martedì 11 febbraio 2014

Tutto quello che non va nel decreto "Terra dei Fuochi"

Vi sottopongo due articoli molto interessanti, riguardanti il cosiddetto "Decreto sulla Terra dei Fuochi". Potrete notare le criticità di questo decreto, pensato male e realizzato peggio.
Nei prossimi giorni, su L'INSORGENTE sarà disponibile il testo integrale del Decreto, con le modifiche degli emendamenti.



Poteva il parlamento italiano convertire il decreto legge 136/13 (noto come Terra dei Fuochi ed Ilva) da noi ritenuto pessimo fin dal primo istante, peggiorandolo ulteriormente?

La risposta negativa sembrava assolutamente la più razionale delle opzioni. Il decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri, prima ancora di passare alla Camera dei deputati ed arrivare blindatissimo al Senato, già appariva, nella sostanza, il tentativo goffo del governo e della politica romanocentrica di creare uno spot elettorale a futura memoria.

Come spesso accade, però, nelle italiche faccende ciò che era di per sé male è divenuto peggio con le modifiche approvate dagli illuminati parlamentari all’atto del passaggio alla Camera. La mera elencazione degli emendamenti incriminati non avrebbe lo stesso effetto che ha l’analisi del resoconto stenografico della seduta al Senato che mostra tutti gli aspetti patologici del sistema e del provvedimento. Sotto il primo profilo appare subito evidente l’affanno e l’imbarazzo col quale i senatori discutono di un argomento a loro, evidentemente, ignoto e di un provvedimento sul quale hanno avuto pochissimo tempo per deliberare.

Sotto il secondo abbondano le contraddizioni, persino negli interventi a favore da parte dei parlamentari della maggioranza. La cartina di tornasole dell’imbarazzante faccenda è già nelle parole del relatore Sollo che, in sede di relazione orale, da un lato superfeta il ruolo della criminalità locale sostenendo che il decreto riguarda “un’area che si caratterizza per lo sversamento illegale di rifiuti, anche tossici, da parte della camorra e, in particolare, del clan dei Casalesi” per poi fare riferimento alla particolare natura dei rifiuti ammettendo che “da molti decenni nelle campagne campane si sono verificati sversamenti di rifiuti industriali e di rifiuti tossici e nucleari provenienti dal Nord Italia e dal Nord Europa” senza, però, accennare, neanche minimamente, alla catena di correità che ha potuto (per cinque lustri) consentire a tali rifiuti di viaggiare, indisturbati attraverso lo stivale. Ancora il Governo, attraverso il suo imbarazzato relatore, dichiara che “secondo un rapporto dell’ARPA della Campania, un’area di 3 milioni di metri quadri, compresa tra i Regi Lagni, Lo Uttaro, Masseria del Pozzo-Schiavi (nel Giuglianese) ed il quartiere di Pianura della città di Napoli, risulterebbe molto compromessa per l’elevata e massiccia presenza di rifiuti tossici” senza spiegare come mai dallo screening medico della popolazione, introdotto con un emendamento alla Camera, vengano pretermesse la città di Napoli ed alcune zone del casertano come Terzigno.

Nemmeno spiega il Governo come, preso atto che “la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici tra cui piombo, scorie nucleari e materiale acido, che hanno inquinato le falde acquifere campane e le coste di mare dal basso Lazio fino ad arrivare a Castel Volturno” il decreto si limiti alla mappatura dei terreni agricoli tralasciando quelli non agricoli e, soprattutto l’analisi delle falde acquifere.

Non spiega il Governo come, preso atto del ruolo della criminalità mafiosa nel ciclo dello smaltimento dei rifiuti illeciti, abbia potuto ritenere di approvare un provvedimento che deroga i controlli antimafia per le imprese impegnate nelle bonifiche del territorio. Si tratta, per inciso, di centinaia di milioni di euro (di provenienza comunitaria e sottratti all’agricoltura Campana) che rischiano di arricchire gli stessi soggetti (massoneria, politica, camorra) che hanno stuprato il territorio.

