Il 2 febbraio è il giorno della Candelora, il giorno in cui da secoli, da tutta la Campania e non solo, i fedeli arrivano a Montevergine, in Irpinia, per rendere onore alla Madonna nera alla quale è consacrato il Santuario più importante della nostra regione e probabilmente del Mezzogiorno.
La Candelora è una festa che prende spunto, come tutte le feste cattoliche, da antichi riti pagani. Oggi la festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l’usanza ebraica, una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre, giorno della nascita di Gesù.
Anticamente però questa festa veniva celebrata il 14 febbraio (40 giorni dopo l’Epifania), e la prima testimonianza al riguardo ci è data da Egeria nel suo Itinerarium Egeriae (cap. 26). La denominazione di “Candelora” data popolarmente alla festa deriva dalla somiglianza del rito del Lucernare, di cui parla Egeria: “Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima” (Itinerarium 24, 4), con le antiche fiaccolate rituali che si facevano nei Lupercali (antichissima festività romana che si celebrava proprio a metà febbraio).
La Candelora fu celebrata anche in alcune tradizioni religiose precristiane, ed alcuni studiosi rilevano come si tratti di una festività introdotta appunto in sostituzione di una preesistente. Chiamata Imbolc nella tradizione celtica, segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera ovvero tra il momento di massimo buio e freddo e quello di risveglio della luce.
Nel mondo romano la Dea Februa (Giunone) veniva celebrata alle calende di febbraio (nel calendario romano i mesi seguivano il ciclo della luna. Il primo giorno di ogni mese corrispondeva al novilunio (luna nuova) ed era chiamato “calende”, da cui deriva il nome “calendario”).
Nel Neopaganesimo Imbolc è uno degli otto sabba principali ed è legato alla purificazione ed ai riti propiziatori per la fertilità della terra.
A Montevergine, però, la Candelora non è una festività cattolica come le altre: è il giorno in cui la ritualità vede partecipi e anzi protagonisti, i femminielli, che da Napoli, ogni anno da tempo immemorabile, salgono dalla Mamma Schiavona e le rivolgono le loro più intime e vivaci preghiere.
Un pellegrinaggio che avviene ogni anno, quello a Montevergine, ma che mai aveva fatto notizia fino al 2002 quando l’abate di Montevergine, monsignor Tarcisio Nazzaro, tuonò dall’altare contro i femminielli, venuti come ogni anno ad onorare la Mamma Schiavona, dicendo che le loro chiassose preghiere non erano gradite alla Madonna e che essi erano come i mercanti del Tempio prima che Gesù li scacciasse, scacciandoli a sua volta tutti dalla chiesa.
Da allora, la Juta è diventata un’ulteriore simbolo dell’orgoglio gay e della necessità di affermare diritti come la libertà.
Il femminiello racchiude in sé qualcosa di sacro, come testimonia anche l’altrettanto antica tradizione della figliata de’femminielli. È il Della Ragione a spiegarci in cosa essa consista: «non è altro che un rituale derivante dall’antico rito della fecondità, praticato per secoli nella nostra città. La figliata si svolge segretamente alle pendici del Vesuvio, a Torre del Greco, ed è stata descritta accuratamente con accenti vivaci da Malaparte nel suo libro “La pelle” e dalla regista Cavani nell’omonimo film. Questa originale iniziazione ad una femminilità particolare – continua lo studioso – prevedeva un utilizzo di segrete conoscenze alchemiche, oggi perdute ed avveniva durante periodici festeggiamenti per l’avvenuta nascita del “maschio-femmina”, dagli iniziati chiamata “Rebis”, res + bis, cosa doppia. Il rituale, descritto nella “Napoli esoterica” di Buonoconto, richiedeva la presenza di un ermafrodito, l’unica creatura che contenesse i due elementi in cui è suddivisa tutta la natura. I greci, da cui discendiamo, ritenevano divino l’ermafrodito, perché figlio della bellezza (Afrodite) e della forza (Ermes). Naturalmente nel tempo la purezza ideale dell’ermafrodito alchemico si è in parte smarrita, sostituita dalla più materiale ambiguità del femminiello, ma l’antica memoria del rito non è andata del tutto smarrita e conserva immutata ancora oggi la forte carica simbolica, che suggestiona a tal punto alcuni soggetti, da fargli provare le stesse emozioni ed i lancinanti dolori del parto».
