venerdì 13 luglio 2012

Io, "Bamboccione emigrante"





di Luca Telese

Metti che sei in treno, metti che stai andando a Milano, metti che ti stai interrogando - come capita spesso in questi tempi - sul giornale che vogliamo fare, e perché. Metti che sull'Eurostar ti si avvicina un giovane con una t-shirt grigia, faccia da ragazzo, fisico da uomo, e metti che ti dica: "Quando esce Pubblico?". Scopri che si chiama Gianni, di cognome Longo, che è cresciuto a Roma, ma che lavora a Losanna, perché - ride amaro - "Faccio parte della generazione degli esiliati della ricerca. Sono diventato un emigrante due anni fa, quando dopo dieci anni da ricercatore in fisica in cui, per darti un'idea, sono stato pagato solo cinque, e male, ho detto: basta, adesso me ne vado".

Gianni ha mandato venti curriculum in giro per il mondo. Gli hanno risposto dall'università dell'Arkansas e da Losanna. L'Arkansas era lontano. Ha scelto la Svizzera. Gli chiedo: "Perché ti definisci emigrante?". Risponde: "Perché molti miei colleghi italiani non farebbero marcia indietro per nulla al mondo. Io voglio tornare". E perché tu vuoi tornare e loro no? "Perché l'Italia è il mio paese e, anche se come loro dovrei, non riesco ad odiarlo. E poi perché mia moglie, e uno dei miei due figli, vivono a Roma". Già, Daniela.

Prima lo ha seguito in Svizzera, poi con un miracolo da anno bisestile più vincita al Totocalcio, ha ottenuto una cattedra a tempo indeterminato, in una scuola media vicino a piazza Bologna, nella capitale. Due figli, Giorgio, tre anni e mezzo, ed Edoardo, un anno. Sospira, Gianni: "Il classico caso in cui una bella notizia diventa una tragedia: ci eravamo appena sistemati, i bambini andavano alla scuola italiana, e lei avrebbe potuto trovare un posto da precaria lì. Ma...".

Ma poi ti arriva un contratto a tempo indeterminato, e cosa fai? "Era il punto decisivo della vita di Daniela, era la possibilità irripetibile di un contratto a tempo indeterminato. Lei era a Roma, io a Losanna, abbiamo avuto la discussione più drammatica della nostra vita, dopo quella in cui si è scelto insieme di fare un figlio da precari". Alla fine, prima di chiudere la linea e ritrovarsi ognuno in una città, solo, a rimuginarci su, con quel peso sul cuore, le ho detto: "Senti, Daniela, insegnare è la cosa che tu più desideri, è quello per cui hai studiato tutta la vita: accetta la cattedra, un modo - non so quale, lo troveremo".

Giorgio aveva già il suo asilo a Losanna e non si stacca mai dal padre. Edoardo era troppo piccolo per separarsi dalla madre. Gianni e Daniela hanno applicato un loro personalissimo congedo parentale: un figlio in Svizzera con lui e uno a Roma, con lei. Gianni racconta: "Mia suocera, una delle tartassate dell'Imu, ci salva la vita perché fa la badante quando Daniela è a scuola. I miei non mi parlano quasi più, dicono che stiamo facendo del male ai bambini... Ma la parità fra un uomo e una donna non vuol dire che in una coppia entrambi contribuiscono in pari misura all'educazione dei figli? Ma essere genitori non vuol dire che nessuno dei due deve essere solo?".

Gianni ti spiega: "un giorno proverò a raccontare, cosa vuol dire passare la maggior parte del proprio tempo libero a provare a parlare con un figlio di un anno e mezzo su Skype". Gli dico di provarci. E lui: "Ad esempio che Edoardo passa il tempo ad accarezzare lo schermo con il mio volto, e con il braccio impalla la telecamerina del computer. Quando poi si vedono dal vivo, quel gesto sulla guancia vale un milione di euro. Giorgio quando lo vedeva su Skype si arrabbiava e se ne andava".

Gianni guadagna un sacco di soldi, più di 5000 euro, ma quasi gli dispiace dirlo "Perché i ricercatori italiani sono alla fame. E poi gli secca "Perché la metá li spendo in andata e ritorno per Roma". Pausa, un sorriso: "Credo che Giorgio sia il primo bambino europeo che ha messo insieme abbastanza voli per il mille miglia già all'asilo". Gianni ha vissuto "Con vergogna" gli ultimi anni del berlusconismo quando qualsiasi collega fisico che non sapesse nulla dell'Italia gli diceva: "Ma ti vieni dal paese della Gelmini, quell del tunnel dei neutrini? Ah, ah, ah".

Adesso guarda da lontano il paese "dove i ricercatori che hanno scoperto il Bosone di Higgs, subiscono un taglio del 10% come premio per il loro successo". Dovreste vederlo, mentre racconta del Cnr, dove se ti si rompe un pezzo lo ripari con lo scotch da pacchi e l'Epfl di Losanna dove se ti si rompe un reggipunta del microscopio da 2.500 euro arriva il direttore e dice: "che problema c'è? Lo ricompriamo".

Dice Gianni: "La verità è che noi italiani, come ricercatori siamo i più bravi del mondo. Siamo in grado di superare difficoltà impensabili, abbiamo talento, preparazione, capacità di inventare: io ho già registrato tre brevetti, nel mio ufficio ne contiamo dieci. All'estero, quando scopri qualcosa, il brevetto viene venduto subito e tu prendi il 33%, il tuo laboratorio il 33%, e il resto va all'istituto e arricchisce la ricerca di tutti".

Pausa, un colore amaro nella voce: "Vedi, in Italia i brevetti che abbiamo registrato li abbiamo passati a un ufficio brevetti del Cnr che subito dopo ha chiuso. Un binario morto. Morale della favola: non si è venduto nulla. Solo in Italia, può accadere una cosa così, l'unico paese al mondo in cui un brevetto è una spesa e non un guadagno".

Questa è la storia di un paese sbagliato, questo è il paese del tunnel della Gelmini, questa é la storia del brevetto sulla spettroscopia degli acciai che adesso è scaduto, ma questa, soprattutto è la storia di Gianni, di Daniela, di Giorgio ed Edoardo, due fratelli che crescono separati per necessità e per scelta. Questa è la storia di - come ti devo definire, Gianni? - "Un bamboccione, direi".


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