Non spiega il Governo la necessità di un provvedimento ad hoc così raffazzonato in vigenza del decreto legislativo 152/06 (chi inquina paga) di per sé sufficiente, sotto l’aspetto sanzionatorio, a garantire la posizione in capo agli autori dell’inquinamento degli oneri di bonifica. Verrebbe il sospetto che se ne sia evitata l’applicazione onde evitare che gran parte degli oneri fossero ricaduti sul tessuto industriale toscopadano e sullo stato complice attraverso le sue strutture di controllo corrotte. Non spiega il governo il senso di una mappatura a chiazza di leopardo con la costituzione di aree agricole no food senza esplicitare i modi ed i tempi della bonifica integrale dei luoghi. Imbarazzo. La sensazione è netta, violenta. Disgusta.

Il Governo ha trattato il problema con la fretta ansiosa di chi deve necessariamente nascondere una verità impronunciabile. Nella Terra dei fuochi è stato perpetrato uno scientifico genocidio di una popolazione inerme sacrificata sull’altare della tenuta economica del sistema imprenditoriale norditaliano attraverso l’abbattimento dei costi di smaltimento dei rifiuti speciali. Il Governo, se avesse minimamente approfondito il dibattito, o lo avesse favorito attraverso la piena discussione del provvedimento adottando, avrebbe dovuto rispondere alla domanda relativa ai quattro lustri di secretazione imposta dalla politica attraverso personalità ancor oggi ben salde nella sala dei bottoni, l’On.le Sig. Presidente della Repubblica in primis al tempo delle dichiarazioni si Schiavone Ministro degli Interni e fautore della segretazione.

Alessandro Cantelmo

In questa breve nota vorrei analizzare l’articolo 3 della legge in questione che è quello che introduce il reato di “combustione illecita di rifiuti”

La norma ha l’obiettivo di introdurre sanzioni penali per contrastare chi appicca i (fuochi) roghi tossici prevedendo uno specifico Reato – Delitto -“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica.”

Questo articolo si affianca all’art.256 del TUA (Testo unico ambientale), diventando l’art. 256 bis del predetto testo.

Ma cosa prescrive l’art 256 del TUA?

“Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 e’ punito:
a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.”

Poichè la combustione è sicuramente considerabile come uno dei tanti modi attraverso i quali è possibile smaltire il rifiuto, non appare molto chiara, nel merito, l’introduzione di uno specifico reato per il rogo (a parte per le sanzioni penali più dure).

Nel metodo la norma si rivela comunque incapace di affrontare il problema, allo stesso modo di quanto già fosse in precedenza l’art. 256 su menzionato. Non ci sembra infatti che questa norma abbia mai nemmeno lontanamente inciso nella direzione di una diminuzione dei roghi di rifiuti.

Si dirà, si però adesso è previsto uno specifico reato di combustione che permetterà di perseguire un reato che invece prima era affidato alla interpretazione e alla tenacia della Polizia giudiziaria e della relativa Autorità, per la possibile distinzione tra “smaltimento” e “combustione”.

Contestazione lecita, intendiamoci. Però bisogna tenere presente che la combustione illecita di rifiuti era già prevista nel D.L.172/2008 convertito dalla L.210/2008 emanato per fronteggiare “l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania”, normativa applicabile ancora oggi in tutti quei territori dello Stato Italiano qualora vi fosse dichiarato, ai sensi della L. 24 febbraio 1992, n. 225 in vigore dal Novembre 2008 al 31 Dicembre 2009, data in cui è cessato lo stato di emergenza in Regione Campania.

Il riferimento che si è fatto è all’art 6 del D.L. 210/2008 il quale prevede che “Nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225: chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee, ovvero incendia rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0.5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri, e’ punito con la reclusione fino a tre anni e sei mesi;

Lo stesso articolo alla lettera b prevede pene più severe se chi commette l’illecito riveste la qualifica di impresa o responsabile di enti. In tal caso è previsto:”i titolari di imprese ed i responsabili di enti che abbandonano, scaricano o depositano sul suolo o nel sottosuolo in modo incontrollato e presso siti non autorizzati o incendiano i rifiuti, ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee, sono puniti con la reclusione da tre mesi a quattro anni se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la reclusione da sei mesi a cinque anni se si tratta di rifiuti pericolosi.”