Nella cultura popolare napoletana, il femminiello ha, dunque, da sempre goduto di rispetto e accoglienza, proprio perché in esso si vedeva il segno di qualcosa di soprannaturale e in qualche misura divino. Ancora oggi è così, in molti quartieri, al di là dell’imbastardimento culturale che in qualche caso ha toccato anche Napoli.
Ma qual è il legame con il giorno della Candelora, il 2 febbraio? Risalendo a Luperco, divinità rurale protettrice dei boschi, delle greggi, della campagna, e quindi preposta alla fertilità della terra, e ai Lupercalia, la festa della natura che si rinnova, perché proprio in questo periodo dell’anno, i semi mettevano le radici, e avrebbero poi portato al raccolto, forse va riscontrata l’origine. In attesa della nuova vita, si svolgevano i riti della februatio i quali prevedevano la purificazione della città mediante la processione di donne che portavano candele accese in giro, a simboleggiare che l’inverno stava accogliendo la primavera e che la vita dal buio stava aprendosi alla luce. Quello che unisce i femminielli con il luogo, Montevergine, è invece più facilmente intuibile. A parte il leggendario intervento salvifico della Madonna Schiavona in favore dei due omosessuali in epoca medievale, è certamente interessante sapere che poco lontano dal Santuario, sul monte Partenio, ci sono i resti di due antichi templi consacrati rispettivamente a Cibele e Artemide, due tra le Grandi Madri del paganesimo. È proprio nel mito di Cibele che si può rintracciare il millenario filo conduttore che costituisce la saldatura tra culto pagano e ritualità cristiana.
Rea, figlia di Urano e di Gea, madre di Zeus, particolarmente onorata a Creta, dove leggenda vuole abbia fatto allevare il figlio Zeus in una caverna del monte Ida, e per questo detta anche madre Idea o montana. Rea Cibele rappresentava la natura montagnosa che come ci spiega Felice Ramorino «ne’suoi cupi recessi alberga e feconda tanta parte della vita universale». Deità frigia – la sua patria Pessinunte – era venerata col nome di Gran Madre. «Qui favoleggiavasi – continua Ramorino – che la Dea amasse andare attorno su un carro tirato da leoni, o pantere, e col corteo de’ suoi sacerdoti detti Coribanti […], i quali forniti di timbali e concavi dischi metallici e corni e flauti, si abbandonavano a una musica strepitosa ed orgiastica. I miti che si riferiscono a questa Dea portano pure un carattere selvaggiamente fantastico come tutto il suo culto».
Al tempo della seconda guerra punica, il culto di Cibele fu trasferito a Roma per consiglio dei libri sibillini che vaticinarono esito positivo se la sacra pietra nera – simbolo della divinità e forse pietra meteoritica – fosse arrivata a Roma e ivi rimasta per sempre. I Sacerdoti della Dea, anche a Roma detti Coribanti o Galli, la onoravano ogni anno, tra strepiti, ululati e sovreccitazione orgiastica.Si trattava in realtà di riti cruenti e talvolta sanguinosi, che arrivavano finanche all’evirazione dei sacerdoti, riprendendo l’arcaica tradizione dell’uccisione di bambini e di giovani ragazzi, o della castrazione del maschio perché si restituisse, in qualche modo, alla terra, ciò che essa aveva donato. Quindi offrirle il sangue significava propiziarsi la Dea e le vittime sacrificali dovevano sempre appartenere al sesso maschile perché il seme maschile penetrasse nella terra fecondandola.
Secondo Neumann, infine, la pratica di indossare abiti femminili da parte dei Coribanti o Galli configurava, insieme al sacrificio della virilità, la completa identificazione con la Grande Madre. L’annullamento del maschile tramite abbigliamento femminile si conserva ancora presso il clero cattolico. Si diventava dunque suoi rappresentanti, proiezioni della Gran Madre. Si diventava femminili. Se aggiungiamo, infine, che il tamburello è attributo costante nell’iconografia della Dea, allora proprio tutto torna.
Ecco, la Candelora e le sue candele, con devozione e raccoglimento portate accese innanzi all’altare, nell’atto di consegnare a Maria i desideri dello spirito, per essere poi spente una volta espressi; la presenza del “femminile”; i canti, le tammoriate e le danze da offrire alla Mamma Schiavona, come il popolo la chiama, che tutto accoglie e tutto perdona. E’ la festa della spiritualità, della rinascita a nuova vita, quando in primavera tutto si risveglia e inizia un nuovo ciclo. È la festa della luce. Una festa che fa parte della nostra identità, da non perdere anche se non siete fedeli…
Gabriella Martini, tratto da Insorgenza.it
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