i sovversivi e le potenzialità sovversive della società.
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