Il reato di combustione illecita dei rifiuti era quindi già previsto dal D.L. 210/2008 in vigore in Campania fino al 31 Dicembre 2009 con scarsissimi risultati nel contrasto al fenomeno dei roghi di rifiuti, come confermato dalle statistiche rese disponibili dalle procure di Napoli e Caserta.

A questo punto si potrebbe obbiettare che il comma 2 della nuova legge metti a disposizione dei prefetti, qualora ne facessero richiesta e comunque non oltre il 31 Dicembre 2014, un contingente di massimo 850 unità di militari. Le risorse a disposizione per l’utilizzo del contingente militare impiegato nelle operazioni di controllo del territorio con funzioni di agenti di pubblica sicurezza (quindi con esclusione delle funzioni di polizia giudiziaria), vengono attinte da un fondo di cira 40 milioni di euro previsti dall’art.1, comma 264 della legge 27 Dicembre 2013, n.147. I 40 milioni di euro menzionati fanno parte di un fondo che serve non solo nei territori della Campania ma in tutte quelle realtà nelle quali per situazioni emergenziali i prefetti ne facciano richiesta.

Bisogna chiarire che l’impiego del contingente militare, con funzioni di pubblica sicurezza, era stato già previsto dalla legge 125/2008 e fino al 31 Dicembre 2009, comportando anche allora risibili risultati nella lotta al contrasto dei roghi e degli sversamenti abusivi di rifiuti.

Si tratta quindi, ancora una volta, di una misura emergenziale che non ha, per sua stessa natura, la capacità di scongiurare il ripetersi, alla fine del periodo emergenziale, degli atti criminali che pur dichiara di voler debellare. Anzi in verità la sua utilità nel perseguire il fine dichiarato è molto opinabile, da un’analisi dei risultati prodotti in passato, anche nel periodo di sua applicazione.

Cosa non prevede la nuova legge.

1) Innanzitutto il problema è mal individuato poichè non si fa riferimento esplicito alla problematica della filiera produttiva criminale che produce e alimenta la problematica degli sversamenti abusivi e dei relativi roghi.

Per esempio non si accenna alla possibilità di estendere il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) anche ai produttori iniziali che non sono organizzati in enti o imprese e a tutti coloro che producono rifiuti urbani, ancorchè pericolosi.

Infatti l’articolo 188-ter del TUA (D.Lgs. n. 152/2006), così come modificato, dal D.L. n. 101/2013 e dalla legge di conversione n. 125/2013, limita l’obbligo di adesione al SISTRI a queste categorie di operatori economici:

a) enti o imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi.
b) enti o imprese che raccolgono o trasportano rifiuti speciali pericolosi a titolo professionale.
c) enti o imprese che effettuano operazioni di trattamento, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti urbani e speciali pericolosi.

Sono quindi esclusi tutti i produttori non organizzati in enti o imprese e tutti i produttori, di qualsiasi natura, di rifiuti urbani, ancorchè pericolosi (Pile, batterie, vernici, pitture, colori, coloranti, inchiostri, olio esausto, mercurio, etc).

2) Non si fa riferimento alcuno alla ragione dello scarso controllo del territorio da parte delle forze preposte a questo fine. Ovvero il sottodimensionamento critico e sistemico delle forse di polizia sul territorio, le quali avrebbero urgente bisogno di maggiori finanziamenti ordinari e di un incremento del numero di personale.

3) Appare discutibile la scelta di stanziare 40 milioni di euro per gestire una situazione emergenziale quando invece ci sarebbe bisogno di metodi ordinari per il controllo del territorio. Oltre alla su citata possibilità di impiegare un numero maggiore di forze di polizia sarebbe certamente utile avvalersi dell’ausilio di droni, apparecchi sofisticati capaci di sorvolare il territorio senza essere individuabili. La comunicazione in tempo reale tra i droni e gli uffici di polizia renderebbe tempestiva la risposta delle forze dell’ordine rispetto a fenomeni di sversamenti abusivi e combustione di rifiuti senza il bisogno di impiegare fisicamente sul territorio un numero eccessivo di unità operative.

Per quanto fin qui analizzato ci sembra che il legislatore non riesca ad individuare le cause della problematica che si prefigge di contrastare, e quindi la legge approvata non appare capace, per quanto analizzato sopra, di conseguire la finalità per la quale è stata emanata.

Domenico Cuozzo

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